Siamo ormai giunti alla 9^ giornata di campionato e il mio occhio di riguardo ha avuto come riferimenti due dei più grandi allenatori, a mio avviso, attualmente in circolazione: sto parlando di Antonio Conte e di Maurizio Sarri.

A dire il vero è già da un po’ di anni, in particolare dal lontano 2006, che ho il piacere di osservali quando si sono avvicendati sulla panchina dell’Arezzo. All’epoca Conte, dopo una brillante carriera da calciatore tra Lecce e Juventus conclusasi nel 2004, iniziava il suo percorso di allenatore dopo un anno di apprendistato a Siena come vice di mister De Canio.

Fin da subito si aveva la sensazione di un allenatore destinato a raggiungere grandi traguardi: infatti offrì un calcio propositivo fondato su un 4-2-4 molto offensivo con esterni propensi all’attacco e un’aggressività concentrata sul portatore palla avversario per recuperare velocemente il pallone e far ripartire l’azione.

Conte, dopo un’amara retrocessione all’ultima giornata con l’Arezzo, si conferma come allenatore emergente sì ma con grandi doti sul piano tecnico-tattico, capace di cambiare modulo e di adeguarsi alle rose messe a disposizione dalle società. A conferma di ciò gli anni a Bari e Siena ottenendo due promozioni dalla serie B alla serie A fino alla chiamata della sua “amata” Juventus nel 2011. Qui sale definitivamente alla ribalta, riportando sotto la luce dei riflettori la squadra in difficoltà nel post calciopoli, arrivando alla vittoria dello scudetto contro un Milan a detta di tutti più forte (aveva in rosa giocatori del calibro di Ibrahimovic e Thiago Silva) e preparato che aveva vinto il medesimo trofeo l’anno prima.

Se dovessi descriverlo con due parole direi principalmente grinta ed entusiasmo perché chiede sempre il 120% ai suoi giocatori, sta a bordo campo solo perché non può entrarci e dà tutto sé stesso senza risparmiarsi: praticamente un vincente. Questo viene comprovato da altre due esperienze dell’allenatore salentino: la Nazionale Italiana che ha guidato dal 2014 al 2016 e il Chelsea che ha guidato dal 2016 al 2018. Infatti con la Nazionale viene eliminato (immeritatamente) solo ai quarti di finale contro una squadra sulla carta nettamente più forte, la Germania, dopo aver dato una lezione di calcio alla Spagna negli ottavi di finale. Ancora una volta dimostra una capacità unica di tirare fuori il meglio da giocatori considerati mediamente discreti come nel caso di Pellè e Giaccherini oppure di rigenerare giocatori che vengono da annate piene di tribolazioni e con risultati tutt’altro che soddisfacenti come nel caso della Juventus o del Chelsea.

  1. Sul piano tattico è un allenatore che è passato dal 4-2-4, passando per il 4-3-3, al 3-5-2, modulo quest’ultimo che ora predilige con esterni efficienti sia in fase offensiva che difensiva, con una difesa granitica che solitamente è tra le migliori del campionato (se non la migliore) e con un centrocampo formato da giocatori tutta quantità e qualità perché in grado di difendere e rinculare e, subito dopo, di attaccare con inserimenti ficcanti in zona gol. In particolare, il gioco di Conte si declina in maniera piuttosto verticale e fa uso di giocate preordinate e memorizzate dagli interpreti.

Maurizio Sarri ha un trascorso totalmente diverso che lo ha portato ad intraprendere una carriera dapprima in banca per poi decidere di dedicarsi esclusivamente al mestiere di allenatore, partendo dalla seconda categoria, passando per promozione ed eccellenza, alla serie C, alla serie B fino alla chiamata del presidente Corsi ad Empoli con cui si guadagna la serie A.

Per molti anni è un allenatore passato in secondo piano che ha ottenuto risultati sì buoni ma, allo stesso tempo, con grande difficoltà di affermazione. Infatti quando il 47enne Maurizio diventa l’erede di Conte sulla panchina dell’Arezzo si contraddistingue per un tatticismo stremante e per la scaramanzia, vedi ad esempio l’ossessione per il colore nero, tanto da costringere i suoi giocatori ad adottare uno spray apposito sulle scarpe, oltre a difettare di manie come quella di far ascoltare obbligatoriamente ai suoi giocatori il discorso di “Ogni maledetta domenica” prima di ogni partita.

Tuttavia, nel 2014, arriva la consacrazione con il suo esordio in massima serie conquistando la salvezza con gli azzurri empolesi con quattro turni d’anticipo e l’Empoli viene considerata la rivelazione del campionato. Questo gli permette di avere gli occhi addosso di grandi club e, nell’estate del 2015, si concretizza il suo trasferimento a Napoli. Qui sicuramente si esalta facendo rendere al meglio la squadra (ottiene il record di punti nella storia del Napoli) e valorizzando tantissimi giocatori della rosa che, fino all’anno prima, non avevano reso al massimo delle loro potenzialità.
Tant’è vero che il dizionario Treccani ha inserito tra i suoi neologismi l’espressione “sarrismo” che altro non è che “la concezione del gioco propugnata dall’allenatore Maurizio Sarri, fondata sulla velocità e la propensione offensiva; per estensione, l’interpretazione della personalità di Sarri come espressione sanguigna dell’anima popolare della città di Napoli e del suo tifo”.

Questa definizione spiega se non tutto, certamente una buona parte della filosofia calcistica dell’allenatore toscano: con una parola un perfezionista che vede la squadra come una macchina perfetta (vedi l’uso dei droni per valutare le fasi di allenamento delle squadre che allena) dove ciascuno deve fare la sua parte, prende appunti su tutto per tentare di correggere gli errori e portare alla massima espressione il gioco. In sintesi un maniaco della perfezione che alla lunga ripaga.

Sul piano tattico pone grande attenzione alla fase di riconquista del pallone che deve avvenire in maniera aggressiva e codificata e ciò che caratterizza le sue squadre sono il baricentro alto e il possesso palla. In particolare, il tecnico bianconero ha sviluppato, negli anni, una preferenza per il 4-3-3 o per il 4-3-1-2 con uso del palleggio corto e dell’alternanza dei passaggi in avanti e all’indietro per muovere gli schieramenti difensivi avversari e generare la superiorità alle spalle della pressione.

A mio parere per illustrare al meglio la differenza tra le interpretazioni dei due tecnici è emblematico il caso della mancata convocazione di Jorginho agli Europei del 2016 da parte di Antonio Conte. All’epoca ritenuto forse il miglior centrocampista italiano, il centrocampista del Chelsea era perfetto, con le sue abilità sul corto e le sue scelte perennemente orientate ad attirare avversari in zona palla, per il gioco di Sarri, ma meno adatto al calcio di Conte che aveva necessità di giocatori capaci di muovere il pallone più in verticale e su maggiori distanze.

Per chi scrive è difficile esprimere una preferenza tra i due tecnici perché, seppur diversi, hanno entrambi idee innovative e ricercano tramite belle trame di gioco di ottenere la vittoria. Un bilancio ancora più completo lo si potrà certamente trarre alla fine di questa stagione essendo la prima di tutti e due sulle panchine di Inter e Juventus.