Se provassimo a spiegare ad un nostro amico che non segue il calcio che può succedere di vincere un campionato e, nonostante tutto, sentirsi il peso del fallimento addosso, ci risponderebbe che farebbe bene a seguire il ciclismo o il tennis.
Perché è assolutamente pazzesco, ma quello che sta accadendo in questi anni ai tifosi della Juventus è una sorta di paradosso sportivo.
Continuare a vincere la Serie A a mani basse da una parte e, di contro, sbattere ogni anno contro un muro che sembra invalicabile quando si oltrepassano i confini nazionali e che schiaccia ogni possibile volontà di festeggiare come si dovrebbe.

L’eliminazione di quest’anno assume i contorni peggiori, inimmaginabili a inizio stagione, ma anche prima dei 90 minuti di ieri sera: l’acquisto faraonico di uno dei due calciatori più forti del decennio, una rosa top in ogni reparto, un ambiente carico e finalmente giunto a proclami di vittoria, come solo le big possono fare, e poi?
Poi, arriva una squadra a inizio stagione sottovalutatissima, giovane, dinamica, che è diversa da tutte le altre per fisicità, intensità di gioco, freschezza e che, con invidiabile naturalezza, va a sbancare lo Stadium (non è da tutti, è risaputo) e si va a prendere una storica qualificazione alle semifinali, per lei e per tutto il calcio tulipano (ultima semifinale nell’edizione 2004/05 con il PSV).

E se, nelle scorse stagioni, alle varie sconfitte in finale o alle eliminazioni ci si poteva appigliare ad alcuni episodi, quest’anno la disfatta della banda di Allegri (non esente da responsabilità) è senza appello.
Non ci sono attenuanti e ogni tifoso bianconero è consapevole che ciò che è accaduto ieri sera non doveva accadere.

L’equazione “Ronaldo=Vincere la Champions” non è certamente valida, ma non perché non sia il fenomeno che tutti noi conosciamo, ma semplicemente perché a vincere è sempre e solo il team.

Sempre.

E i lancieri, ieri (e non solo), hanno dimostrato che con un collettivo affiatato ed entusiasta si possono vincere battaglie temibili senza paura, andando al Bernabeu e all’Allianz senza timori reverenziali e tornando ad Amsterdam con dei souvenir al gusto di capolavoro.
Ciò che vive il tifoso della Vecchia Signora lo stanno vivendo, in modo analogo, anche i supporters del PSG: una squadra composta dai due alieni del calcio del futuro e da una rosa fantastica.

Qui, la sensazione di disagio nasce in seguito alle ingenti spese per il mercato degli ultimi anni, che hanno toccato vette inarrivabili probabilmente per qualsiasi altro club al mondo e che hanno portato i due alieni del futuro a comporre una coppia d’attacco strepitosa; eppure, nella Coppa dalle grandi orecchie, mai si sono oltrepassati i quarti di finale, anzi, sono arrivate dolorosissime eliminazioni ai limiti dell’incredibile (le rimonte del Barcellona e quella di quest’anno del Manchester United sono qualcosa di storico, in senso negativo).

Qualcosa non va, in questo periodo.
Vincere un campionato nazionale dovrebbe significare motivo di orgoglio, di vanto, di caroselli e di gente in festa.
Tanto più quando ne vinci 8 di fila, un’enormità, come la Juventus o ne vinci 6 negli ultimi 7 anni come la squadra della Capitale francese (entrambe sono ad un punto per la certificazione ufficiale).

Sarà l’abitudine a vincere o sarà che ormai la Champions League ha assunto un valore troppo importante e le piazze vincenti diventano sempre più esigenti, ma conquistare il titolo sembra diventato, per alcune squadre, normale amministrazione.

E, invece, mantenere una costanza formidabile nei risultati e formare un vuoto siderale sulle inseguitrici, non è mai semplice, anche se ti chiami Juventus o PSG.
Certo, non vuole essere una consolazione perché entrambe dovevano fare molto di più di quello che è stato e le critiche che sono piovute prima sulla Senna e ora sulla squadra zebrata sono giustissime.
Ciò che incuriosisce è che il tricolore non è mai stato così poco considerato, in particolare in Italia, dove mai è apparso così marginale.

Ciò deve essere motivo di riflessione per tutti, per non dare ragione a quei nostri amici che preferiscono altri sport a quello che noi sappiamo essere il più bello del mondo.