Peruzzi. Torricelli, Ferrara, Vierchowod, Pessotto. Conte, Sousa, Deschamps. Ravanelli, Vialli, Del Piero.
Questa era la formazione vincitrice della Champions League del 1996, l'ultima Juve ad alzare la coppa dalle grandi orecchie.

Al di là dell'alone di gloria che quei nomi portano ancora con sé, e quell'immancabile nostalgia che accompagna noi tifosi (quelli che ebbero la fortuna di esserci) al ricordo di quell'annata indimenticabile e delle sue “notti magiche, inseguendo un goal” come cantavano Gianna Nannini ed Edoardo Bennato – al di là, insomma, delle ineguagliabili emozioni legate a quegli uomini e a quei volti ancora scolpiti nella nostra memoria, bisogna fare una fredda constatazione: in quella squadra non c'erano grandi fuoriclasse, eccetto forse un giovanissimo Alessandro Del Piero e uno strepitoso Gianluca Vialli; i giocatori di quella rosa erano di buono, forse anche ottimo livello, ma sicuramente mancavano nomi altisonanti, le stelle, i campioni, i giocatori che fanno acclamare le folle e che tutti i bambini sognano di diventare.

Eppure quella squadra vinse tutto in soli due anni. Scudetto, Coppa Italia, Champions League, Coppa Intercontinentale, Supercoppa Europea. Andò addirittura vicina a conquistare la Coppa Uefa l'anno prima, fermata solo dal Parma di Nevio Scala in finale. Una grande squadra, innegabilmente, ma senza grandi individualità. La forza di quella Juve non erano i singoli, ma appunto, la squadra, un collettivo messo a punto perfettamente dal giovane Marcello Lippi.

Certo, il calcio è molto cambiato da allora. E' cresciuta l'importanza mediatica del singolo giocatore, le rose dei più prestigiosi club europei sono notevolmente migliorate, essendo aumentati a dismisura gli investimenti. Eppure, per certi versi, la situazione del calcio europeo, nell'anno 2019, non è molto dissimile. Anche oggi troviamo in finale di Champions squadre prive di particolari fuoriclasse. I migliori giocatori d'Europa sono stati eliminati da questa competizione. “La Champions si vince con Messi e Ronaldo” disse una volta Massimiliano Allegri esprimendo, del resto, un sentire comune. Eppure Ronaldo e Messi quest'anno non ci sono. Per carità, sia il Liverpool che il Tottenham hanno un parco giocatori di elevata qualità, ma non spicca nessuna individualità in modo particolare. L'accesso alla finale se lo sono conquistati, gli uni, grazie alle doppiette del semisconosciuto Divock Origi, e di Georginio Wijnaldum, contro il Barcellona di Messi, Suarez, Rakitic, Jordi Alba e chi più ne ha più ne metta; gli altri hanno sconfitto l'Ajax dei bimbi prodigio (che già aveva eliminato il Real di Modric e la Juve di Ronaldo) con una splendida rimonta firmata dalla tripletta di Lucas Moura. Insomma, nessuna stella che fa impazzire le curve. Semmai, le vere stelle sono i rispettivi tecnici. La loro abilità nel creare un amalgama vincente e nell'allenare la squadra a giocare ad alti ritmi ha avuto ragione su tutto e tutti, smentendo i pronostici. Smentendo, altresì, tutti coloro che fino ad oggi ci hanno ripetuto, col fare di chi la sa lunga, “per vincere la Champions ci vogliono i campioni!” sottinteso: poveri stolti, voi, che credete ancora alle favole!

Ebbene, gli stoltissimi Liverpool e Tottenham (ma anche l'Ajax) ci hanno mostrato che si può vincere anche senza campioni, che il Real Madrid dei tre titoli consecutivi e il Barcellona di Messi si possono battere, purché si abbiano mentalità, organizzazione e meccanismi ben oliati, contrariamente a quanto volevano insegnarci i profeti dell'inevitabile, sostenendo che a Berlino e a Cardiff la Juve avesse giocato contro degli alieni imbattibili davanti ai quali non si potesse far altro che soccombere miseramente.

Le recenti parole di Nedved, che ha annunciato come la rosa della Juve sia difficilmente migliorabile, sono suonate sgradite all'orecchio di molti tifosi. Attenzione, difficilmente migliorabile non vuol dire che non si possa migliorare, ma significa che sarebbe inutile e controproducente sconvolgere la rosa, come invece, pare, volesse fare il nostro ormai ex allenatore. Due, tre nomi, magari non eclatanti, ma al posto giusto e al momento giusto, di questo ha bisogno la Juve. Ma soprattutto ha bisogno di un allenatore europeo con una visione moderna del calcio e che sia in grado di far giocare la squadra come si fa in Premier, che oggi è la vera avanguardia di questo sport.

Liverpool e Tottenham ci insegnano cosa non si deve fare, ovvero compilare l'album delle figurine, comprare un'accozzaglia di campioni senza un progetto e senza una visione del lungo periodo. Insomma, il modello Paris Saint-Germain, per intenderci, che finora, in Europa, non ha pagato. La Juve stessa ha commesso questo errore, illudendosi che bastasse l'acquisto di Ronaldo per puntare a vincere il massimo torneo continentale.

Ma le due finaliste ci insegnano anche cosa bisogna fare per raggiungere i vertici del calcio mondiale.
Prima di tutto serve un allenatore che abbia la giusta mentalità e sia in grado di comunicarla alla squadra, un allenatore che metta in campo una formazione votata all'attacco e che pensi prima a trovare il modo di segnare il maggior numero di gol più che a non subirne, che imponga il proprio gioco e non si limiti soltanto a reagire a quello degli avversari, un allenatore che traduca queste sue idee sul campo, con uno stile di gioco ad alti ritmi fatto di giro palla veloce e verticalizzazioni, con una linea difensiva alta e un pressing offensivo nella metà campo avversaria.

In secondo luogo, serve un progetto a lungo termine, di due, tre, quattro anni senza pretendere di vincere tutto e subito. Gli all-in nel calcio di solito sono destinati a fallire. Bisogna costruire nel tempo una rosa funzionale alle idee dell'allenatore e allo stile di gioco che questi pensa di imprimere alla squadra. Piuttosto che la stella di turno, bisogna scegliere gli uomini che meglio si inseriscano in questo progetto e le cui caratteristiche meglio si sposino con la filosofia del collettivo.

In terzo luogo evitare di affidarsi all'improvvisazione, ai colpi di scena e alle intuizioni dell'ultimo momento: il modo di giocare e di affrontare le partite si prepara prima, nel corso di tutta una stagione, anzi, di più stagioni; “Gli strateghi vittoriosi hanno già trionfato, prima ancora di dare battaglia” ammoniva il generale cinese Sun Tsu, ogni avversario, in ogni partita, come in ogni guerra, si vince prima ancora di affrontarlo sul campo. Per cui bisogna perfezionare al massimo la qualità del collettivo resistendo alla tentazione di stravolgere ogni anno la rosa: pochi acquisti mirati, dare il tempo ai giocatori di perfezionare via via gli schemi e le intese sul campo.

La rosa della Juventus, contro quello che spesso si dice, è già ottima, una delle migliori in circolazione. Va ringiovanita la difesa, è vero, ma la coppia di terzini Cancelo-Alex Sandro è forse unica in Europa. Il centrocampo, spesso criticato e considerato non all'altezza, è in realtà di ottimo livello. Emre Can ha dimostrato quest'anno tutto il suo valore, ricoprendo per giunta più ruoli, Pjanic, se impiegato nella giusta posizione (ovvero da mezzala avanzata o da trequartista e non da regista come ha fatto finora) può assicurare grande qualità alla manovra e il neo-acquisto Ramsey, che all'Arsenal già rimpiangono, andrebbe a completare un reparto dotato di un interessante miscuglio di tecnica, fisicità e intensità. L'attacco, infine, sicuramente il fiore all'occhiello della rosa, è già completo così com'è. Dopo aver ringraziato e salutato Mandzukic, che probabilmente concluderà la sua avventura in bianconero, il reparto offensivo potrà contare su un trio formidabile per tecnica, velocità e qualità, quello formato da Douglas Costa (quest'anno, complici anche gli infortuni, ha giocato pochissimo) Dybala (il cui rendimento insoddisfacente di questa stagione conferma ancora una volta che deve fare l'attaccante e non il centrocampista aggiunto) e ovviamente Ronaldo su cui è inutile spendere parole. Andranno infine ad aggiungersi due riserve di lusso: Bernardeschi, che potrà alternarsi con Paulo e Douglas e Moise Kean, la grande rivelazione di questa stagione e il futuro di questa squadra.

Forse ci saranno dei cambi, forse qualcuno andrà via e si vedrà qualche volto nuovo, ma l'importante è che non si vada a stravolgere più di tanto un parco giocatori che è già ottimo così com'è e può essere in grado di competere per raggiungere la vittoria finale, magari non da subito, ma sicuramente nell'arco di un triennio. Purché sulla panchina sieda un allenatore vero, nel senso letterale della parola, uno che alleni la squadra giocare a pallone e a farlo in modo coordinato e organizzato. L'epoca dei gestori si è conclusa dopo aver salutato Allegri.