Questo è il mio primo articolo su questa piattaforma, pertanto mi presento:
mi chiamo Federico Meliconi ed ho scelto come nome artistico Freddy Moonwolf perchè nella luna e nella lupa sono racchiusi tutti i miei sentimenti, e poi Freddy perchè mi chiamano tutti cosi.
Sono nato in una buia notte con la luna calante in una clinica sull'Aventino, vicino Testaccio. Era il 4 maggio 1967 e quell'anno Gigi Riva vinse il suo primo titolo di capocannoniere, la Juve di Herrera vinse lo scudetto, la Roma arrivò al decimo posto e Lazio retrocesse in serie B. In tutta la mia vita, vada come vada, la Juventus resta la squadra da battere e la Lazio basta che sta sotto di noi, meglio se in serie B. Sarà stata l'aria, sarà stata l'acqua ma io appena iniziai a respirare in questo mondo mi sentii subito romanista, senza mai metterlo in discussione, questo non fa di me un vincente, ma di sicuro un uomo libero.

Il gioco del calcio mi ha sempre attirato ma per una questione di carattere non l'ho mai giocato veramente, ci fu un'unica volta che mi convinsero ad entrare nella squadra della classe, avevo 9 anni e sapevano tutti giocare, sembrava non avessero mai fatto altro nella vita. Io avevo la mia maglietta bianca a maniche corte e i pantaloncini neri sopra il ginocchio, calzettoni gialli e dei bellissimi scarpini da calcio. Mi misero a fare il terzino destro, la mia squadra era molto forte, pertanto tutto il tempo i miei compagni rimasero ad attaccare l'area avversaria. Ad un certo punto il portiere degli altri fece un rilancio lunghissimo e la palla scendeva verso di me come una meteora, mi ricordo che tutte e due le squadre stavano rincorrendo il pallone e presto mi sarebbero stati addosso, non so cosa mi spinse a farlo, ma colpii la palla con la testa e la mandai in fallo laterale, fu la mia unica azione in tutta la mia vita, uscii per una forte emicrania.

Nonostante la mia negazione per il calcio giocato adoravo guardare le partite in televisione (all'epoca i derby li facevano sulla RAI perchè cosi i tifosi se la guardavano a casa e non facevano danni fuori dallo stadio), la domenica sera c'erano le sintesi e a casa nostra c'era sempre un sacco di gente. Adoravo guardare la domenica sportiva, strillavano tutti, fumavano, bevevano e dicevano parolacce inaudite, io ero piccolo e non era proprio uno spettacolo edificante, ma non me lo sarei perso per nulla al mondo. 

Mio padre non mi portò mai allo stadio però quando andai al liceo cominciai ad andare con un mio amico a vedere la Roma di Niels Liedolm e mi appassionai sempre di più a questa squadra. Ad onor del vero papà una volta comprò dei biglietti per lo stadio Olimpico, giocava la Lazio ma lui aveva promesso al figlio francese di un suo amico di portarlo allo stadio quando veniva a Roma e cosi andammo tutti e tre, se proprio avessi avuto qualche dubbio su quale squadra tifare quel giorno mi passarono tutti.

Adesso ho 53 anni ed ho appena finito di vedere la partita di Coppa Italia Roma-Spezia, non mi era mai capitato di assistere ad uno spettacolo di qualità cosi bassa. Una squadra che gioca in serie A, conosciuta a livello mondiale (più per simpatia che per i titoli vinti) non si può permettere di fare figuracce del genere, è un insulto non solo verso noi tifosi ma nei confronti di tutto lo sport. Un allenatore ed il suo staff non possono permettersi di avere comportamenti cosi poco professionali. Ha ragione Tempestilli quando dice che nella Roma c'è un problema societario. In tanti anni non era mai successo che un responsabile sbagliasse la compilazione della lista dei giocatori (prima di campionato persa a tavolino con il Verona) e un allenatore il numero dei cambi (6 cambi in Roma-Spezia), è un problema che evidenzia una disorganizzazione inammissibile in qualsiasi società degna di questo nome. Figuracce del genere superano persino le amnesie di gioco dell'allenatore e dei giocatori. Martedi sera Fonseca era in evidente confusione, e anche se non era la prima volta è stata sicuramente la peggiore, difficile rinnovargli la fiducia.