Valentino Mazzola (Cassano d'Adda, 26 gennaio 1919) è stato un calciatore italiano, di ruolo attaccante e centrocampista.

Valentino Mazzola non è stato solo un Campione di calcio, è un mito, quando si parla di lui è come se avesse un alone, che lo mette in evidenza. Per tanti anni al Filadelfia si parlò delle sue prodezze in quello Stadio, come quando lo fece Nereo Rocco affermando: “Qui a Torino tu puoi fare un gol strepitoso, magnifico, eppure sempre qualcuno racconta che una volta Valentino Mazzola aveva fatto meglio, molto meglio”.
Lo spirito di Valentino aleggiava nel Filadelfia assieme a quello dei suoi compagni di squadra, finchè, sciaguratamente, distrussero quello stadio, un pezzo del grande Torino, per, ricostruirlo dopo tanti anni. Ancora adesso alcuni ruderi sono fermi là come reperti storici e, quando il vento soffia, pare di sentire la nota del Trombettiere del Filadelfia.
Qualche anno fa, alla posa della prima pietra per il Fila, ero presente ed ebbi una sensazione molto forte. All’ingresso del pubblico nello stadio la voce di Nicolò Carosio declamava la formazione del Grande Torino, quando io mi trovavo sullo storico campo. Provai l’emozione di sentire la presenza degli Invincibili che si allenavano attorno noi, passandosi la palla facendo udire il rumore dei calci sul cuoio dei palloni. Fu poco più che un attimo, credo che la mia fantasia abbia colto in una visione onirica il momento e la situazione.
Mazzola proveniva da una famiglia molto povera. I suoi primi palloni furono le lattine che trovava nei vicoli vicino a casa sua che lui calciava e così si guadagnò il nome di tolén (lattoniere) con tanti trofei di vetri rotti e scarpe rovinate… Persino rubate, perché se le era tolte per non rovinarle.
A 14 anni incominciò a lavorare  in un canapificio, dove trovava impiego quasi tutto il paese. I primi calci ad un vero pallone li diede al piccolo stadio dove giocava la squadra del paese, la “Cassano tre soldi”, con una breve parentesi nella sua squadretta formata da lui “La Juventus” di cui da piccolo era tifoso. Poi guarì dalla malattia Juve...
Tutto il paese lo ricorda per la sua generosità, era presente per tutti, ricordando le sue origini. I ragazzi del Paese si ritrovavano spesso nel tempo libero. Fra questi c’era, oltre Valentino, anche Andrea Banoli, futuro capitano nel Milan del trio GreNoLi. Un giorno all’Adda, Valentino Mazzola si accorse, vicino alla riva, che mancava Andrea, comprese subito e si buttò in acqua e salvò Banoli.
Certo che non può essere un caso che due capitani della Serie A nascessero a 50 m. uno dall’altro. Del resto a Cassano d’Adda nacque anche Emiliano Mondonico giocatore e allenatore del Torino nella finale di Amstrdam, con l’Ajax, quella dei due pali e della traversa all’ultimo minuto.

Gli anni passarono e nel 1938 trovò lavoro e posto in squadra all’Alfa Romeo che allora militava in serie C.
Da lì avrebbe dovuto andare al Milan, ma per un disguido postale il trasferimento non andò a buon fine. Lui disse che era meglio così, se fosse andato al Milan non avrebbe più lavorato e l’ozio lo avrebbe frenato e rovinato la carriera!
Trascorse il servizio militare in Marina a bordo dell’Incrociatore Confienza e lui trovò il modo di potersi allenare con i giocatori del Venezia. L’incrociatore rimase in riparazione molti mesi, fino a quando il Venezia lo acquistò dall’Alfa Romeo. Giocava centravanti al posto del titolare Pernigo disputando le prime partite di serie A. Quando tornò  Pernigo, Mazzola fu arretrato e trovò la sua posizione di mezzala sinistra titolare.
Ebbe due convocazioni in Nazionale al posto di Meazza. Nella prima giocò male, probabilmente per l’emozione, ma nella seconda si riscattò con gli Spagnoli dove si fece ammirare per la grinta, la visone di gioco, e anche per uno dei quattro goal agli spagnoli. In seguito fu tante volte in Nazionale con il resto del Torino.
Grazie a un amico che gli raccontava del Torino si innamorò di quella squadra come di una bella ragazza ed il destino volle che, una sera di Maggio, il Torino andasse a giocare con il Venezia e fu sconfitto. Sull’ 1 –0 per il Torino, gridarono “Venduto” a Mazzola e la sua rabbia agonistica si scatenò talmente da potare il Venezia portando la sua squadra alla vittoria per 3 – 1. Quella sera, perso lo scudetto, il Toro acquistò Loik e Mazzola per una cifra incredibile che il Presidente Ferruccio Novo versò al Venezia; 1.200.000£. più due contropartite tecniche, gabbando la tentennante Juventus che da tempo aveva messo sotto osservazione i due calciatori, offrendo una cifra minore. I tifosi del Venezia protestarono ma il loro Pesidente fece vedere l’assegno di Novo ed i tifosi capirono. Così Novo pose due tasselli indispensabili per la costruzione del Grande Torino.
Per lunghi anni Mazzola è stato il giocatore del Grande Torino più conosciuto nel mondo. Fu tra i primi a indossare un maglia con il numero, il primo a vestire una maglia N. 10 e nessuno potrà mai avere questo privilegio. Poi dopo vennero i Rivera, suo figlio Sandro, Platini, Maradona e Pelè, assieme a tanti altri.
Fu designato “il nostro Capitano” da Cap. Belotti l
eggendo i nomi della lapide di Superga il 4 maggio 2020, nominandolo Capitano di tutti i giocatori che hanno vestito la maglia del Torino, dopo Superga.
Mazzola in gioventù nel Venezia aveva ricoperto il ruolo di attaccante, quindi sapeva calciare  potentemente con entrambi i piedi, poi arretrò a mezzala d’attacco in coppia con Loik dotato di caratteristiche fisiche eccezionali, tanto che si diceva che Mazzola poteva fare il suo gioco grazie a Loik che lo copriva.

Che giocatore era Valentino Mazzola? Brera lo descrisse così: “Un traccagno con doti atletiche strabilianti. Scattava da velocista e correva da fondista. Tirava con i due piedi come uno specialista del goal. Staccava e incornava con mosse da grande acrobata, recuperava in difesa e impostava in attacco, e vi rientrava spesso per concludere. Era insieme il regista e il match-vinner di una squadra che aveva pochissimi uguali al mondo. Un fenomeno di vitalità e dinamismo. Decideva le partite con straordinarie manifestazioni di carattere e di abilità prestipedatoria”.
Di questi “miracoli calcistici” Valentino ne fece a migliaia: quando aveva la sensazione che la sua squadra non giocasse come sapeva, quando avvertiva qualcosa dentro di se, si tirava su le maniche, magari sentendo il Trombettiere del Filadelfia suonare la sua tromba, guardava i soi compagni e da quel momento scattava il  “quarto d’ora granata” e “Non ce n‘era per nessuno”, finchè le cose non andavano a posto.
Un esempio è quanto successe a Roma, quando i capitolini nel primo tempo passarono in vantaggio e quando il Torino uscì dal Flaminio nell’intervallo, Mazzola fu preda degli sfottò dei tifosi che esaltarono Josè Valle argentino che, secondo i critici romani, aveva dato lezione di calcio a Mazzola. Quando Mazzola uscì nel secondo tempo, tirando su le maniche, qualcuno lo udì dire “Adesso giochiamo noi”. I critici non si erano ancora seduti che già il Torino aveva pareggiato, proprio con un goal di Capitan Mazzola. Finì 7 – 1, con altri due goal di Valentino Mazzola, tanto per chiarire bene il concetto.

Mazzola era molto affezionato ai suoi figli e spesso portava con se Sandrino, il piu grande , che doveva diventare anche lui famoso nell’Inter. Un giorno, ad un derby. Sandrino e il figlio di Depetrini, uno vestito con la diviso del Torino l’altro con quella della Juventus, fecero il loro ingresso in campo su un’automobilina  a pedali, fra gli applausi del pubblico. Un bel gesto di Fair Play sportivo. In tutte le partite Sandrino, in una pausa del riscaldamento, tirava il rigore che Bacigalupo gli lasciava segnare e il bimbo faceva il giro del campo tra gli applausi dei granata: Sandrino stava già imparando  il mestiere!
I suoi compagni gli volevano molto bene. Poiché Mazzola aveva delle difficoltà economiche, a inizio stagione, al rinnovo dei contratti, tutti firmavano lasciando parte di metà dei premi a lui, perchè avesse stipendio doppio, per aiutarlo, e tutti erano d’accordo su questo. Ormai la cosa, per altro risaputa, non è più possibile provarla perché tutti i contratti del Torino furono sciaguratamente bruciati al Filadelfia.
A Bari, una domenica di fine Aprile, si giocò una partita storica: a 10 minuti dall’inizio l’arbitro fischia una punizione e il portiere dispone la barriera. Mazzola tira e indovina uno spiraglio tra una testa e l’altra, come una rasoiata a fil di palo, goal! Quello fu l’ultimo Goal di Capitan Mazzola, L’ultimo del Grande Torino, che era, come diceva Arpino “ros come al sang, fort come el barbera.”

Un giorno, recentemente, mi accompagnarono per la prima volta alla Tomba del grande Torino, Al Cimitero Monumentale ed il primo nome che cercai fu quello di Mazzola, poi di Maroso e di tutti gli altri. Fu un’emozione molto forte quella che provai. Non quella eterea di un mito, come  a Superga, ma quella di persone colpite da un immane tragedia umana. Lì, per la prima volta, il mio cuore fu colpito dalle dimensioni della catastrofe e nella mia mente mi rivolsi a Mazzola, a Maroso ed a  tutti gli altri portandogli il mio saluto e la mia preghiera commossa, avvertendo fortemente la loro presenza spirituale.

Ecco cosa pensai davanti alla loro tomba:
Il silenzio degli Invincibili.
Ammutolito /osservo quel monumento/ di lastre in pietra e marmo /Lentamente, alla luce di un tramonto /mi pervade l’ineluttabile verità!
Ogni pietra mi appare sporgere avanti/l’effigie di un piccolo nome/a sussurrare la persona/

il Cognome ad acclamare il Campione.
Valentino, Valentino …./Capitan Mazzola,che cosa mi vuoi dire?/Perché più di altre la tua pietra/viene verso di me?/Solleva le maniche della tua maglia,/scatena il quarto d’ ora granata!
Maroso, piccolo Maldo/stordisci l’ ala avversaria/con finte e dribbling…
Cosa mi sussurrate adesso,/ voi Tutti/ in questo silenzio di pace?
Ho visto di altri campioni seguirvi/e provai grande dolore./
Solo qui, ora, forse, posso comprender/ la vostra immane tragedia.

FVCG