La trasferta di Firenze capita in un giorno speciale. Ventisei anni fa, Andrea Fortunato si spegneva dopo una battaglia contro la leucemia durata un anno, lasciando un ricordo indelebile in coloro che hanno vissuto seppur indirettamente la sua tragedia. 
La stagione 1993/94 è alle porte, la Juventus di Vialli e Baggio, vincitrice dell’ultima coppa uefa, si presenta ai nastri di partenza con rinnovate ambizioni di riportare a Torino quello scudetto che manca da troppo tempo. In quella rosa ricca di grandi giocatori, fa il suo ingresso un giovane terzino sinistro di appena 23 anni, acquistato in estate dal Genoa per colmare il vuoto lasciato su quella fascia da Gigi De Agostini e, prima di lui, da Antonio Cabrini. Capelli lunghi, corsa veloce, sinistro tagliente. L’impatto di Fortunato nel mondo Juve è quello di uno che lascerà un segno importante nella storia di una grande società. Prestazioni sempre più convincenti, il debutto in Nazionale, il primo gol in bianconero, realizzato in un pomeriggio di dicembre a Roma contro la Lazio. Un sinistro perentorio, dall’interno dell’area di rigore, per ribadire in rete una punizione calciata da Roberto Baggio. Il tutto sotto gli occhi adolescenti ed entusiasti di chi scrive,  presente allo stadio per un regalo di compleanno anticipato di un paio di giorni. La strada sembra tracciata. La convinzione diffusa tra gli addetti ai lavori è che la Juventus abbia trovato per i prossimi anni il padrone di quella fascia. Invece le cose cambiano in  maniera precipitosa con l’arrivo della primavera. La formazione bianconera inciampa in qualche sconfitta di troppo. Con le difficoltà della squadra, anche le prestazioni di Fortunato accusano un calo di rendimento inaspettato. La sua corsa è appesantita, la velocità dirompente appannata. La Juventus viene eliminata in coppa uefa dal Cagliari. Quarti di finale. Esplode la contestazione. Nel mirino finisce anche il giovane giocatore. Le solite voci che si rincorrono in queste situazioni parlano di un ragazzo che si è montato la testa, che non si dedica più al calcio come prima. Invece no. La realtà è ben peggiore e irrompe in un pomeriggio di Maggio del 1994. La notizia diffusa dal televideo somiglia ad una sentenza: leucemia. E’ la prima volta, forse, che prendo contatto con il vero significato della malattia. Colpisce proprio un giocatore della Juventus. Qualcuno che nel mio immaginario di adolescente appariva molto simile ad un eroe forte e invincibile. Il destino si compie nel giro di un anno. Le cure, il trapianto, la ripresa. Addirittura una convocazione per la trasferta di Genova contro la Samp. Un modo per far sentire il giocatore protagonista di un gruppo che sta viaggiando verso lo scudetto e per infondergli ulteriore coraggio nella difficile lotta. Una timida speranza sembra affacciarsi. Stroncata un martedì notte, quando le agenzie di stampa annunciano la morte. La battaglia è perduta. Di quei tristi giorni restano nella mente tanti ricordi. La maglia bianconera numero 3 adagiata sulla bara. Il pianto di Vialli che, travolto dalle lacrime, durante la cerimonia funebre, fatica a concludere il discorso con cui a nome della squadra saluta il “fratello Andrea”. Il ricordo di Beccantini  che, sulle colonne de La Stampa, lo immagina solcare, capelli al vento, quella fascia sinistra lassù in Paradiso. La commozione del mondo del calcio e dell’Italia in generale. 
La domenica successiva vede la Juventus, lutto al braccio e tristezza nel cuore, scendere in campo a Firenze, imporsi per 4-1 e allungare forse in maniera definitiva le mani su quello scudetto tanto a lungo atteso. Uno scudetto che non poteva avere altra dedica se non per Andrea Fortunato. Un ragazzo troppo presto strappato alla vita e che, ancora oggi, nonostante l’incessante scorrere del tempo, nessuno ha mai dimenticato.

Esattamente come allora, in un giorno tanto carico di significati, la Juventus è impegnata nella trasferta di Firenze, in un partita che questa volta ha in palio solo un piazzamento valido per un posto nella prossima Champions League. Avversaria di giornata proprio quella Fiorentina contro cui, nella gara di andata, la Juventus incappò in una rovinosa sconfitta interna che forse ne ha segnato la stagione più di quanto fosse lecito immaginare allora. Ancora assenti Demiral e Chiesa, Pirlo sorprende con una formazione che ha il sapore della restaurazione. Da un cassetto ormai dimenticato torna il 352. Davanti alla porta difesa da Szczesny una linea difensiva a tre formata da De Ligt, Bonucci e Chiellini. Sulle fasce, Cuadrado a destra e Alex Sandro a sinistra. In mezzo al campo la coppia mediana formata da Bentancur e Rabiot, ai quali si aggiunge Ramsey, chiamato a ricoprire un ruolo di raccordo tra il centrocampo e la coppia d’attacco composta da Ronaldo e Dybala.
Classico 352 anche per la Fiorentina di Iachini, a caccia di punti per ottenere una salvezza meno scontata e meno agevole di quanto si potesse immaginare all’inizio del campionato. Milenkovic, Pezzella e Caceres compongono il trio difensivo che protegge la porta di Dragowski. Le due fasce sono affidate a Venuti, sulla destra, e a Igor, schierato sulla corsia opposta con l’evidente consegna di frenare le discese di Cuadrado. A centrocampo, Pulgar ed Amrabat detteranno i tempi della manovra viola, con Castrovilli chiamato ad infiltrarsi tra le linee difensive avversarie. In attacco Vlahovic e Ribery completano le scelte di Iachini.
Una calda e luminosa giornata di sole primaverile accoglie le due le squadre, insinuando, nel tifoso bianconero che prende posto davanti alla tv, una piccola preoccupazione per una temperatura che potrebbe incidere sulla tenuta atletica di una squadra che non ha mai mostrato una condizione fisica particolarmente brillante. Vestite nei loro colori tradizionali, agli ordini dell’arbitro Massa, le due formazioni si schierano sul prato verde del Franchi. L'assenza di pubblico toglie, per fortuna, alla partita tutto il solito contorno poco piacevole sempre messo in scena da un popolo, quello viola, che ha la pretesa di considerarsi rivale della Juventus per un campionato conteso fino all'ultima giornata ormai quarant'anni fa. Espletate rapidamente le solite formalità del pre partita, l’incontro può avere inizio. 

Si parte a basso ritmo da entrambe le parti. La Fiorentina sceglie di attendere gli avversari, creando densità a ridosso della propria area e lasciando, almeno inizialmente, la gestione del pallone alla Juventus che si esibisce in un palleggio lento, sterile e annoiato. Un palleggio che si spegne da solo, soffocato da un'infinità di retro passaggi. La squadra di Pirlo offre ai suoi tifosi il peggior primo tempo della stagione. Il 352 per mostrare trame efficaci richiede velocità ed alta intensità, altrimenti il baricentro della squadra, forzatamente basso per la presenza di tre difensori centrali, tende a risucchiare la manovra all’indietro, verso la trequarti difensiva. Ed è proprio quello che succede. I giocatori in maglia bianconera sono tutti fermi. La  palla si muove lentamente, prevalentemente in orizzontale e indietro. E’ fermo l’uomo in possesso del pallone, sono  fermi i compagni intorno. I giocatori si guardano, si danno indicazioni, pensano. La sensazione è che sia tutto molto approssimativo. La manovra della Juventus, se così possiamo chiamarla, è dominata dalla confusione. Tanti passaggi tra i tre centrali e palla che raggiunge le fasce quando Cuadrado e Alex Sandro sono già stati raddoppiati, limitati e dunque costretti a ricevere il pallone con le spalle rivolte alla porta avversaria. Inevitabile tornare indietro dai difensori che, a quel punto, danno vita ad un nuovo, lento giro palla orizzontale senza alcuno sbocco. In un paio di occasioni Bonucci tenta di forzare il destino, provando un lancio lungo per scavalcare il muro viola. L’esito di queste iniziative non è però quello sperato. Alla Juventus, sul prato del Franchi, mancano gioco, intensità e determinazione. La squadra, per buona parte del primo tempo, non riesce a vincere neppure un contrasto senza commettere fallo. 
Con il passare dei minuti, la Fiorentina inizia a prendere maggiore confidenza. Ribery si muove prevalentemente sulla trequarti offensiva, uscendo dalla marcatura e offrendo un punto di riferimento sicuro alla manovra viola. Risulta ben presto evidente l’inutilità della presenza contemporanea di tre difensori centrali per controllare il solo Vlahovic.
La squadra di Iachini in diverse occasioni si presenta dalle parti di Szczesny. Ogni volta in maniera sempre più minacciosa. Inizia Igor, attorno al quarto d’ora di gioco, con un  cross dalla sinistra che attraversa tutto lo specchio della porta prima di essere allontanato da Alex Sandro, bravo ad anticipare Vlahovic ormai ad un passo dalla linea. Trascorrono un paio di minuti ed è Milenkovic a tentare una conclusione dalla distanza deviata in angolo da Szczesny. La Juventus non sembra neppure in campo. La Fiorentina, pur non proponendo trame di gioco irresistibili, arriva con estrema facilità alla conclusione. Tocca a Pulgar, al ventesimo minuto, andare ad un passo dalla rete con un tiro da fuori area che, deviato da Bonucci, si infrange sul palo e carambola tra le braccia di un immobile Szczesny. 
Il gol della Fiorentina appare come un evento inevitabile ed arriva di lì a poco. Un cross di Caceres da sinistra, respinto da un colpo di testa di Bonucci, innesca all’interno dell’area di rigore bianconera un duello aereo tra Rabiot e Vlahovic. Il pallone viene allontanato dal centrocampista francese tra le proteste dei giocatori viola. Il gioco si ferma. Dopo un approfondito consulto, il var richiama l’arbitro Massa al monitor. I vari replay evidenziano un tocco con il braccio da parte di Rabiot. Parziale attenuante per il francese potrebbe venire da un contrasto molto fisico tra i due contendenti che forse sbilancia il centrocampista bianconero. La possibile attenuante non viene però presa in considerazione dall’arbitro che chiude la revisione var e concede il rigore. Dal dischetto, Vlahovic con un cucchiaio centrale porta in vantaggio la Fiorentina.
Nemmeno sotto di una rete, la Juventus riesce a cambiare passo e produrre occasioni da gol. La  Fiorentina, una volta sbloccato il risultato, si abbassa nuovamente e torna a creare densità nella propria metà campo, togliendo ossigeno alla asfittica manovra bianconera. Ramsey, chiamato dal suo ruolo a cercare varchi tra le linee avversarie, affoga tra le strette maglie del centrocampo viola. La Juventus di questa stagione ha l’unica costante di far apparire l’avversario di turno migliore di quanto non sia in realtà. Qualsiasi squadra, per quanto debole possa essere, trova contro questa Juve il suo giorno di gloria. 
Szczesny, in occasione di un calcio di punizione a sfavore, tenta di svegliare la squadra. Si sente chiaramente il portiere polacco, impegnato a sistemare la barriera, gridare ai suoi compagni: “In questo modo perdiamo 3-0”. Il tentativo, per quanto lodevole, non porta alcun esito. Dalla squadra continuano a non arrivare segnali di ripresa. Dybala e Ronaldo confermano per l’ennesima volta di non comporre un vero reparto avanzato. Sono due binari che corrono paralleli senza mai incontrarsi. Non si cercano, non si trovano mai nelle stesse zone di campo. L’argentino arretra sempre più spesso, alla ricerca di qualche pallone giocabile. Ronaldo, nella sua solita zona di sinistra, rimane ai margini della partita per tutto il primo tempo. Non si ricorda una giocata utile, uno spunto. Soltanto un retropassaggio avventato e distratto ad inizio partita che ha innescato un contropiede rifinito da Ribery per Vlahovic, chiuso da una provvidenziale uscita di Szczesny.
Dybala si accende una sola volta, nel finale di tempo, con un’accelerazione sulla trequarti che squarcia le linee viola. L’argentino, con un tocco filtrante, serve Bentancur, lanciatosi in avanti per offrire supporto all’azione da lui stesso avviata. L’uruguaiano, al limite dell’area, con tutta la difesa addosso, controlla e scarica per Ramsey, entrato con i tempi giusti nella breccia appena creata dall’unica accelerazione bianconera di tutto l’incontro. Il tiro del gallese, solo davanti a Dragowski, esce però a fil di palo, regalando per un momento l’illusione di un  gol che sarebbe stato importante quanto immeritato.
Il duplice fischio dell’arbitro Massa viene accolto, dallo sconcertato tifoso bianconero davanti alla tv, con un sospiro di sollievo che sa di liberazione. Una Juventus troppo brutta per lasciare immaginare una possibilità di ribaltare il risultato. Le solite chat di whatsapp che accompagnano l’intervallo, rilanciano messaggi colmi di preoccupazione, sconforto ed anche irritazione. La tolleranza sembra ormai ai minimi termini, prevale l’insofferenza per una prova brutta oltre ogni aspettativa. Difficile dare torto agli amici. Nessuno si aspetta ormai più niente sul piano del gioco in queste ultime partite, ma almeno si vorrebbe vedere una squadra che con un minimo di criterio cerchi di costruire qualche tiro in porta.

Stavolta la prestazione offerta dalla Juventus impressiona in negativo anche il solitamente imperturbabile Pirlo. L’allenatore bianconero, infatti, presenta in campo, per la seconda parte di gara, un undici pesantemente ristrutturato dalle sostituzioni. Escono Bonucci e Dybala, autori di una prova negativa al pari degli altri nove compagni rimasti in campo. Al loro posto, sul terreno di gioco del Franchi, fanno il loro ingresso Kulusevski e Morata. La squadra abbandona l’improvvisato 352 e si ridisegna con il solito 442 che ha segnato quasi interamente il corso della stagione. I risultati arrivano subito, alla prima azione, con Morata che, lanciato in profondità sulla destra da Cuadrado, rientra sul diretto avversario e con l’interno sinistro, da posizione defilata, trova una conclusione carica di effetto che spiove sul secondo palo sorprendendo Dragowski. Il pallone accarezza la faccia interna del palo e termina in rete. Un gol inaspettato che rimette immediatamente la partita su un binario di equilibrio.
La Fiorentina accusa il colpo. Per tutta la prima parte della ripresa il pallone è nei piedi dei giocatori juventini che però non riescono a capitalizzare il momento favorevole, ricadendo in una manovra lenta e sterile, ricca di passaggi orizzontali e trame di gioco scontate. Con la nuova disposizione tattica, la squadra come sempre torna a pendere sul lato destro del campo, con Cuadrado a catalizzare la maggior parte dei palloni. Spesso isolato su quella fascia, il colombiano è costretto sempre più spesso a cercare quello spunto personale che sembra essere l’unico schema offensivo conosciuto dalla Juventus. Ronaldo tenta di entrare nella partita con un paio di iniziative sulla sinistra. Si spegne però subito. Gambe e testa sembrano lontani dal pomeriggio fiorentino e forse pure dalla Juventus. 
Una buona opportunità, intorno al quarto d’ora capita sulla testa di Chiellini. Libero all’altezza del secondo palo, il capitano sceglie inspiegabilmente di toccare all’indietro un pericoloso cross di Cuadrado invece di spingere il pallone nella porta rimasta sguarnita dopo l’uscita a vuoto di Dragowski.
La partita si avvia a spegnersi con il risultato di parità che non viene quasi mai messo in discussione. La Juventus non dà mai la sensazione di avere nelle gambe e nella testa il gol della vittoria. In una prestazione complessiva non esaltante, spiccano la solita mole di gioco prodotta da Cuadrado, forse appena meno lucido rispetto ad altre prestazioni, e il gran numero di palloni recuperati da Bentancur, autore di alcune uscite in pressing, ovviamente isolato, degne di nota. Da uno di questi recuperi nasce una buona opportunità che lo stesso giocatore uruguaiano non capitalizza, scegliendo, dalla linea di fondo, di toccare indietro per Kulusevski un pallone che si rivelerà imperfetto invece di calciare forte nel cuore dell’area. Pirlo tenta l’ultima mossa togliendo dal campo Ramsey, emerso dall’abisso di una condizione fisica estremamente deficitaria solo in occasione della palla gol avuta nel finale del primo tempo. Al suo posto, mentre sullo schermo va in onda il solito spot pubblicitario, entra McKennie.
L’ultima occasione di vincere la partita nasce da un calcio d’angolo battuto corto da Cuadrado per Kulusevski. Lo svedese rientra sul sinistro e lascia partire un cross perfetto che spiove all’altezza del secondo palo, a pochi passi dalla porta, dove, lasciato colpevolmente libero dalla distrazione della difesa viola, arriva Ronaldo. Il gol sembra cosa fatta, invece il portoghese manca goffamente l’impatto di testa con un pallone che non chiedeva altro che essere spinto in porta. La Fiorentina si salva. Iachini in panchina si infuria per l’occasione concessa alla Juventus.

La partita non ha più niente da dire. Trascorsi i tre minuti di recupero concessi, l’arbitro Massa fischia la fine. Arriva un pareggio sicuramente più utile alla Fiorentina, che aggiunge un altro piccolo mattone alla sua corsa verso la salvezza. Per la Juventus si tratta di un risultato negativo, sia per i due punti pesanti lasciati sul campo, sia per come il risultato è maturato, al termine di una delle più brutte prestazioni offerte dalla squadra in questa infelice stagione. Il percorso verso la conquista del quarto posto si complica, minacciato anche da un calendario ostile che nelle ultime cinque partite vedrà i bianconeri impegnati nelle trasferte di Udine, Sassuolo e Bologna, intervallate dalle due sfide casalinghe contro Milan e Inter.
Stupiscono ancora una volta le scelte di Pirlo, capace di cambiare per l’ennesima volta la formazione iniziale e di tenere fuori Danilo, uno dei migliori di questa annata. Verrebbe da credere che il Mister bianconero, con la sorprendente formazione iniziale, abbia in un certo senso giocato l’ultima carta, quella della disperazione, tirando fuori da un vecchio baule impolverato l’antico 352 e scegliendo di puntare sull'esperienza di Bonucci e Chiellini, affidandosi ad un sistema di gioco da loro ben conosciuto, per guidare la squadra verso la vittoria. Fallito l'esperimento, l’allenatore è tornato sui suoi passi, riproponendo il solito 442 “liquido” che almeno ha restituito la solita brutta Juventus che siamo stati abituati a vedere in questa stagione, dopo la prova orribile andata in scena nel primo tempo. Pirlo purtroppo dimostra partita dopo partita di non avere più nulla da dare, ammesso che in un qualche momento di questa annata abbia avuto davvero qualcosa da proporre. Si ricordano solo scelte approssimative, sistemi macchinosi e confusione, soprattutto confusione. Risulta ormai sconfortante vedere undici maglie bianconere, sparpagliate a caso per il campo, cercare di improvvisare una soluzione per raggiungere la porta avversaria. L’unica consolazione di questa trasferta fiorentina è rappresentata dal fatto che per concludere la stagione adesso mancano soltanto 6 partite, finale di Coppa Italia compresa, poi finalmente sarà finita.
A quel punto, il calcio “liquido” del nostro allenatore verrà chiuso, si spera, dentro un cassetto.