Il sole splende e scalda il pomeriggio romano. Fumogeni e bandiere riempiono l’aria, che si fa elettrica intorno all’olimpico. La solita folla si accoda per "guadagnarsi" un fresco bicchiere di birra, e i cori che ne conseguono danno quella gioia raggiante, quella sicurezza di essere forti che fa sparire qualsiasi preoccupazione, anche quando sai che dinanzi ti ritrovi una squadra altrettanto forte, solida, come minimo rognosa e difficile da sopraffare.
La paura aveva ragione di esiste però, e quel sole che scaldava pelle e cuore, si fa gelido quando cominciano a vibrare i telefoni e si fa velocemente largo la notizia che Dybala non sarà della partita. Il primo segnale che le cose non andranno per il verso sperato si para davanti agli occhi, e torna in mente il mio commento nell’ultimo pezzo: “se manca Dybala che facciamo, ci impicchiamo?
Ma in fondo sei lì, leggi la formazione e ci sono comunque Zaniolo, Abraham e Pellegrini, e tanto basta a creare un minimo di serenità interiore, sapendo che tutto sommato affronti l’Atalanta di Pasalic, Okoli e Hojlund, non proprio Messi Mbappè e Neymar, sempre con il massimo rispetto per i primi. Sul seggiolino un quadratino rosso, pezzetto del puzzle che comporrà di li a poco la semplice ma meravigliosa coreografia pensata dai ragazzi della sud, ma che coinvolge l’intero stadio nel piccolo, gratificante gesto di sollevare al cielo i colori della propria storia, mentre risuonano le parole “so' centomila voci che hai fatto innamorà”: molte più che centomila, ma sessantunomila e passa, a rappresentare un intero popolo. 

Roma - Atalanta 
La Roma scende in campo con il canonico 3-4-2-1
: a difesa dei pali Rui Patricio, linea difensiva composta da Mancini, Smalling e Ibanez, esterni di centrocampo Celik e Spinazzola e coppia di mediani composta dai soliti Matic e Cristante, con Pellegrini dapprima pensato come sostituto del serbo, poi a causa della defezione degli ultimi istanti di Dybala, riportato sulla trequarti accanto a Zaniolo, a supporto di Tammy Abraham unica punta.
Gasperini per rispondere al collaudato undici giallorosso ha pensato qualche piccolo accorgimento, presentando una formazione un pochino diversa da quella che si prospettava alla vigilia, pur schierandosi a specchio: in porta Juan Musso, costretto a uscire quasi subito a causa di un colpo al volto che gli ha provocato un trauma allo zigomo; al suo posto Marco Sportiello; difesa a tre con Toloi, Demiral e Scalvini, esterni Hateboer e Maehle (anziché Soppy, di recente impiegato in luogo del danese) e coppia di mediani composta da De Roon e Koopmeiners; a supportare Hojlund, Pasalic ed Ederson, preferiti a Malinovskyi e Lookman.
L’Atalanta arrembante e aggressiva, vista continuamente negli anni passati, sparisce completamente nei novanta minuti all’olimpico, rispettosa oltre l’immaginabile, schierata bassissima e neanche veloce nelle ripartenze, caratteristiche che ne avevano fatto una squadra temibile e riconosciuta anche a livello europeo. Una squadra che proprio per questo nuovo approccio “accorto” ha subito solo tre gol in sette giornate, facendone la difesa meno perforata della serie A. La Roma inizia bene la gara, gestisce palla e si propone, seppur non creando particolari patemi alla retroguardia bergamasca. Dal canto suo, l’Atalanta fa ancora meno, praticamente non superando nemmeno il centrocampo, schiacciata in una maniera simile a come solitamente siamo abituati a vedere gli uomini di Mourinho, forse per la prima volta in stagione con un possesso palla superiore agli avversari.
Il primo squillo è un tiro dalla distanza di Ibanez, che trovando spazio, tenta la conclusione, centrale e di facile lettura per Sportiello.
Al 35°, l’unico tiro in porta dell’Atalanta, il tiro che vale anche i tre punti: Toloi sulla fascia destra, tiene bene su Pellegrini che prova a contrastarlo, l’italobrasiliano lo anticipa servendo lungo-linea Hojlund, il danese controlla e si gira su Ibanez, vede l’accorrente Scalvini al limite dell’area e lo serve, il giovane difensore raccoglie di sinistro e calcia di destro a fil di palo, trovando proprio la parte interna del legno, e quindi la rete del vantaggio nerazzurro.
La reazione della “magica” è rabbiosa, e in pochi minuti si divora tre nitide palle gol: Zaniolo appoggia dietro verso Pellegrini, il “sette” vede l’imbucata centrale per Abraham, l’inglese mette giù di petto e va a tu per tu con Sportiello, a quel punto anziché tentare il dribbling sul portiere, tocca palla ad anticipare l’uscita dello stesso, la sfera diventa troppo lunga per poterla controllare e troppo a lato per gonfiare la rete. Si rischia di fare i populisti nel dire che un attaccante che guadagna oltre cinque milioni di euro l’anno, non può sbagliare un gol del genere, ma in questo momento lo stato d’animo è proprio questo: “Tammy, io ti voglio bene, quando ti abbiamo preso ero felicissimo e hai fatto anche una prima, fantastica stagione. Per tutti gli dei del calcio… Come ca**o hai fatto a non mettere dentro quella palla?”.
Come dicevo, tre nitide palle gol, la seconda in ordine temporale capita sui piedi di Ibanez, occasione nata proprio da una bella giocata dell’inglese, il quale servito da Pellegrini si disimpegna bene superando Demiral, vede il movimento del difensore brasiliano e lo serve, a quel punto il centrale fresco di convocazione in nazionale, pensa bene di calciare addosso a Sportiello, con l’italiano che ringrazia.
L’incubo non è finito né per i tifosi della Roma né per Abraham, principale artefice delle maledizioni e imprecazioni che riecheggiano da ogni settore dello stadio, cinque minuti sicuramente non benedetti dal britannico, che ne sono abbastanza certo, avrà trascorso una notte insonne, al pari di chi tiene alle faccende romaniste: Spinazzola serve Matic, il serbo si fa spazio sulla fascia sinistra appoggiando palla su Abraham che riceve e gli ri-serve la sfera di tacco, invitando il numero “otto” ad entrare in area, questi riesce a evitare la marcatura di Toloi e mette al centro un pallone che aspettava soltanto di essere depositato in rete, invece Abraham solidale con l’amico Ibanez, la spara pure lui addosso a Sportiello, che con l’ennesima parata involontaria, comincia a profumare di santità.

Ad inizio articolo dicevo che i tiri in porta della “dea” si riducevano alla conclusione di Scalvini, in realtà gli uomini di Gasperini si sono affacciati anche una seconda volta in area, sugli sviluppi di un calcio d’angolo battuto da Koopmeiners, Muriel riceve e mette al centro, dove però è Celik a creare timori a Rui Patricio, nel tentativo di deviare la palla nuovamente in angolo l’aveva invece messa in porta, con Abraham a evitare la beffa e il due a zero per gli orobici.
Le occasioni che ancora capitano ai romanisti sono così tante da dare la percezione a chi era allo stadio, così come immagino anche ai tanti che seguivano con il medesimo amore da casa, la sensazione che se la partita si fosse prolungata anche di una settimana e non di cinque minuti, ovvero quanti dati dal pessimo Chiffi per il recupero conclusivo, la partita si sarebbe conclusa comunque in favore degli ospiti. In questo senso, soprattutto gli ingressi di Shomurodov e Zalewski danno vivacità all’attacco romanista, con il primo che per non sembrare meglio di Abraham, si divora a sua volta un gol, mettendo fuori un colpo di testa arrivato su un invitante pallone messo al centro da Zaniolo, vittorioso nel duello con Okoli. Nei minuti finali, un pallone filtrante di Zalewski proprio per l’uzbeko, fa dubitare tantissimo della scelta di Mourinho di relegarlo a semplice alternativa di Spinazzola, essendo - in questo momento - palesemente più forte del laterale azzurro. 

Oltre i demeriti della Roma, che comunque ha messo in atto la migliore prestazione stagionale, da condannare l’arbitraggio di Chiffi, che non ha fischiato in pochi minuti due falli da ammonizione su De Roon, e peggio ancora non ha fischiato un chiaro penalty per fallo di Demiral su Zaniolo, “reo” di non essersi buttato come fanno tutti, su una trattenuta gigantesca del difensore turco. A quanto pare, il fischietto veneto ha giustificato il mancato “fischio” perché a detta dello stesso, se non si va a terra non è mai rigore: perfetto, quindi da oggi in poi sentitevi pure in diritto di prendere a cazzotti un avversario in area, se questo non avrà la “furbizia” di andare al tappeto non verrà comminata la punizione dagli undici metri.
Parlare di arbitraggio non è bello, soprattutto in una gara dove si sono avute decine di occasioni per vincere, però la gestione dei cartellini e l’atteggiamento del direttore di gara durante la sfida è stato vergognoso, una prestazione oltre il minimo che dovrebbe consentire il mantenimento della categoria.
In ogni caso, se Abraham si divora due gol davanti alla porta, se capita un’altra occasione a Ibanez, un’altra ancora a Shomurodov, senza andare a rappresentare tutte le situazioni pericolose create nell’arco dei due tempi, la colpa non è di Chiffi, ma solo ed esclusivamente dei deputati a mettere la sfera alle spalle del massimo difensore avversario.

Tanta amarezza, sia perché la partita ci ha raccontato di una Roma che avrebbe assolutamente meritato un risultato diverso, sia perché trattasi di una giornata storica, con le contemporanee sconfitte della Juve sul campo del Monza - che ha ottenuto proprio contro i bianconeri la prima vittoria della sua storia nella massima serie - dell’Inter che ha perso contro i terribili ragazzi dell’Udinese, sempre più sorpresa di questo inizio di stagione, e quella del Milan, battuto dal Napoli a San Siro. Una giornata diventata oro colato proprio per azzurri e nerazzurri, non a caso prime in classifica appaiate a 17 punti. Oro che pesa alla stessa maniera per la Lazio, che dopo la debacle in terra danese, batte 0-4 la Cremonese, salendo a 14 punti e scavalcando proprio la Roma ferma a 13. Viene sin troppo facile dire “con Dybala sarebbe stata una partita diversa”, probabilmente sbagliando pure, perché la partita è stata fatta, forse il risultato sarebbe stato diverso, che poi alla fine è quello che più conta. 
Discorso diverso per me, che vivendo lontano, “godo” della Roma in trasferta e in tv, difficilmente tra le mura del “mio” stadio, quell’Olimpico colorato di sangue e oro, sempre emozionante come la prima volta che ci ho messo piede, ormai diciassettenne anni fa. Supero i tornelli, salgo i gradini e mi affaccio sul mondo che mi appartiene, tra lo sventolio incessante di vessilli e bandiere, a cui si aggiunge la mia, troppo spesso arrotolata, poche volte accarezzata dal vento dello stadio dei "marmi". Una lacrima scende sempre, di gioia, al di là del risultato. Non solo calcio, perché da qualche anno la Roma rappresenta anche una famiglia, attraverso i “fratelli” che condividono la mia stessa “malattia” e con cui sempre più spesso dividiamo gioia e tristezza; sempre gioia nel vederci, pranzare insieme, bere una buona birra e cantare fino a non averne più; tristezza, quella di ritrovarsi con un risultato bugiardo che ci priva di tre punti cruciali in ottica classifica e serenità.

Adesso c’è la sosta, e per quindici giorni saranno solo processi, quelli che faccio io per primo al “povero” Abraham, quelli che farà la stampa romana, sempre pronta a sguazzare nelle pieghe di un momento no della compagine capitolina. A peggiore le cose, la notizia di Pellegrini che ha terminato la partita con un risentimento muscolare, Spinazzola che ha declinato la convocazione azzurra perché anch’egli non al meglio, quella di Dybala che ahinoi aveva già dovuto rinunciare alla partita di ieri. Sosta che comunque arriva nel momento giusto, sperando che oltre ai già citati, si riesca a recuperare anche altri uomini utilissimi nelle rotazioni come El Shaarawy e Kumbulla, soprattutto l’albanese, in quanto unica alternativa ai tre centrali titolari.
A proposito: quanto è forte Smalling! Non che sia una sorpresa e non che ci fosse bisogno di scriverlo, ma anche ieri ha disputato una gara sontuosa, sempre in anticipo su Hojlund e Muriel, sempre elegante nei disimpegni, difensore veramente superlativo. Anche Ibanez, a dispetto di quanto scrissi successivamente a un’amichevole estiva, sembra in grande crescita, non a caso è arrivata anche la chiamata di Tite, e chissà che alla fine non si ritrovi al mondiale: in un momento come questo, con pochi difensori forti in giro, il brasiliano potrebbe rivelarsi una buona opzione anche per la Seleçao, che oltre a Marquinhos deve affidarsi ancora all’eterno Thiago Silva, carenti come sono di un reale rinnovo generazionale.

Non scrivo spesso di partite della Roma, lo faccio oggi perché ci tenevo a raccontare la mia domenica allo stadio, la sensazione di essere parte di qualcosa, di quei cuori che battono per lo stesso amore, la gioia di dire "anche io ero tra quei sessantunomila", seppur trattasi fondamentalmente della “celebrazione” di una sconfitta. Cantare "Roma Roma", l'essere il tassellino rosso di una grande composizione, vale chilometri, attese, risultati nefasti e prezzo del biglietto. Qualcuno diceva "sono romanista anche quando vinco": niente di più vicino alla realtà.
Le due settimane di nazionali tra l’altro, mi lasciano tempo e modo di raccontare con calma, attraverso Jumping Back To The Last Step, tutto quanto di sorprendente e non è capitato nel fine settimana appena concluso, anche se le maggiori sorprese stavolta le ha raccontate la nostra serie A, con la prima storica vittoria del Monza, l’ennesimo "scalpo" nobile dell’Udinese di Sottil, e i due big match vinti da Napoli e Atalanta, le attuali regine del nostro campionato.

                                                                                   Eurolega

Tralasciando il calcio giocato, un piccolo sguardo sul "fantasy". Stasera asta di "riparazione": siccome la prima asta, quella necessaria a formare le rose, si è tenuta ad Agosto, quindi ancora con il calciomercato in pieno svolgimento, approfittando della sosta per le nazionali, raduno nel bar di Giovanni, cercando di approfittare di qualche acquisto di fine mercato, o di qualche pedina che si è messa in evidenza in questo primo mese e mezzo dei tornei europei. Cercando di crearmi un budget che mi permetta di competere sul tavolo, ho svincolato otto giocatori, di cui uno è proprio Abraham, “reo” di avermi intossicato la domenica, ma più che altro di essere uno degli attaccanti che utilizzo meno, potendo scegliere tra Lewandowski, Lacazette, Adeyemi, Nunez e Aubameyang, quest’ultimo inizialmente preso in quanto alternativa del polacco al Barça, e adesso probabile titolare del Chelsea; in Adeyemi credo tanto, nonostante Modeste e Nunez è il mio pupillo, per cui non si svincola, anche a costo di restare scottato dalla mia passione per lui. Detto questo, cinque vittorie nelle prime cinque giornate, quindi ovviamente primato in classifica; questo non cambierà le sorti del fantacalcio, appannaggio dell’autentico mattatore dei fantalcalci terzignesi e forse valicando anche le ipotetiche cinta della regione Campania: 
Peppe…hai vinto!

ForzaRoma27