Si era svegliato contento, Momo. Ancora solo due giorni e finalmente avrebbe festeggiato coi suoi amici i suoi 18 anni, circa 4 da quando era in Italia, proveniente dalla Nigeria, felicissimamente adottato da una coppia italiana, che Momo adorava.

Momo: “Mamma, allora io vado, Giorgio lo accompagni tu, giusto?”
Anna: “Si, va bene, vai pure… ma al ritorno, a prendere Giorgio, devi per forza andarci tu: io, a quell’ora, sarò ancora dal dermatologo per la visita prenotata due mesi fa… dovessi perderla, mi toccherebbe aspettare altri due mesi!”
Carlo: “Se davvero dovessi perdere il turno e ti toccasse di aspettare altri due mesi, ti consiglierei di non andarci proprio, dal medico: qualsiasi cosa sia, dopo quattro mesi o sei guarita o sei morta. Ahahahah
Anna: “Simpatico papà, stamattina, né”, e mentre è dietro di lui, non vista, gli fa le boccacce. Momo e Giorgio ridono divertiti.
Momo: “ahahah, vabbè và, io scappo”.
Giorgio, 2 anni, bimbo sempre molto curioso, trova anche lui divertente vedere la mamma fare le facce strane, e quindi ride: “eheheheh!”
Con queste parole i componenti della famiglia Zorzi si salutarono dandosi appuntamento a pranzo per chi poteva, o direttamente per cena.

La famiglia Zorzi era fatta così. Le occasioni di litigio o solo di discussione non mancavano di certo, ma alla fine, una battuta, più di tante parole, era in grado di riportare non dico il buonumore, quello magari no, ma almeno un po’ di leggerezza, di consapevolezza che in fondo molto dipende da quanto ci si prenda sul serio nel gioco delle parti che c’è tra moglie e marito, e tra genitori e figli.
Anna e Carlo, i “signori” Zorzi - in realtà, a vederli, due ragazzini - avevano la stessa età: 38 anni. Lei impiegata alla regione Piemonte, e lui ingegnere presso un’azienda di componentistica.
Anna e Carlo si conoscevano fin dai tempi delle superiori, e quando - a trent’anni - decisero di sposarsi lo fecero con il timore di essersi mossi troppo tardi. Che forse avrebbero fatto meglio a farlo ben prima. Ma si sa, a compiere certi passi in genere si tende ad aspettare di capire cosa ti dice quella vocina, che nella tua testa sembra ti voglia dire qualcosa. Peccato che il rumore di fondo ti impedisca di capire cosa la vocina ti stia dicendo. Di solito quelli che alla fine non si sposano, ad un certo punto smettono di porsi il problema, e la vocina non la sentono più. Gli altri, quelli che alla fine, pur non riuscendo a capire cosa la vocina per anni gli abbia detto perfino nel giorno del matrimonio, si sposano. A quel punto, magicamente, nel giro di poche settimane, la vocina diventa forte e chiara e ti dice: “ma cosa cacchio hai combinato? No! Non lo dovevi fare! Te l’ho detto mille volte: NO, NO, NO, NO, NOOOOO!”
Anna e Carlo sembrava non avessero nessuna vocina da sentire, si erano attardati? Pazienza! Gli anni passati insieme, anche prima di sposarsi non erano certo stati anni persi. La vita era stata generosa con loro, non avevano davvero di che lamentarsi, almeno… non più della media delle persone che conoscevano, e che si erano sposate molto prima.
D’altronde tornare indietro non si poteva. Unica “colpa” l’aver creduto che, pianificato un figlio, questo, magicamente si sarebbe materializzato nel giro di nove mesi esatti, dal momento in cui avessero fatto partire un ipotetico countdown virtuale. Ma questo non si verificò, e quando, dopo un bel po’ di tentativi, si resero conto di avere qualche problema di fertilità, si rivolsero ad uno specialista, che dalle analisi fatte non trovò nulla di particolarmente anomalo. Si trattava, alla fine, solo di insistere. Il tanto atteso bambino sarebbe prima o poi arrivato.

Dopo 4 anni di tentativi Anna e Carlo cominciarono a considerare la via dell’adozione. Lo specialista poteva dire quello che gli pareva, ma se la gravidanza non arrivava, bisognava pure ad un certo punto prenderne atto.
Certo, un figlio proprio, si sa, dona sensazioni diverse: il richiamo ancestrale dei propri geni trasmessi in una nuova vita sono qualcosa di scolpito nella parte più profonda e recondita del cervelletto, ma anche l’adozione di un bambino non più piccolo, ne erano certi, avrebbe loro permesso di dare ad un ragazzo meno fortunato tutto l’amore che sentivano fortissimamente di poter entrambi donare.
Fu così che gli Zorzi decisero: avrebbero adottato un bambino.
Naturalmente non bastava averlo deciso. Gli Zorzi si rimboccarono le maniche, e percorsero tutto il tratto ad ostacoli che c’era da percorrere, ottemperarono tutto quello che c’era da ottemperare, e adempiettero tutti gli obblighi che era previsto dovessero adempiere. Sembrava quasi che per completare il giro ci fosse solo bisogno ancora di scalare l’Everest, ma tutti gli sforzi, alla fine furono ripagati, e fu così che Momo a 14 anni entrò nelle loro vite.
In Nigeria, Momo viveva in un orfanatrofio dove lui era il ragazzino più grande, e quindi spesso doveva fare come da padre con i più piccoli. Per Momo finalmente era arrivato il momento di non essere più padre, per Momo era arrivato il momento di essere per la prima volta, almeno per un po', solo figlio.

Momo aveva la pelle nerissima. Era talmente nero che a vederlo senza conoscerlo sembrava fosse sempre arrabbiato, ma questo perché i lineamenti del suo viso, soprattutto all'ombra, non erano ben visibili e riconoscibili, ma col tempo Anna e Carlo impararono a riconoscere sul suo volto le espressioni della rabbia, ma anche quelle del divertimento e della risata. Soprattutto quelle della risata, difficile da innescare, forse, ma con Momo ancor più difficile da disinnescare, per quanto spontanea e contagiosa fosse.
Per Momo si prospettava una nuova vita, diversissima da quella che conduceva all’orfanatrofio, finalmente Momo avrebbe potuto godere degli abbracci di una mamma, dell’affetto incondizionato che ogni bambino dovrebbe sperimentare nella propria infanzia, e che lui, ormai adolescente, non aveva mai sperimentato.
Finalmente ridere perché c’era da ridere, e non più per far ridere, per infondere coraggio, anche quando da ridere non c’era. Sembrava tutto procedere per il meglio, quando una cosa inimmaginabile accadde.

Come a volte capita a quelle coppie che clinicamente non hanno problemi di fertilità, ma che non riescono comunque ad avere figli, una volta adottato un bambino, spesso si “sbloccano”, e, in modo assolutamente inaspettato si ritrovano, in men che non si dica, ad essere in stato interessante.
Questo fu esattamente ciò che capitò ai Zorzi, e soprattutto, questo era ciò che sarebbe presto capitato a Momo, che era arrivato in Italia con la promessa di poter godere in modo esclusivo di tutta l’attenzione di cui un ragazzino come lui, che aveva appena compiuto un passo così difficile avrebbe sicuramente necessitato.
E invece, non appena in Italia, Momo, che le coccole e la dolcezza di una mamma non le aveva potute avere mai, avrebbe dovuto presto prendere atto che un periodo tutto per sé d'amore da parte della sua nuova mamma, come gli era stato promesso e come ogni bambino avrebbe diritto di avere, non avrebbe più potuto averlo.
Non aveva ancora fatto in tempo ad arrivare in Italia, e a godere dei caldi abbracci della sua nuova mamma, che già si prospettava per lui di tornare a fare il fratello maggiore. Ancora una volta di dare, prima di aver ricevuto.

Quando Anna e Carlo comunicarono a Momo che presto sarebbe arrivato un fratellino, temevano una reazione di rabbia, o comunque di tristezza. Non avevano considerato che per Momo ricevere brutte notizie e fare di necessità virtù era la normalità. Di più: era la sua specialità! Era ciò che nella sua vita gli era capitato più volte di dover fare.
Momo ce la mise tutta per trovare la forza di sorridere, di essere persino rassicurante, ma Anna e Carlo videro nei suoi occhi tutta l’immensa sofferenza che Momo stava provando. Ci fu un momento di silenzio, Momo si era già alzato per andare, quando Anna lo prese per un braccio e lo trattenne. Anna e Carlo si guardarono in faccia. Forse era la prima volta nella loro vita che, guardandosi negli occhi fossero stati così in grado di dirsi tutto quello che, in silenzio, c’era da dire: “Momo, aspetta!“.
Sempre senza smettere nemmeno per un istante di guardarsi negli occhi, Anna riprese: “noi ti abbiamo adottato, e lo abbiamo fatto promettendoti di essere per te i migliori genitori possibile.” E poi: “Dio solo sa quanto abbiamo atteso, quanto abbiamo desiderato avere un figlio. Adesso il figlio che avevamo atteso e desiderato sei tu. E’ a te che ora dobbiamo tutto il nostro bene, il nostro affetto, il nostro impegno di essere per te i migliori genitori”.
Detto questo, nessuno dei tre ebbe la forza di dire altro. Coi visi rigati dalle lacrime, si strinsero forte.
Due anni dopo nacque Giorgio.
Momo fu per lui il miglior fratello maggiore del mondo.