Due mesi, quattordici giorni, undici ore, trenta minuti, diciassette secondi, sedici, quindici, quattordici… “Ma che roba è? Sei asciuto pazzo, Gaetano?”. No, caro lettore, tutto a posto! Quello non è il countdown che ci separa da Capodanno, bensì il tempo rimanente alla riapertura dell’evento che gli appassionati di calcio aspettano con trepidazione: il calciomercato. Una stagione di forti cambiamenti, quella che sta attraversando il nostro pallone. Cambiamenti che hanno interessato anche il mercato, con le due sessioni – sia quella estiva, che quella invernale – profondamente mutate: i vari club avranno tempo dal giorno 3 fino alle ore 20 del 18 gennaio per completare le operazioni in entrata ed uscita. Stante questa decisione, è inevitabile che le ripercussioni saranno tangibili, prima fra tutte la celerità con la quale i direttori sportivi dovranno giocoforza muoversi per completare le trattative in sole due settimane; va da sé che – in maniera ancor più evidente rispetto agli scorsi anni – gli operatori di mercato devono anticipare le proprie mosse. Essendo ormai ottobre inoltrato, le possibilità di poter battere sul tempo i colleghi si assottigliano man mano che i giorni passano. Insomma, quel che è fatto è fatto. 

Ecco perché i d.s. stanno lavorando alacremente per la sessione estiva 2019, mossi dall’intento di bruciare la concorrenza nella corsa ai talenti più fulgidi e ai parametri zero più ambiti dell’intero panorama calcistico mondiale. Inaspettatamente – visti i soliti, ottimi risultati conseguiti sia in campionato, sia in Europa – è la Juventus la società più attiva in questa sorta di “mercato di prevenzione”; chi di calcio ne mastica ha la consapevolezza che questo comportamento da parte dei bianconeri è tutto fuorché inaspettato e sorprendente: chiedere ai vari Emre Can, Pogba e Pirlo per conferma. Paratici ha sguinzagliato da tempo i suoi segugi, perlustrando ogni centimetro del Vecchio Continente e del Sud America alla ricerca del campione del futuro (e, perché no, anche del presente) e puntando il mirino in particolar modo su una società olandese da sempre abituata a sfornare giovani promesse.

Negli ultimi anni l’Ajax sta superando se stesso nella produzione di talenti, i quali vengono allevati “in laboratorio” fin dalla più tenera età, fatti esordire nemmeno diciottenni in prima squadra e venduti poi a peso d’oro al miglior offerente: questo è sempre stato – e per sempre sarà – il modus operandi dei “Lancieri”. E la Juventus – insieme agli altri top club europei – resta alla finestra, pronta a fiondarsi sui migliori giovani anticipando la folta concorrenza. A tal proposito, i due obiettivi principali di Paratici rispondono al nome di Frankie de Jong e soprattutto Matthijs De Ligt. Ma c’è dell’altro: il d.s. bianconero, orfano della suo compagno di merende Giuseppe Marotta, sta lavorando sottotraccia per portare a Torino un baby prodigio del 2002, con l’obiettivo (nemmeno troppo nascosto) di accaparrarsi i “CR7” del futuro, possibilmente ancora in fasce e ad un preazzo più accessibile del portoghese. Andiamo con ordine.

Frankie de Jong, nato nel 1997, è un pupillo di Pep Guardiola, che si è letteralmente innamorato di questo biondo ragazzo nato ad Arkel: basterebbe questa prestigiosa raccomandazione per chiudere già qui il discorso. E invece c’è molto altro da dire sul giovane Frankie. Ad esempio, il suo eclettismo non ha eguali nel panorama europeo: de Jong può ricoprire diversi ruoli, sebbene il meglio di sé lo dia o come difensore centrale o come mediano in un centrocampo a due. Quanti giocatori che a quell’età sappiano destreggiarsi con tale disinvoltura in ruoli così delicati conoscete voi? Io nessun altro. L’obiettivo dichiarato della dirigenza olandese è quello di fare di Frankie de Jong la cessione più remunerativa della leggendaria storia dei “Lancieri”. Tenendo conto che in passato le vendite maggiori del club olandese furono quelle di Davinson Sanchez al Tottenham (40 milioni) e di Arkadiusz Milik al Napoli (32 milioni) e che oggigiorno i prezzi dei calciatori sono ormai lievitati senza logica, desterebbe sorpresa se l’Ajax non raggiungesse il proprio scopo.

Qualora fallissero, i dirigenti oranje* (a tal proposito vi aspetto a fine articolo per una chicca…) dormirebbero comunque sonni tranquilli, sapendo di avere in squadra un’altra pepita d’oro con la quale guadagnare decine e decine di milioni. Un dato specifico ci racconta chi è Matthijs de Ligt: le 11 presenze da titolare con la Nazionale olandese, raccolte a soli 19 anni, dimostrano che siamo di fronte ad un vero e proprio predestinato. Se poi ci aggiungiamo pure che il ragazzone di Leiderdorp è uno dei più giovani calciatori della storia dell’Ajax ad essersi impossessato della fascia da capitano, ecco che il quadro risulta pressoché completo. Su di lui l’Ajax vuole scatenare una vera e propria asta internazionale, alla quale per il momento si sono iscritte Juventus, Barcellona, Manchester City e Paris SG. Base d’asta: 60 milioni di euro. Un prezzo esagerato, accessibile a pochissimi (e ricchissimi) club in giro per l’Europa: ecco perché non credo all’inserimento della Roma.

Ovvio è che la Juventus dovrà fare una scelta : o de Jong o de Ligt, entrambi sarebbe un suicidio economico. Nel caso in cui almeno una delle due trattative in salsa olandese andasse in porto, ecco che la Juventus non si farebbe pregare nell’affondare pure su Ryan Gravenberch. Chi è costui? Domanda saggia, caro lettore. Ryan è nato nel 2002, ha sedici anni e rappresenta il fiore all’occhiello del florido settore giovanile dei “Lancieri”. Dal punto di vista tecnico e fisico il ragazzo – fatte le dovute proporzioni; è un mero esempio per inquadrare il tipo di calciatore – assomiglia a Paul Pogba, che tra le altre è l’idolo adolescenziale di Ryan. In Olanda è conosciuto come il “ragazzo dei record”: record come più giovane esordiente e come più precoce goleador della storia aiaceSulla falsariga di de Jong e de Ligt, anche Gravenberch fa dell’eclettismo e della versatilità le sue principali armi da gioco: nasce come costruttore di gioco, ma si sta pian piano specializzando nei ruoli di mezzala d’inserimento e di trequartista, sebbene pecchi ancora in zona-gol. Essendo minorenne, Gravenberch è legato agli olandesi da un contratto giovanile: la Juventus potrebbe portarselo via a zero (alla stregua di quanto fece con Pogba), ma è certo che il ragazzo di origini surinamesi firmerà, non appena compiuti 18 anni, il contratto da pro con l’Ajax, se non altro per riconoscenza verso il club che lo ha cresciuto. Dopo aver preso Pablo Moreno, la Juventus monitora pure il secondo giocatore più forte della nidiata dei 2002, puntando probabilmente a vincere 20 o più Scudetti consecutivi.

*Oranje. Scrivendo questo articolo sulla Juventus e i suoi obiettivi olandesi, mi è balenata in mente una domanda tanto banale quanto sottovalutata: perché l’Olanda indossa una divisa arancione e si fa chiamare OranjeMolti di voi penseranno immediatamente ai fiori simbolo del territorio, i tulipani; in parte è una considerazione esatta, ma c’è un’altra storia dietro, più affascinante ed importante. L’Olanda non è sempre stato uno stato indipendente nella sua millenaria storia, anzi in pochi sanno che il regno olandese fu per molti secoli posto sotto il diretto controllo di quello spagnolo. Il paese raggiunse la piena autonomia come abbiamo fatto noi italiani, attraverso cioè delle “guerre d’indipendenza”, il cui protagonista fondamentale fu Guglielmo d’Orange-Nissau, detto anche il “Taciturno”. Il simbolo più famoso di questo celebre condottiero fu la cosiddetta “Prinsenvlag”, la “bandiera del Principe”, antesignana dell’odierna bandiera nazionale. Mentre però il moderno tricolore ha il rosso come prima banda verticale, lo stendardo di Guglielmo aveva come colore – oltre al bianco e al blu – l’arancione. Dato che all’epoca si combatteva soprattutto nei mari e dato che l’arancione si vedeva poco e si schiariva con la salsedine, gli olandesi decisero di sostituirlo con un colore più forte ed acceso, il rosso appunto. La scelta del colore arancione della “Prinsenvlag” deriva proprio dal nome della casata (Orange-Nissau) ed ecco spiegati i motivi per cui, dopo gli inizi in divisa bianca con banda trasversale, la selezione olandese abbia optato per una tenuta “totally orange”, in ottemperanza al colore nazionale. Che storia incredibile, eh?