Dopo più di cento anni di storia, e un fil rouge che non aveva fondamentalmente modificato l'immagine negli anni, dapprima fu il logo.
In una elegante manifestazione, TENUTASI A MILANO (sic!), il club abbandonava la sua immagine simbolica tradizionale, lo scudo a strisce con il torello rampante, espressione di Torino, per passare una ardita sintesi di forme priva di significato, a un font ideato a tavolino.

Mi soffermo, rassegnato, oggi come allora, su alcune espressioni che i Guru anglofoni dell'impresa adottarono all'epoca, per convincere i più scettici: "Il cambio di logo è un po' come il cambio d'abito. Lo si fa per adattarsi ad una nuova realtà... La Signora era quindi in cerca di uno storytelling diverso, di un nuovo modo di raccontarsi, intelleggibile in ogni parte del mondo...".

Coloro che proposero quella interpretazione, erano e sono di certo ESTREMAMENTE PREPARATI sulle moderne tecniche e sulle illusioni del marketing.
Un po' meno, mi sembra di poter osservare, sulla saggezza secolare degli animi semplici, laddove, fin dai tempi dell'asilo, è noto, ad esempio,  come l'abito non faccia il monaco.

Ma nemmeno basta.

A prova controfattuale, sta la considerazione secondo cui il potere juventino ERA e, PURTROPPO È -sono il primo a dirlo tristemente- limitato al territorio nazionale, e che l'Europa (per lo meno quella calcistica) non fa ancora per noi...

Ci hanno cacciato A PALLONATE!
A meno di voler ammettere che a Real, Barcellona ed Ajax, tanto per citare le ultime tristi esperienze, non fosse nota la profonda modifica avvenuta con il cambio di logo.

Forse, avessero saputo anche loro dello "storytelling in progress" sarebbero stati letteralmente terrorizzati e le vittorie sarebbero state nostre!
Se vogliamo vivere di comunicazione, quindi, mi permetterei di suggerire al "Chief strategy officer di Interbrand" e all'"Head of brand, Licensing and retail" di Juventus (ambedue italianissimi, mi sembra, che supportarono con passione la teoria), di continuare a seguire con passione e competenza  i dettami più arditi e moderni del marketing.

Devono, peraltro, curare con altrettanta attenzione che della evoluzione siano informati anche e SOPRATTUTTO GLI AVVERSARI! Se loro, infatti, NON SANNO che attraverso la modifica del brand la Juventus è diventata una potenza calcistica internazionale, continueranno a farla a pezzi con crudele insensibilità (e, fra noi, non abbiamo nemmeno più Buffon che sottolinea la perfidia del gesto...).

Passata, bene o male, la buriana del logo, ora pare toccare alla casacca.
Bella, brutta, più chiara, più scura, bi (bianca e nera) o tricolore (nuance rosée che pare uno champagne)... NON È PIÙ A STRISCE!
Che ricordi una divisa da fantino o una araldica medievale, resta il fatto NON HA PIÙ IL SUO RIGATO CLASSICO.
Qui, prima ancora che noi nostalgici, dovranno dolersi i milioni di "anti" che da anni ci paragonano ai galeotti, ai pigiamati ed a tutte le figure attinenti a codeste caricature.
A chi potranno paragonarci, ora?
Allo stemma del vile Maramaldo?
Sicuramente, qualche altro rampante inventore di immagini e di tecniche di convincimento globale saprà  fornirci spiegazioni dotte e convincenti (rigorosamente nella lingua di Shakespeare), che spiegheranno le nuove scelte.

Errare è umano e perseverare diabolico, e mi auguro, visti i precedenti, si lascino perdere le pure apparenze estetiche.
Magari, sapranno buttarla sul tecnico e riusciranno a convincerci, con sigle raffinate ed acronimi incomprensibili, che, con il nuovo 5G, l'ultra HD, l'8 K e la aumentata profondità di colore, le righe sulle divise rendevano male nelle trasmissioni satellitari...

Quien sabe? Attendiamoci di tutto.

Spazzate le due SIMBOLOGIE fondamentali (logo e divisa), non ci resta che attendere che questo folle "nuovo che avanza" ci imponga di modificare addirittura il nome del club (FIAT docet).

Chiniamo il capo e continuiamo a subìre, visto che non abbiamo alcun potere contrattuale.
Ciò che non potrà mai tramontare resta la nostra Storia, la Gloria sportiva, il Ricordo, l'Onore di aver vissuto tempi più umani e più umanistici.