A cinque giornate dalla fine del campionato, in seguito alla netta sconfitta in casa della Lazio, il Milan si ritrova per la prima volta fuori dalla zona Champions League. Dopo aver condotto la classifica da primatista per 21 giornate, 94 giorni dopo essersi fregiato del titolo platonico di "campione d'inverno", la batosta in terra capitolina getta il Milan fuori dalle prime quattro posizioni. E nello sconforto totale.

OLTRE LA CLASSIFICA. Ma più che la classifica in sé, dove i rossoneri sono ancora in piena corsa ed a pari punti con Napoli e Juventus (solo due punti in meno dell'Atalanta seconda), preoccupano altri dati oggettivi. In primis, la grave involuzione nel gioco e lo stato di forma psico-fisica dei ragazzi di Pioli, che sembrano aver perso ormai tutta la lucidità e la garra che li aveva contraddistinti in quasi tutto il resto della stagione 2020/2021.
Poi c'è il calendario, che pare il più complicato rispetto alle contendenti: attendono il Milan due scontri diretti in trasferta (Juventus e Atalanta all'ultima giornata) e tre sfide contro squadre che hanno assoluto bisogno di punti-salvezza (Benevento sabato prossimo, poi Cagliari e Torino incastonate tra Juve e Bergamo).
C'è, sopratutto, la sensazione di aver buttato al vento una grossa occasione, con quel retrogusto depressivo che sta affossando il morale di tutto l'ambiente. Della squadra "campione d'inverno" con 44 punti, che mieteva record su record (27 risultati utili consecutivi, 17 partite consecutive in marcatura multipla, 37 partite consecutive in gol, primato nell'anno solare 2020 con 79 punti) pare non esserci più nulla e, sopratutto, rischia di non restare nulla di concreto negli annali.
Anche quel bellissimo gol di testa di Theo Hernandez, che proprio contro la Lazio all'andata aveva regalato al Milan un successo al 92' e la conferma del primato in classifica ("Per il sorpasso, la prossima volta" cit.  Carlo Pellegatti), rischia di essere totalmente inutile. Fiato sprecato anche per la vittoria nel derby d'andata, per i successi di Napoli e Roma: non dovesse arrivare la qualificazione per la prossima UEFA Champions League, sarebbe stato solo tempo perso.

BEFFA STORICA? E la beffa sarebbe insopportabile, se si pensa che mai nella storia della Serie A la squadra "campione d'inverno" è scesa al di sotto del quarto posto alla fine del campionato. Dal 1995-96, anno d'introduzione dei tre punti per vittoria, chi ha chiuso al primo  posto il girone d'andata, è arrivato al massimo sul gradino più basso del podio (la Fiorentina di Trapattoni nel 1998-1999 ed il Milan di Ancelotti nel 2002-2003), centrando comunque la qualificazione almeno ai preliminari di Champions League. 
Negli ultimi ventisei campionati, solo in sette occasioni è accaduto che la squadra prima al giro di boa poi non vincesse il campionato. Un dato ancora più schiacciante a partire dal campionato 2004-2005: da allora, 15 volte su 17 la squadra "Campione d’Inverno" ha festeggiato il Tricolore. Negli 88 campionati di Serie A a girone unico, per ben 59 volte la capolista al termine del girone d'andata ha conquistato lo Scudetto, con una percentuale pari al 67%.

HOMO RIDENS. Oltre alle tre sberle subite da Immobile e compagni, i tifosi del Milan hanno dovuto subire anche la risata di Donnarumma a fine partita, il quale saluta l'ex compagno di squadra Pepe Reina sfoggiando un sorriso a trentadue denti: gesto sicuramente innocuo, sicuramente in buona fede, ma del tutto fuori luogo in un momento sportivamente tragico. Sopratutto con la fascia di capitano al braccio e sopratutto alla luce della forte irritazione di tutto l'ambiente rossonero per il tira e molla contrattuale che sta coinvolgendo il portiere: un pizzico di buon senso (e d'intelligenza..) non avrebbe certo guastato.

TANTI MOTIVI, UN SOLO ZLATAN. Il Milan, purtroppo, sta pagando in un colpo solo una serie di congiunzioni astrali negative. 
Innanzitutto, Pioli ha avuto una squadra decimata per tutta la stagione (iniziata con tre preliminari di Europa League) ed ora ne paga le conseguenze in termini di stress fisico e mentale sopratutto nei pochi "superstiti": Franck Kessie (55 partite ufficiali in stagione), Theo Hernandez (40), Hakan Calhanoglu (46) stanno arrivando al traguardo letteralmente "con la lingua di fuori" e le prestazioni in campo ne stanno risentendo.
L'assenza di Zlatan Ibrahimovic per metà stagione (disputate appena 17 partite su 33, in campionato), ha palesato la totale Ibra-dipendenza della giovane squadra rossonera e le difficoltà a trovare la via gol in assenza del quarantenne totem svedese: nè l'evanescente Leao (7 gol in 36 presenze totali), né l'involuto Ante Rebic (sempre 7 gol, ma in 29 presenze) hanno saputo prendere il posto da bomber lasciato vacante dal più noto collega (15 gol in campionato, media di un gol ogni 89').
Le scelte discutibili di mister Pioli nelle ultime giornate, non hanno di certo aiutato: dai cambi contro il Sassuolo, alla ferrea volontà di non sperimentare soluzioni tattiche differenti dal solito 4-2-3-1, fino alla formazione di lunedì sera, l'allenatore sembra aver perso il suo tocco magico.
Da non sottovalutare una certa malasorte sia negli episodi (si pensi al record di legni colpiti, ben 20) sia nelle discutibili decisioni arbitrali recenti: dal mancato rigore su Theo Hernandez al 90' dello scontro diretto col Napoli (perso 0-1) fino al gol concesso a Correa nonostante il netto fallo su Calhanoglu, in entrambi i casi col direttore di gara che smentisce clamorosamente la chiamata (giusta) del VAR. 
Ma la colpa più grave, probabilmente, sta nelle scelte dirigenziali e societarie sul mercato di reparazione di gennaio, al quale il Milan arrivava col vento in poppa del primato in classifica, ma già colpito dalle sconfitte casalinghe contro Lille (0-3), Juventus (1-3) e Atalanta (0-3): guarda caso, contro tre avversari di "livello Champions".
Il Milan, perdendo l'occasione irripetibile di conquistare con largo anticipo il quarto posto e persino di lottare per il titolo fino alla fine con l’Inter, ha pensato di rinforzare la rosa coricorrendo a tre prestiti a zero, di cui due totalmente sbagliati. Solo il difensore Tomori, in prestito con diritto di riscatto dal Chelsea, si è rivelata una mossa all’altezza. Meite, che faceva già fatica a giocare a Torino, è un giocatore di livello medio-basso (e si poteva facilmente prevedere); Mario Mandzukic, fermo praticamente da un anno e mezzo, si è rivelato essere ormai un ex giocatore a libro paga.
Elliott è sembrato più attento alle questioni (pur importantissime) relative allo stadio ed alla Superlega, sprecando la colossale occasione di rinforzare una rosa in piena corsa per vincere. E perdendo un'occasione storica: non capita spesso, per una squadra col 5° monte-ingaggi del torneo, di girare la boa al primo posto con 44 punti. 
Sia ben chiaro, nonostante le disfatte nelle ultime battaglia ed una diffusa sensazione di inferiorità rispetto agli avversari, la guerra non è ancora persa. In fondo, il futuro del Milan è ancora nelle mani del Milan: basterebbe vincere le prossime 5 partite.
Già, basterebbe solo questo per ridare un senso a tutto: anche al gol di Theo contro la Lazio.