Descrivere la società di oggi non è facile né tantomeno possiamo tutti inventarci sociologi, storici e politologi per analizzare il decadimento della nostrà civiltà.

Potremmo citare la crisi economica del 2008, l'instabilità del nostro Paese, il radicale cambiamento di usi e costumi per spiegare, ad esempio, la crescita smisurata dell'odio così profondo per il diverso oppure il totale disprezzo per l'opinione altrui, ma sarebbe troppo semplice scaricare le colpe sugli altri, lavarsene le mani e non porre rimedio ad una simile vergogna.

Oggi, 25/11/2019, abbiamo assistito all'ennesimo scempio made in Italy e non sarà l'ultimo se le cose non cambieranno; il Presidente di una notà società di calcio ha utilizzato le seguenti parole per descrivere l'atteggiamento di un suo calciatore (ometto nomi e cognomi perché non meritano di essere citati):

Che è nero, sta lavorando per schiarirsi ma ha tante difficoltà”.

Che nel XXI secolo si utilizzino ancora simili modi di esprimersi è fortemente preoccupante, si sperava, infatti, che la storia potesse insegnare come non ripetere gli errori del passato, ma ci sbagliavamo. Sdegnarci per le suddette parole non significa essere buonisti, portatori di una bandiera di un colore ben preciso, ma soltanto essere degli Uomini, quelli con la U maiuscola, che purtroppo ad oggi non se ne trovano. 

Sia chiaro, nel calcio, così come in qualsiasi altro ambito lavorativo, ciascun capo ha il diritto sacrosanto di esprimere la sua opinione nei confronti di un lavoratore, così come ha, altresì, l'onere e il dovere di licenziarlo qualora dovessero presentarsi gli estremi per farlo. Il calciatore in questione lo conosciamo tutti, da anni ormai in molti lo considerano un talento sprecato ormai irrecuperabile, ma se gli è stata data un'altra possibilità è impensabile che si cerchi di spronarlo a dare il meglio di sé facendo riferimento al colore della sua pelle.

Si creano eventi di sensibilizzazione, si indossano le armi dello sdegno e della volontà di educare, ma nonostante tutto dobbiamo ancora assistere a tali "spettacoli". 

Purtroppo, nessuno ha la bacchetta magica per trasformare le cose, ma tutti abbiamo indiscutibilmente la possibilità di crescere e di ammettere i propri errori. Come sempre, in Italia lo sport, e in primis il calcio, seppur industria portante della nostra società, viene fortemente sminuito quando lo si dovrebbe una volta per tutte utilizzare come strumento di aggregazione sociale e di educazione: quello che succede nei più famosi stadi della Serie A, infatti, lo possiamo tranquillamente "ammirare" anche nei campi di provincia e soprattutto nelle categorie giovanili. Quante volte abbiamo letto, ascoltato di bambini bullizzati o isolati per il colore della propria pelle? Oppure per la religione che professano?

Non siamo qua per insegnare modi di vivere né tantomeno per imporre un certo tipo di cultura, anzi, se riuscissimo a evitare che la politica inquini quello che è per noi tutti lo sport più bello del mondo, forse riusciremmo a goderci un gol senza dover piangere vittime e condannare dichiarazioni e mosse altrui.

Non possiamo permetterci tutto questo, non possiamo abbandonare il calcio a quelli che Leonardo Sciascia definiva "Uomini, mezz’uomini, ominicchi, pigliainculo e quaquaraquà"; svestiamoci di colori e convinzioni, uniamoci tutti per il bene comune e vedrete che presto le cose cambieranno

Questo articolo, anzi, questo pensiero non ha alcuna pretesa didascalica, è soltanto l'ennesima richiesta d'aiuto per un calcio in cui non mi riconosco più.