"Il governo Draghi approva la Strategia per la cybersicurezza nazionale. A margine del Consiglio dei Ministri, il Comitato interministeriale ha dato il suo ok al documento che segnerà la road map per la sicurezza digitale del Paese. Assieme alla strategia è arrivato questa sera il semaforo verde all’ultimo Dpcm del “Perimetro cyber”, la rete di controlli di sicurezza dei soggetti pubblici e privati che svolgono attività essenziali per lo Stato gestita dall’Agenzia per la cybersicurezza nazionale".
Praticamente, attraverso i due documenti approvati, il Governo mira ad affrontare una pluralità di sfide quali: il rafforzamento della resilienza nella transizione digitale; il conseguimento dell’autonomia strategica nella dimensione cibernetica; l’anticipazione dell’evoluzione della minaccia cyber; il contrasto della disinformazione e sicurezza online.

La mia libertà finisce dove comincia la vostra: la frase di Martin Luther King rimane base delle discussioni sugli assetti delle società moderne. Innanzitutto bisognerebbe ripensare il concetto di libertà, che in qualsiasi forma deve necessariamente essere calibrata sulla convivenza. Qualsiasi società è di per sé repressiva perché può sopravvivere solamente a condizione che i singoli controllino i loro istinti.
Elargire una visione del mondo presentandola come incontestabile, ossia l'unica possibile, è schema indifferentemente utilizzato da tutte le forme autoritarie fortemente strutturate e organizzate; la successiva adesione fideistica rende la narrazione più credibile e l'aggregazione aumenta. In passato, i dissidenti venivano neutralizzati con atti di violenza, declinata secondo vari gradi di intensità.
Internet è considerata la più grande forma di libertà comunicativa e relazionale. Parallelamente però crea, accentua, esaspera le diseguaglianze fra società dotate di strutture e strumenti in grado di utilizzare le nuove tecnologie e altre che, non disponendone, rimangono in stato di arretratezza o comunque escluse dal dibattito internazionale. In assenza di regole, di freni, la possibilità per tutti di esprimersi finisce per essere inevitabilmente esercitata a danno dei più deboli, con conseguenze altrettanto devastanti della repressione.
Il cyberbullismo è fenomeno, relativamente nuovo, legato alla rete informatica che si caratterizza in molestie virtuali, aggressioni verbali, minacce e atti persecutori, attuati tramite messaggi, immagini, video. Facciamo idealmente un passo indietro e vediamo cosa è il bullismo in origine. È un fenomeno antico: consiste in azioni intimidatorie e violente da parte di un bullo, o di un gruppo di essi, ai danni di una o più vittime.
A una prima analisi sembra diverso solo l'ambiente del cyberbullismo e del bullismo: nella realtà virtuale il primo, nella vita reale il secondo; ma le differenze sono molte di più e ci aiutano a comprendere le tante sfaccettature dell'essere umano, talune anche raccapriccianti.
I bulli possono essere, generalmente, compagni di classe della vittima, i cyberbulli avere qualsiasi età e agire da ogni dove. Il bullismo è circoscritto in un determinato contesto; il cyberbullismo opera nell'ambiente sconfinato della Rete. Il bullo può colpire, di solito, in uno spazio temporale limitato come l'orario scolastico, il cyberbullo in qualsiasi momento, 24 ore su 24. Il bullo ha un nome ed è conosciuto dalla vittima, viceversa il cyberbullo è spesso anonimo. Il bullo in genere ha un carattere forte anche se prevaricatore, il cyberbullo può essere spesso chi è a sua volta vittima nella realtà. Il bullo vede la reazione della vittima, al contrario il cyberbullo non può vedere gli effetti delle sue angherie. Il bullo, agendo nel reale, non può sottrarsi alle sue responsabilità, magari può accampare scuse; il cyberbullo ha una doppia personalità e agisce in Rete con una identità virtuale.
Ho, di proposito, sempre voluto sottolineare le parole bullo e cyberbullo: deve essere una sorta di bombardamento mediatico, e non solo, agli occhi di coloro che pensano siano "solo scherzi, bravate da ragazzi".
Chi sono il cyberbullo e la vittima? La forbice, generalmente, va dai 10 ai 16 anni, perché in questa fascia i dispositivi tecnologici sono molto usati, quasi fossero altrettante appendici delle loro mani.
Quest'uso spasmodico può indurre una seria difficoltà a distinguere tra il mondo virtuale e quello reale, non perché non ne comprendano la differenza, ma perché il primo finisce per condizionare il secondo. Quindi il cyberbullo è, nella grande maggioranza dei casi, un giovanissimo con importanti conoscenze informatiche che utilizza come rivalsa alle proprie insicurezze nella vita quotidiana.
Nella maggior parte dei casi il bullizzato, da solo o con l'aiuto di qualche amico o familiare, riesce a liberarsi dalle vessazioni informatiche, ma non senza aver provato un senso di colpa, di impotenza, un grave disagio sociale che lo spinge a non piacersi e a non accettarsi, con relativi disturbi alimentari e del sonno, con forme, a volte gravi, di depressione.
Peraltro, in alcuni casi, specialmente quando la giovane vittima non riesce a distinguere il reale dal virtuale, il cyberbullismo può portare a gesti estremi, come l'anoressia e la bulimia, o, come accaduto per il "gioco mortale" Blue Whale Challenge, al suicidio.
"So come ci si sente a essere perseguitati e vessati ogni giorno" - scrive J-Ax. "Voglio in ogni modo supportare e aiutare i ragazzi che stanno passando quello che io ho vissuto, perché se una volta erano le strade sbagliate, oggi il bullismo è ovunque soprattutto su Internet".
Ha cercato, riuscendoci, da artista di dare risalto, in un suo pezzo, a una delle interpretazioni più forti: nel ritornello, il pugno allo stomaco, è volontariamente rilevante.
"Devi morire, devi morire"
"Devi morire, devi morire"
"Sappiamo come ci si sente
Quando la luce poi si spegne
Se dopo il cielo non c'è niente
Restano qui tutte le paure che hai
Chissà se sarà vero che la vita è come un treno
E forse a quanto pare a noi ci ha preso in pieno
Siamo vivi nonostante ci dicevano
"Devi morire, devi morire".

Ma le responsabilità a chi devono essere attribuite?
Hans Jonas, che con il suo "principio di responsabilità" guida l'uomo nella scelta di una posizione responsabile, traccia una nuova etica globale che tiene conto delle sorti future del mondo. Parte dalla distinzione tra l'età contemporanea e quella precedente l'esplosione scientifica dei nostri tempi. Ritiene che l'etica tradizionale non sia più sufficiente, quindi non basta essere a posto con la propria coscienza ma occorre prevedere quali influssi le nostre azioni attuali potranno causare nel futuro dell'umanità. Secondo l'etica della responsabilità, dunque, la domanda che bisogna porsi è: le mie azioni sono compatibili con la continuazione di una vita autenticamente umana?
Le famiglie assolvono ancora al ruolo di "nucleo cardine educativo?".

Quando pensiamo alla famiglia, o quando ne sentiamo parlare, diamo per scontato di conoscere perfettamente il significato di questa parola: la famiglia è una realtà nella quale siamo cresciuti, il gruppo di persone con le quali conviviamo e che ci sono più care: madre, padre, fratelli, sorelle, a volte nonni. Per noi famiglia è questa. Ma appena ci fermiamo a riflettere sull'argomento, ci accorgiamo che anche in questo campo la storia ha molte cose da insegnarci.
Infatti, scopriamo che la parola "famiglia", nel corso della storia e nelle diverse culture, ha assunto e assume significati diversi, e che alla quale siamo abituati a pensare è solo una delle tante forme di famiglia che si sono succedute nel tempo, e che ancora oggi si riscontrano in culture diverse da quella occidentale.
La nostra famiglia, quella di cui parla la Costituzione italiana (abitualmente definita nucleare) deriva dall'antica famiglia (familia) romana, e solo da pochi anni ha perduto la caratteristica fondamentale di quella compagine famigliare, vale a dire la patriarcalità (dal greco patér, "padre", e arché, "comando"). Parola dal significato molto chiaro: essa indica che all'interno del gruppo famigliare esiste un "capo", il padre, cui sono sottoposti tutti gli altri membri del gruppo. I poteri del capofamiglia, ovviamente e fortunatamente, sono molto cambiati nel corso dei secoli. Nell'antica Roma, essi arrivavano al diritto di mettere a morte i figli, e in alcuni casi anche la moglie, per punirli di comportamenti ritenuti riprovevoli. Anche se via via limitati nel corso dei secoli, questi poteri, con vicende alterne, sono sopravvissuti nei nostri codici fino all'anno 1975, quando la riforma del diritto di famiglia ha cancellato, provvidenzialmente, la figura del "capo" e la "patria potestà" che spettava sui figli minorenni, attribuendo questo potere, per la prima volta nella nostra storia, al padre e alla madre, congiuntamente.
Ma le mamme strillano o educano? Urlano o insegnano? I padri giocano ancora a pallone con i figli o fanno vedere loro come cambiare canale? Sono al centro del loro poco tempo libero o piuttosto sono più prodighi a fare vedere come scaricare un App?

"Ubi maior minor cessat", presumibilmente di Catone, si può abbinare a un verso di Dante Alighieri, "credo ch'un spirto del mio sangue pianga la colpa che là giù cotanto costa", tratto dal XXIX canto dell'Inferno.
"Chi è causa del suo mal pianga se stesso". Per concludere, per risolvere il problema del bullismo, anche in rete, basterebbe semplicemente che i genitori tornassero a fare gli educatori anziché i fan dei propri figli.
"Portami a casa un brutto voto ma non farmi chiamare da qualsiasi tuo insegnante per sottolineare che ti sei comportato in maniera maleducata. Questo non lo accetterei". I miei genitori hanno sempre focalizzato molto sulla parola rispetto; ho capito, nel corso della vita, quanto fosse centrale su qualsiasi rapporto.

Abbiamo voluto una bicicletta che andasse sempre più veloce non interessandoci neppure dove ci potesse portare; adesso pedalare a ritroso è, ahimè, impossibile.
Del resto, non è plausibile insegnare agli altri ciò che non si riesce a insegnare alla propria famiglia. Per questo gli amici, il più delle volte, sono il modo in cui Dio chiede scusa per i parenti.