Proprio ieri ho avuto un rapido confronto con il buon Nostalgico rossonero su un tema da sempre oggetto di discussione e su cui da mesi avevo messo in cantiere l’idea di realizzare un pensiero più articolato: da che cosa dipendono le letture/visualizzazioni di un qualsiasi prodotto pubblicato sul web (testo, video, audio)?

La nostra community, a mio avviso, è sicuramente un campione significativo di un fenomeno su larghissima scala che è quello delle tendenze e dei gusti dei “consumatori online”.
Nel mio piccolo, ho fatto una piccolissima analisi sul mio caso personale: dall’inizio del 2020 ho pubblicato 37 articoli su VXL, di cui solo due hanno superato le 200 visualizzazioni. Fin qui, nulla di strano, in quanto il sottoscritto non nutre mai di grosso seguito in termini di ricerche; mi sono, però, saltati all’occhio i due pezzi succitati che hanno garantito la maggiore interazione: uno si riferiva alla riflessione personale per cui l’acquisto di Ibrahimovic operato dal Milan nella sessione invernale di mercato non sarebbe bastato, se non fosse stato accompagnato da altri innesti, per poter tornare in zona Champions League (Ma davvero ci avevate creduto?), mentre l’altro sosteneva senza mezzi termini che la Juventus di Sarri, ad avviso di chi scrive, non gioca un bel calcio (Ecco la verità: la Juve gioca male, è inguardabile!). Cosa significa questo?

Sommariamente, questa seppur minimale esperienza mi induce a credere che sia molto più “redditizia” la critica, costruttiva (come mi auguro di aver fatto trasparire) e non, rispetto a sperimentazioni, pensieri di variegata natura o curiosità storiche che, evidentemente, non affascinano la maggioranza della popolazione calcistica del web.
In sostanza, avendo utilizzato dei titoli impattanti e sviluppando dei contenuti privi di eccessiva diplomazia, ecco che l’attenzione è stata generata in modo molto più considerevole rispetto ad altri pezzi i quali, nonostante avessero mantenuto la medesima cifra stilistica, sono stati quasi sempre poco reclamizzati in quanto non avevano la stessa carica “aggressiva” (passatemi il termine).
E questo, senza timori di smentite, è un denominatore comune a qualsivoglia ambito informativo e/o di intrattenimento: la parolaccia attrae molto più del linguaggio forbito, uno slogan tagliente è sicuramente molto più efficace di un pensiero equilibrato, alcuni temi sono semplicemente più intriganti rispetto ad altri per la maggioranza degli utenti, i social network attraggono molto più di un bel libro.
Avete mai fatto caso che la maggior parte di noi conosce molte più WAGS che calciatrici?
Come mai, se ci imbattiamo in un articolo che titola “Messi all’Inter” o “Icardi al Milan”, siamo impulsivamente portati a cliccare per vedere di cosa parla, nonostante chiunque dotato di buon senso non possa assolutamente credere che vi siano margini, allo stato attuale, per intavolare trattative del genere?
Perché, nel mondo musicale, i grandi successi commerciali sono determinati da canzoni più “semplici” dal punto di vista armonico e strumentale, mentre le composizioni ricercate fanno sempre fatica a trovare una valida collocazione tra i gusti del grande pubblico?
Perché i film che hanno per protagonisti dei supereroi saranno perennemente dei blockbuster che sfonderanno il miliardo di dollari di incasso globale, mentre i lungometraggi d’autore vivranno nella nicchia circolando solamente tra gli appassionati e gli addetti ai lavori?
Come mai un trattato scientifico o un’analisi numerica con l’ausilio di dati non potrà mai competere, in termini di presa sul pubblico di massa, con la forza propulsiva di opere di narrativa dal taglio teen?
Perché, se di colpo inserisco fuori contesto in maiuscolo la parola SESSO, essa catturerà senz’altro più di LETTERATURA ANGLOSASSONE?
I terreni più “fertili” dal punto di vista mediatico, e ciò appare abbastanza evidente, sono quelli che riescono a intercettare ciò che la gente richiede con maggior frequenza, a volte anche a scapito della qualità.
Sia ben chiaro, non è corretto fare di tutta l’erba un fascio: anche chi cavalca l’onda del momento è in grado di produrre contenuti vivaci e ottimali, quando la qualità non viene sacrificata sull’altare del “purché se ne parli”. Lungi da me, infatti, condannare (e ci mancherebbe, chi sono io per dire una roba del genere?) chi decide di focalizzarsi sulla stretta attualità o su argomentazioni poco “impegnative”: tutto è frutto di tempo e passione, e nessuno può permettersi di giudicare l’altro.

Trovo solo doveroso affermare che ognuno ha la sua linea e deve perseguire sulla propria strada senza condizionamenti che possono essere generati dalla scarsità dei click ricevuti.

Personalmente, nella creazione dei miei blog, non valuto mai il possibile impatto in termini di visual. Io voglio sviluppare un elaborato e mi lascio trascinare da ciò che sento in quell’istante, anche a costo di risultare ridondante o poco interessante, sia che si tratti di parlare della notizia del giorno sia che si tratti di scavare nei meandri delle statistiche più impensabili.
La piattaforma è talmente aperta da poter consentire qualsiasi sfogo creativo e, a mio avviso, è questa la vera formula vincente: avere libertà di poter esprimere il proprio flusso interiore che anima necessariamente tutte le nostre mani quando battiamo sul nostro pc frasi perennemente riviste e corrette, cancellate e rifinite, accorciate e rielaborate.

Un’ultima riflessione la vorrei porre sulla scelta dei titoli, da sempre affascinanti per il sottoscritto.
Anni fa, in un dialogo sul cinema con una mia amica, discutevamo di adattamento: i titoli delle opere originali prodotte principalmente negli Stati Uniti, infatti, soprattutto negli anni precedenti, non venivano fedelmente tradotti e si trovavano formule ad hoc ai fini di intercettare il target desiderato. Discorso analogo per il doppiaggio, nel cui caso, però, molto spesso si rendeva necessario (tuttora è così) sostituire alcuni vocaboli per permettere la fruizione corretta del prodotto.
Questo, in alcuni casi, portava alla generazione di titoli o di dialoghi che avevano un senso quasi opposto a quello originale, creando notevoli difficoltà di comprensione.
Il titolo, dunque, è importante o no?
Per come la vedo io, è fondamentale: è la prima cosa che si legge e, sovente, la scelta di un’apertura priva di mordente può limitare l’accesso alla creazione proposta, magari pregna di contenuti interessanti.
“Non si giudica un libro dalla copertina”. Vero, ma questo vale se ti chiami Led Zeppelin e puoi incidere un disco senza dargli un nome ufficiale. Nel momento in cui ci si cerca di far arrivare il proprio pensiero, è regola fondamentale dargli una veste intrigante, sempre mantenendosi fedele al proprio credo, ma curando il più possibile l’effetto impattante.
Con ciò, non significa che il titolo possa oscurare quello che realmente si ha da dire: aprire un pezzo apparentemente accattivante che non ti lascia niente farà senz’altro aumentare le visite in prima battuta ma non la considerazione di quanto offerto.
Dunque, qual è la scelta giusta?
Sarà una banalità, ma credo che il modo giusto sia essere se stessi, sempre, anche a costo di non fare grossi numeri.

Cercare di curare il più possibile il brano e ingegnarsi per trovare soluzioni anche attraenti, ma senza mai snaturare la propria personalità.
Che senso ha fare qualcosa che non appartiene a noi stessi, al nostro modo di pensare e di vivere l’arte, qualunque essa sia?
Nulla è più appagante di poter esprimere i propri sentimenti senza artifici o forzature.
La soddisfazione che offre poter ammirare qualcosa di completamente nostro, di integralmente personale, credo non possa mai essere compensata da migliaia di apprezzamenti per ciò che non siamo realmente.

 

Indaco32