6 anni fa, in Brasile è stato siglato uno dei goal più assurdi della storia del calcio. Vi immaginate cosa vuol dire solo pensare di poter volare abbattere chi si ritrova già in cielo? Sembra impossibile anche solo pensarlo, beh qualcuno ci è riuscito e quel qualcuno è Robin van Persie.
Robin è olandese, e chi viene dai paesi bassi il volo e la voglia di volare ce l’ha nel sangue, nel bene o nel male.
Basti pensare all’olandese volante Dennis Bergkamp, famoso proprio per la sua capacità di impattare la sfera di cuoio proprio quando ancora fluttuava leggera nell’aria e scaraventarla in porta con violenza oppure toccarla quel tanto che basta da creare parabole dalle traiettorie che andavano contro ogni legge fisica.
Nonostante ciò, la stella dell’Arsenal aveva una paura folle di volare, un’irrazionale fobia dell’aereo che ne limitava le energie. Preferiva fare viaggi lunghissimi in treno, macchina o pullman piuttosto che poche ore seduto comodamente su un aereo. Se si parla di calcio al volo, il pensiero non può non rivolgersi nei confronti di Marco Van Basten, fuoriclasse d’altri tempi. Il cigno di Utrecht amava destreggiarsi co con i tiri al volo, quasi come se la sua classe e la sua eleganza fossero troppo superiori per noi terrestri. Van Basten è l’autore del goal più difficile di sempre a mio avviso, si perché quella parabola disegnata contro la Russia non può esser buttata giù così in pochi secondi, ci vogliono anni di studi di architettura e ingegneria per poter creare un arco così meravigliosamente perfetto, per eseguire un gesto tecnico del genere è necessaria una sensibilità del piede fuori dal comune, qualcosa che noi comuni mortali non possiamo neanche immaginare. In questi casi l’unica cosa che possiamo fare è solamente rimanere lì e godersi lo spettacolo, con gli occhi sgranati e il fiato mozzato dall’emozione e provare rendersi conto che si sta ammirando qualcosa che non accadrà mai più.
Ma torniamo a quel 13 giugno, a Salvador de Bahia si disputa una partita che vede come protagonisti le squadre che si sono date battaglia 4 anni prima per la conquista della coppa del mondo; il Sudafrica quella notte incoronò come regina del mondo la Spagna; la partita fu combattuta tanto da dover andare ai supplementari, fino a che Don Andrès Iniesta non decise di sbloccarla e concluderla con una magia delle sue. Quel goal cucì la stella sul petto della furia Roja proprio sopra la corona di Spagna. Contemporaneamente quel goal oltre a riaprire due ferite mai cicatrizzate del tutto, ne incise un’altra profondissima, nel petto già dolorante dell’Olanda. Per la terza volta nella loro storia, gli Orange si sono ritrovati ad un passo da quella maledetta coppa. La meritavano nel ‘74, ma il diluvio decise di annullare la loro tecnica e decise di favorire il fisico dei padroni di casa, la meritavano nel ’78 ma il clima e la tensione politica erano troppo avversi; probabilmente non la meritavano del tutto nel 2010, ma forse proprio per questo, per una questione di karma, la filosofia del tutto torna, la filosofia dove se semini del bene sei destinato a raccoglierlo, forse proprio per questo, quasi più per diritto che per meriti sportivi, si aspettavano di poter finalmente raggiungere quella coppa tanto bramata. Se c’è una Nazionale che meriterebbe di stare tra le stelle è proprio l’olanda, che ha dato così tanto al calcio, che lo ha rivoluzionato e nobilitato. Quell’Olanda patria di Michaels e di Cruijff, quel calcio meraviglioso dove tutti erano in grado di fare tutto, quel calcio dalle ideologie così nobili basate sulla proposizione del gioco offensivo, sulla proposta delle proprie idee e non sull’annullamento dell’avversario. Forse è per questo che gli Orange sono così legati al volo, forse c’è quell’insaziabile voglia di raggiungere quella stella e cucirla stretto sul proprio petto per legittimare e onorare la propria storia.
Ma per poter volare, non devi aver paura di cadere, non puoi farti condizionare dalla razionale paura delle vertigini, nel volo non c’è niente di razionale, per potere essere lassù in alto devi essere folle, spregiudicato proprio come lo è stato Van Persie, che spinto dall’orgoglio fiammingo, dalla sete di vendetta, dalla spasmodica ossessione di agguantare quella stella che brilla così luminosa ma così distante dal proprio petto ha deciso di volare, ha deciso di sfidare i limiti della terra, staccando i piedi da essa, citando Sèpulveda: “vola solo chi osa farlo.” Robin ha deciso di dimenticare tutte quelle leggi fisiche che, in teoria, non glielo avrebbero potuto permettere. Ha deciso di innalzarsi in cielo e godersi lo spettacolo del suo gesto, il panorama da lì deve essere mozza fiato, deve esserlo ancor di più se hai appena segnato uno dei goal più iconici della storia dei mondiali. Deve essere davvero indescrivibile riuscire a sconfiggere il nemico che ha infranto i tuoi sogni, colui che ti ha portato via tutto ciò che più desideravi. Anche se per pochi secondi, Robin van Persie è riuscito a volare, è andato così in alto da poter dimenticare tutto e godersi il momento. Il numero 9 purtroppo è tornato sulla terra ferma ed è consapevole che quel goal non darà un mondiale alla sua amata Olanda, Robin sa bene che nonostante il 5-1 a favore dei suoi, la cicatrice purtroppo è ancora aperta, ma per pochi secondi Robin è stato in cielo, proprio accanto alla stella che i suoi connazionali cercano di portare ad Amsterdam sempre. Anche se per ora quella stella non sono riusciti a strapparla al firmamento, quantomeno gli olandesi hanno imparato a volare ed hanno capito quanto sia bello. “Quando camminerete sulla terra dopo aver volato, guarderete il cielo perché là siete stati e là vorrete tornare.”
Finisco con questa frase di Leonardo Da Vinci che forse, vista la sua ossessione per gli uccelli e per il volo, è l’unico che in parte può capire gli olandesi.