Il Venezia Football Club si appresta a fare il proprio debutto casalingo nel campionato di massima serie, in occasione del match domenicale contro lo Spezia. I leoni, dopo aver disputato le prime tre gare in trasferta, tornano al Penzo dopo appena 100 giorni dall'inizio delle opere di adeguamento, concluse in tempi record per ottenere lo status di idoneità dalla Federazione. 
L’impegno profuso da società, amministrazione comunale e addetti ai lavori in tal senso è stato encomiabile. Tuttavia, non è bastato a placare le critiche di buona parte della tifoseria per un progetto ritenuto poco chiaro e perennemente all'ombra delle business strategies della nuova proprietà a stelle e strisce.
In pochi sono riusciti a spiegarsi gli acquisti di Busio e Tessmann dalla MLS, giovani apparentemente promettenti ma, a conti fatti, ancora acerbi per la serie A.
E quasi nessuno, del resto, ha compreso l'aura di esaltazione per le nuove maglie, tanto inedite quanto slegate dalla tradizione e dal rapporto identitario con il club.

Se da un lato a squadra appare inesperta, frutto perlopiù di scommesse da vincere, dall’altro l’aspetto sportivo rischia di passare in secondo piano, offuscato da una gestione aziendale quasi esclusivamente rivolta all’esportazione del brand su scala mondiale.
Nell’immaginario collettivo, il Venezia calcio è ancora quello dei vari Maniero, Recoba, Poggi, Vieri. Quello delle trasferte in barca, delle magliette emmezeta e del tutto esaurito ogni domenica. Non di certo quello dei talent-scout a la football manager e del merchandising internazionale.
Parlare al passato, mai come in questo caso, è allora cosa buona e giusta. Perché il Club, di questo passo, rischia il flop.
In pochi lo hanno capito. Eppure, ad ascoltare più di qualcuno, i segnali sono li, sotto gli occhi di tutti.
E, a ben vedere, lo erano già da quest‘estate, quando la società si mostrava più impegnata a fare annunci sui social che a contrattare giocatori.
Nei preparativi per la nuova stagione, del resto, ci si poteva immaginare di tutto meno che si sarebbe arrivati alla prima di campionato con undici sconosciuti e una maglia priva di storia e tradizione.
A storcere il naso in laguna, in tempi non sospetti, erano stati proprio gli abbonati, il cuore pulsante della tifoseria, che, all’indomani della presentazione delle nuove divise da gioco, commentavano così più o meno in tutte le bacheche del club lagunare:

“Ma è uno scherzo?
 “Quest’anno ci vestiamo da Pan di stelle?”
“Ma dove sono i nostri colori? Questi non siamo noi”


Bastava dare un’occhiata a questo per rendersi conto della situazione.
Le nuove maglie targate kappa, realizzate per l’occasione dallo studio newyorkese fly nowhere, hanno stile, nulla da dire. Ma sono un’eresia agli occhi di chi, il Venezia, lo segue da sempre. Non contengono, se non in minima parte, l’arancio, il nero e il verde, i colori storici del club. Inoltre, causa un singolare pasticcio burocratico, non raffigurano nemmeno il leone di San Marco, elemento imprescindibile delle divise veneziane da più di mezzo secolo.
Ci sarebbe da chiedersi il perché di queste scelte, ma forse si andrebbe incontro ad una perdita tempo. Dopotutto, quale potrebbe essere la ragione per commissionare il design di una maglia ad una agenzia statunitense, se non il marketing?
Ecco, il marketing appunto. Il punto focale della rinascita del brand. Cosa necessaria, specie in questo periodo. Nulla quaestio. Ma necessaria a tal punto da indebolire la tradizione?
A quanto pare sì.
La gestione commerciale, in fondo, serve a portare ricavi. E i ricavi, proprio grazie al sold-out del merchandising globale, sono arrivati.
Tuttavia, ciò che continua a non avere spiegazione è come sia possibile ignorare la dimensione sportiva, che nel calcio, anche in quello odierno, dovrebbe rappresentare il fulcro di ogni progetto.
Se pare un dettaglio trascurabile il fatto che nelle ore immediatamente successive alla prevendita siano state vendute più maglie in America di quante non ne siano state acquistate in Italia, infatti, non è altrettanto secondario che alla corte di mister Zanetti sia arrivata una schiera di giocatori pescati in giro per il mondo a mò di globetrotters, con trascorsi tutt’altro che esaltanti.
Senza fare nomi, è indubbiamente singolare che tra i tanti approdi a Venezia siano in pochi a poter vantare esperienze in campionati di rilievo come la Serie A. Con giocatori del calibro di Ribery e Falcao a spasso, ad esempio, si sarebbe potuto agire, o quantomeno ragionare, da un'altra prospettiva. L’appeal di Venezia, unico nel suo genere, avrebbe potuto - in termini generali - attirare ben altri talenti in laguna, eventualmente stagionati ma comunque più utili alla squadra.
Le scelte della dirigenza sportiva, dirette da subito sui giovani internazionali, possono d’altronde sembrare visionarie e, a tratti, poco ponderate. Il budget limitato non ha aiutato, ma aveva sicuramente lasciato una ampia libertà per sondare il mercato interno, poi inspiegabilmente snobbato.
Con una lista di occasioni alquanto nutrita, il vero azzardo è stato, forse, proprio quello di escludere a priori soluzioni altrimenti ovvie, vuoi perché poco spendibili a livello commerciale, vuoi perché non allineate ai futuri piani strategici del club.
Al momento, dopo la bella prova del Castellani, non dovrebbe esserci motivo di preoccuparsi. Okereke ed Henry, entrambi a segno, sembrano essersi integrati alla perfezione, mentre la difesa sembra aver finalmente registrato segnali incoraggianti.

La gara contro lo Spezia, in questo senso, servirà a dimostrare se si è trattato di eccezione o piuttosto di regola. Il rischio che nascano rimpianti di qui a poco è ad ogni modo palpabile, se non altro in vista di un campionato che si preannuncia aperto e combattuto fino all’ultima giornata.
La speranza di tutti i tifosi, naturalmente, resta quella di vedere una squadra competitiva. Tuttavia, fatte le giuste premesse, non ci sarà di che essere sorpresi se e quando le cose non dovessero andare nel verso giusto.