Quando il 19 giugno 2020 ho appreso per puro caso dell'incidente gravissimo che aveva portato ancora una volta Alex Zanardi a lottare tra la vita e la morte, pur non conoscendolo di persona, come mi era invece capitato con diversi piloti di formula 1, per via del mio lavoro nel campo della simulazione di guida, sapendo, anche attraverso i racconti di chi lo aveva conosciuto e frequentato, che tipo di persona fosse, mi ricordo di aver pianto.
Sapevo della sua grande forza d'animo, quella con cui aveva fronteggiato la gravissima menomazione che lo aveva ridotto ad un tronco, ma non per questo gli aveva impedito di continuare a praticare sport a livelli professionistici, sempre con il sorriso, sempre fiero di sé: un vero e proprio riferimento per chiunque abbia subito un incidente come il suo.
Come sappiamo, nel frattempo sono passati giorni, poi mesi e anni, e le sue condizioni sono ormai diventate stazionarie. Ci si abitua a tutto, per cui ciò che gli è successo è diventato un fatto ormai noto, e come sempre capita, poco alla volta ce ne si è fatti una ragione, per andare avanti. Ma mai con indifferenza, sempre con grande rispetto, e grande affetto per ciò che egli ha rappresentato in termini di esempio di come si affrontano le difficoltà della vita.

Ieri notte ho saputo, sempre in modo casuale, prima della morte di Mino Raiola, poi della smentita, ma comunque della conferma del fatto che stia lottando tra la vita e la morte. I sentimenti che mi hanno pervaso sono estremamente semplici da descrivere: zero, il nulla assoluto. Mi dispiace apparire cinico, ritengo comunque di non essere l'unico ad aver avuto una reazione del genere.
Sono poi stato invaso da una serie di raffigurazioni, frutto della mia fantasia, di lui al cospetto del Padreterno. Me lo sono immaginato a tentare anche con Dio "in persona" di trarre vantaggio della sua enorme sfacciataggine, della sua innata arroganza e prepotenza, della sua tracotanza, e di tutte le altre fantastiche qualità di cui ha dato prova innegabile nel corso di questi anni. Il pensiero che anche lui, come Zanardi, sia stato da tanti considerato come persona che, con le proprie forze e il proprio carattere abbia saputo realizzarsi, e per questo sia da considerare come un modello a cui fare riferimento, mi provoca sensazioni sgradevoli su cui preferisco non soffermarmi.
Naturalmente ognuno di noi è libero di scegliere i riferimenti verso cui tendere, mi limito a constatare che tutto il denaro da lui accumulato gli sta sì permettendo di lottare per vivere, mentre magari, se fosse stato povero in canna non avrebbe potuto usufruire delle migliori cure offerte dalla medicina, ma come per tutti, anche per lui prima o poi arriverà il momento di lasciare questa terra, e tutto il denaro del mondo non gli potranno regalare l'affetto e il rispetto di cui ancora oggi, a distanza di anni, gode una persona, un uomo vero come Zanardi.

Io credo nel libero arbitrio, credo che ognuno possa nella sua vita decidere di essere Zanardi o essere Raiola, e che i primi siano migliori dei secondi.
Mi rendo conto che un discorso del genere fatto proprio nel momento in cui una persona sta morendo potrà sembrare cinico e irrispettoso, ma lo trovo comunque enormemente più apprezzabile dello spettacolo che invece probabilmente ci toccherà vedere nelle prossime ore, in termini di ipocrisia nel tracciare, di quest'uomo, ritratti tutti, immancabilmente, a tinte pastello.