Alzi la mano chi non ha fatto il tifo per l’Islanda durante gli Europei del 2016! Ma come è stato possibile questo miracolo sportivo? Quanti calciatori islandesi conoscevamo prima di averli visti all’opera sulla ribalta continentale? Il calcio in Islanda è una passione genuina, è libertà, non conosce gli italici clamori, gli allenatori non passano mesi interi sulla graticola.
Qui da noi, in Italia, il frullatore pallonaro ha ormai coinvolto anche le serie minori, c’è poca pazienza perfino per chi allena i ragazzini. Ho visto un allenatore di una squadra della categoria Esordienti cacciato prima di Natale per scarsi risultati: poverino! Non ha mangiato il panettone!

In Islanda è molto diverso. Innanzitutto girano molti meno soldi, di conseguenza si vede in giro poca gente in cerca di affari. In secondo luogo, il modello di riferimento è l’Inghilterra, per cui si ama un calcio più semplice. Infatti sui campi con poca erba dell’isola il gioco è rude, molto fisico, con pochissimi fronzoli. Nei quartieri della capitale, Reykjavik, come pure nei villaggi più sperduti, il legame con la nazionale è viscerale.

I calciatori sono perlopiù dilettanti, quasi dopolavoristi. Finiscono di spaccare la legna nel bosco, una breve doccia, o anche no, e via all’allenamento. Soldi se ne vedono pochi, a meno che non hai un talento speciale e sfondi all’estero, spesso in Inghilterra. L’acquisto di Gylfi Sigurdsson da parte dell’Everton la scorsa estate ha sicuramente dimostrato che anche in Islanda c’è qualità.

Ma quello che fa la differenza è la passione. Non importa se c’è un freddo cane, non importa se ogni tanto bisogna uscire con la barca in mare per recuperare il pallone, non importa se non si vince niente. Si gioca per divertimento, e questo è il vero miracolo. Il calcio é visto come gioia, aggregazione, libertà.
Spero tanto che le luci della ribalta, giunte così inaspettate, non annacquino tutto l’amore che la gente dell’isola sta riversando sul gioco più bello del mondo.