Bentornata cara Champions. 
Eppure ci siamo lasciati solo pochi mesi fa in un clima surreale, colmo di paura e preoccupazione. Ci siamo salutati in uno stadio portoghese, il "Da Luz" di Lisbona, con la coppa mostrata con orgoglio ai seggiolini tristi di uno stadio deserto. È andata così, doveva andare così. 
Doveva andare così perché la salute rappresenta una priorità al netto di un'emozione che assume la forma sferica che rotola sull'erba di un campo di calcio. Quel pallone, su quel prato, con quella musichetta che fa impazzire i bambini che sognano ad occhi aperti di essere i futuri protagonisti delle prossime finali di Champions. 
Eppure doveva andare così. Ma il mondo è andato avanti e continua a farlo nonostante le difficoltà. La salute degli atleti, nonostante qualche caso di positività ai test per il covid19, viene comunque tutelata da un protocollo rigido e dalle norme stilate per la prevenzione del contagio. 

Eppure il mondo va avanti, gli operai nelle fabbriche producono, gli imprenditori continuano ad investire, gli impiegati continuano a lavorare. E lo fanno senza tutte quelle prevenzioni che tutelano i calciatori e senza percepire neanche la decima parte di benefici ed introiti economici che i nostri giovani e sani supereroi guadagnano con le casacche colorate dei rispettivi club. Con il rispetto di tutte le norme di sicurezza imposte dalla Uefa, allora, torniamo alla nostra amatissima competizione tradizionale, negli stadi dei club che ospitano o quelli in trasferta, magari per sperare in una clamorosa rimonta, magari con un pallone che gonfia la rete in zona Cesarini. 
Perché, cara Champions, come direbbe Vasco, "Mi aiuto con le illusioni E vivo di emozioni che tu, tu... non sai nemmeno di darmi". 

Dario Bocchetti (ODG Campania)