Risulta impossibile di questi tempi non ammettere che il calcio stia facendo avvertire la propria mancanza, un pò come tutte quelle abitudini che abbiamo sempre avuto, le quali sono state giustamente limitate per contenere il contagio. In Italia così come nel resto d'Europa, per molti questo sport rappresenta qualcosa di più di un semplice svago: è la sua storia immensa ed eccezionale a ribadirlo, come una voce che nonostante la sospensione di campionati e coppe, continua a farsi sentire. Impossibile per me dimenticare quando ai tempi delle elementari non avevo bisogno di studiare la geografia, dato che grazie alle squadre di calcio conoscevo i nomi di quasi tutte le capitali europee: come resistere al fascino di quegli stemmi così sgargianti, di quei colori così pieni di passione; ero già innamorato di un mondo da cui non mi sarei più separato. 

E così nel corso degli anni la curiosità mi ha spinto a ricercare nei meandri della storia di questo sport, riportando alla luce vicissitudini lontane, ma dal fascino indelebile come quello di una vecchia foto in bianco e nero: su tutti spicca la storia di un club, sorto sul finire del 1800 in Scozia, meglio conosciuto in tutto il mondo con il nome di Celtic Glasgow.  

Fondato circa 132 anni fa con lo scopo di competere con gli storici rivali dei Rangers Glasgow, in origine questa squadra rappresentava la componente cattolica della popolazione: da epoca ormai remota la Scozia, così come in generale la Gran Bretagna è teatro della contrapposizione tra cristiani dalla diversa dottrina, fenomeno che spesso e volentieri ha dato vita a conflitti di vario genere. Oggi fortunatamente possiamo discutere di una rivalità di stampo differente, legata indissolubilmente come da tradizione alle vicende calcistiche: non a caso questi due club dominano da sempre le competizioni nazionali scozzesi, manifestando anche una certa propensione alla conquista di trofei dal gusto magico come la Coppa dei Campioni. Negli anni ‘60 il calcio non prevedeva logiche dai risvolti economici comparabili a quelli odierni, quasi sempre ci si affidava ai talenti della propria terra, ragazzi nati e cresciuti nelle vicinanze della sede del club, soprattutto in un ambiente fortemente patriottico come quello britannico. Ciò permetteva a formazioni come quella del Celtic di ambire alla conquista di un trofeo come la Coppa dei Campioni, una roba che al giorno d’oggi assume le sembianze di un’impresa davvero impensabile ed improponibile: proprio per tali ragioni, non c’è assolutamente da sorprendersi se nel 1967, spinti dall’immemore inno You’ll never walk alone, quei ragazzi con la maglia a strisce verdi su sfondo bianco, dai molti soprannominati "Hoops" (cerchiati), riuscirono a laurearsi campioni d’Europa. E come se non bastasse quell’anno venne ulteriormente incorniciato dalla conquista del "treble", conosciuto come triplete dalle nostre parti, consacrando la squadra scozzese come la prima in assoluto nella storia del calcio a riuscire in un’impresa di tali proporzioni. In quell’occasione gli uomini di Jock Stein, inserito da qualcuno nella top ten dei migliori allenatori di sempre, batterono l’Inter del mago Herrera imponendosi per 2 a 1 in rimonta, con le reti di Gemmell e Chalmers, entrambe nella ripresa, a ribaltare il rigore realizzato da Mazzola nel primo tempo. Da quel momento in poi, in molti hanno cercato di emulare un tale successo, ma solo in pochissimi possono raccontare in una pagina della propria storia di esserci realmente riusciti: si tratta degli olandesi dell’Ajax (1971/72) che tanto per cambiare liquidarono ancora una volta l’Inter in finale per 2 a 0 nel segno della leggenda Johan Cruyff; a cui si aggiunge il Psv di Guus Hiddink nella stagione 1987/88, che si impose ai rigori sui portoghesi del Benfica.  

Immancabile in una lista del genere l’incredibile impresa del Manchester United di sir Alex Fergurson del 1998/99, in una finale pazzesca che sembrava già vinta dal Bayern Monaco e ribaltata nei minuti di recupero con la rete rocambolesca dell’attuale tecnico dei red avils Ole Gunnar Solskjær. Dopo gli inglesi fu la volta del meraviglioso Barcellona di Pep Guardiola, una sorta di schiaccia sassi che distruggeva qualunque avversario gli capitasse davanti con l’eleganza del proprio tiki taka (2008/09). A questo punto sembra così strano che solo un anno più tardi l’impresa venne nuovamente ripetuta, stavolta da una formazione italiana dal nome Internazionale, guidata da un allenatore portoghese che fino ad allora sembrava non fallire un colpo: stagione 2009/10, l’Inter dei miracoli di José Mourinho che strapazzò il Bayern Monaco in finale nel segno del principe Diego Milito. Tedeschi che però non mollano e tornano a presenziare con forza la competizione, candidandosi nuovamente alla conquista finale solo pochi anni dopo, nella stagione 2012/13 in cui si travestono da giustizieri del tiki taka catalano, vincendo anche loro quel tanto ambito triplete. Ultima ma non meno importante, l’impresa del Barcellona di Luis Enrique, unica squadra ad essere in grado di riuscirci per ben 2 volte nella propria storia, nella stagione 2014/15, l’anno della prima finale della Juventus di Allegri, crollata a Berlino sotto i colpi del micidiale tridente Messi-Suarez-Neymar.  

E così si chiude il cerchio che racchiude tanti personaggi leggendari di questo sport, nella speranza che possa presto tornare a riscaldare i cuori di tutti noi, regalando agli appassionati di tutto il mondo quelle emozioni che solo attraverso il pallone possono arrivare nel profondo dell’animo umano.  




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