Firenze, 3 marzo 2022. "Lunedì sera presenteremo il nuovo Franchi. Si tratta davvero di un'operazione di rinnovamento profondo dello stadio di calcio della Fiorentina. Siamo riusciti a ottenere un finanziamento importante dal cosiddetto Recovery Plan, i fondi europei, perchè lo stadio dell'architetto Pierluigi Nervi è un monumento nazionale. Con queste risorse siamo partiti con un concorso internazionale al quale hanno partecipato trentuno grandi studi di progettazione; lunedì prossimo presenteremo il progetto vincitore". Dario Nardella, Sindaco.

Firenze, 4 aprile 2022. Il nome Artemio Franchi "sarà per sempre legato al nostro stadio, anche nella versione del futuro e quindi siamo contenti di essere qui". Il nuovo Franchi, aggiunge, "sarà un gioiello di tecnologia, di rispetto dell’ambiente, di funzionalità per i tifosi e sostenitori del calcio". Per questo "non soltanto ci candidiamo a fare del nuovo Franchi lo stadio degli azzurri, ma ci proponiamo anche per gli Europei di calcio, per essere un modello per tutti gli stadi italiani che devono fare i conti con la tradizione e la storia puntando sull’innovazione". Dario Nardella, Sindaco.

Firenze, 2 maggio 2022. "Sono arrivati solo 50 milioni del PNRR riservato alla ristrutturazione del Franchi. Se lo Stato non ci permetterà di adeguare i prezzi delle materie prime sarà difficile attuare il piano previsto. Questo è un problema nazionale, non ci sono le giuste condizioni e l'Unione Europea non ha intenzione di fare sconti". Dario Nardella, Sindaco.

Un giorno sì e un giorno no. M'ama o non m'ama? Bianco o Nero? (questa era meglio se me la risparmiavo...).
Bello o brutto, alto o basso, magro o grasso. Insomma, Sindaco, "bisogna dacci una regola e una svegliatina", come direbbe i' vecchino di S. Frediano.
È mai possibile che nessun politico, non solo nella stanza dei bottoni della FIGC, quando c'è da prendere una decisione, metterci la faccia, dare il "La" a un progetto che porti lavoro, credibilità e guadagno alla collettività, usi il lessico del "braccino corto?".

"Come italiano non vi chiedo nessuna concessione particolare: vi chiedo solo di inquadrare la nostra pace nella pace che ansiosamente attendono gli uomini e le donne di ogni Paese che nella guerra hanno combattuto e sofferto per una meta ideale. Non sostate su labili espedienti, non illudetevi con una tregua momentanea o con compromessi instabili: guardate a quella meta ideale, fate uno sforzo tenace e generoso per raggiungerla".
De Gasperi era Presidente del Consiglio da meno di un anno. Il silenzio dell'Assemblea dei Vincitori, dopo la conclusione del discorso, fu un'ulteriore, dura, prova dello scotto che l'Italia pagava per gli errori del fascismo e della monarchia; e parve oltretutto ingiusto che l'umiliazione fosse personalmente inflitta a chi perorava la causa del proprio popolo senza aver ceduto alla dittatura.
Mi concederete la divagazione!
Non voglio assolutamente fare termini di paragoni, tra l'altro tra due statisti, però è evidente che nel corso dei decenni, non secoli, qualcosa è mutato. Non solo in termini di comunicazione. 

“Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza dà la possibilità di attuare trasformazioni che vengono dal basso, cioè studiate, progettate e attuate da coloro che poi vivranno tutta la vita in queste città trasformate. In questo senso il PNRR è un’opportunità veramente straordinaria”. Il Presidente del Consiglio Mario Draghi è intervenuto con queste parole a Firenze, alla sala Zubin Mehta del Teatro del Maggio musicale fiorentino, per sottolineare come i fondi europei rappresentino “un’opportunità storica per affrontare i problemi che sono rimasti irrisolti per decenni, come la carenza di infrastrutture o le diseguaglianze generazionali e di genere".
Insomma cenno o non cenno? [cit. volgo lessicale: ci sono o no?].
Guardate a quella meta ideale. Io penso che stia in questa frase la differenza tra la Politica e la po' litica (pietra lavorata da industrie e culture preistoriche o primitive).
Se, metaforicamente, chiudessimo gli occhi e ascoltassimo in silenzio sembrerebbe, paradossalmente, che le prime dichiarazioni fossero state fatte successivamente e viceversa.

Quando i tifosi, come il sottoscritto, si chiedono come mai la Serie A non può competere con la Premier League, la Bundesliga, la Liga la risposta, ahimè, è la medesima. Manca un filo logico di crescita soprattutto, si badi bene, non solo sportivo. Il famoso "dossier Baggio", che invito a leggere, portato sul tavolo "di chi conta" (Sic!) era la bibbia da seguire. Ritorno alle scuole calcio, agli insegnanti e alle strutture. Stop. Semplice vero? Il Divin Codino, che tra l'altro fu chiamato a Coverciano dopo la prima debacle per la mancata qualificazione ai Mondiali, dette le dimissioni dopo poco più di una settimana. Fu il tempo sufficiente per capire che i "muri di gomma" non esistono solo per i grandi segreti che attanagliano questo paese. Italiota, ribadisco.

Le strutture, non solo per il rispetto di chi le frequenta dal popolo bue (in origine massa remissiva, sottomessa; per associazione con il bue che si lascia aggiogare docilmente. Più frequente con il significato di massa ottusa e facilmente manipolabile di individui privi di capacità), sarebbero il vero business per lo step successivo. Quello essenziale dell'organizzazione societaria.
Infatti Milano, Roma, Firenze, Napoli, solo per citare le città più grandi, hanno difficoltà, e uso un eufemismo, anche solo a sviluppare il progetto tecnico. Per quanto concerne Inter e Milan c'è, addirittura, un problema nel ricercare la zona adatta nell'hinterland della metropoli.

Artemio Franchi era senese di nascita ma fiorentino d’adozione. Per questo gli sono stati dedi­cati due stadi, quello della città del Palio e quello della Fiorentina. Forse il più grande diri­gente calcistico italiano di sempre, protagonista di una carriera travolgente che lo portò prima alla presidenza della FIGC e poi, per un decennio, a quella della UEFA. Solo la sua morte, avvenuta nel 1983, gli impedì l’approdo al vertice della FIFA. Fu soprattutto merito suo se l’Italia venne scelta come sede del Mondiale del 1990. Ce ne fossero, di Artemio Franchi, nel cal­cio di oggi.

Attraversi l’Appennino ed ecco Bologna, la Bologna del grande Renato Dall’Ara. Non poteva che essere dedicata a lui la casa dei rossoblu. Fu presidente della so­cietà felsinea per trenta lunghi anni, dal 1934 al 1964, un periodo in cui l’Italia si accorse del valore di quello che all’epoca veniva definito "lo squadrone che tremar il mondo fa". Dall’Ara e la sua vera­cità, le sue leggendarie battute in dialetto emiliano, il suo ultimo capolavo­ro, quello Scudetto conquistato contro la Grande Inter in un torrido pomeriggio di giugno del 1964. Quello che il patron non poté festeggiare perché stroncato da un in­farto pochi giorni prima.
Lo stadio fu inti­tolato alla sua memoria solo nel 1984: non sarebbe stato meglio farlo prima?
Uomo di sport legato a doppio filo al Cesena Calcio fu anche Dino Manuzzi, il presidente dell’epico sesto posto in Serie A del 1976 e della promozione in Coppa UEFA, imprese che gli sono valse la dedica dello stadio cittadino. 
Breve, ma indimenticabile, la parabola umana e spor­tiva di Armando Picchi. Prima i successi euro-mondiali con l’Inter negli anni ‘60, formazione di cui era anche capitano, poi il passaggio alla Juventus, stavolta come allenatore. Sarebbe diventato un grande anche in panchina se il destino non l’avesse fermato troppo presto, a 35 anni. Lo stadio della sua città natale, Livorno, è intitolato alla sua memoria.
Emblema­tico è poi il caso dell’avvocato Ennio Tardini, presidente del Parma, che fu ideatore del progetto dello stadio che poi avrebbe preso il suo nome. 
Come non ricordare Marcantonio Bentegodi, benefatto­re veronese che fece sì che la quarta parte della sua ingente eredità fosse destinata al finanziamento delle discipline sportive. A lui è dedicato l’impianto che ospita l'Hellas, uno tra i più belli d’Italia.
Fu la guerra, invece, a portarsi via Luigi Ferra­ris e Carlo Castellani. Il primo, ingegnere e calciatore del Genoa all’inizio del ‘900, fu ucciso da una granata austriaca duran­te il primo conflitto mondiale. Il secondo, bomber dell’Empoli anni ‘20 e ‘30 e poi partigiano, venne deportato nel campo di concentramento di Mauthausen da dove non sarebbe più tornato. A Luigi Ferraris è dedicato lo stadio di Genoa e Sampdoria, mentre a Empoli una lapide commemorativa ricorda Carlo Ca­stellani nello stadio che porta il suo nome.

Era il 30 ottobre 1977 e a Perugia arrivava la Juventus di Zoff e Morini, di Bettega e Tardelli. Nuvole nere e minacciose annunciavano tristi presagi. E così fu.
Renato Curi, giovane idolo de­gli umbri, cadde a terra, all’improvviso. E non si alzò più. Oggi lo stadio del Pe­rugia porta il suo nome. Racconterà anni dopo Serse Cosmi, nella sua autobiografia: "Ancora oggi, quando mi capita di corre­re in quel punto del campo, su quell’erba dove è caduto Curi, sento un brivido: il brivido di quella domenica".
Non potevano mancare, inoltre, omaggi agli sfortunati eroi del Grande Torino. Lo stadio di Varese è dedicato a Franco Ossola, che dell’invincibile squadrone grana­ta era l’ala sinistra, mentre il "Mario Rigamonti" di Brescia e il "Romeo Menti" di Vicenza commemorano rispettivamente il centromediano e l’ala destra del Toro ca­duti a Superga.
Fu con la maglia del Novara che il grande attaccante Silvio Piola visse gli ultimi lampi di una straordinaria carriera che ebbe come fiore all’occhiello il titolo mondiale conquistato in Francia nel 1938. Oggi lo stadio della città piemontese porta il suo nome.

Ben prima che gli appassionati di motociclismo si esaltassero dinanzi ai capolavori di Valentino Rossi, un altro fuoriclasse delle due ruote aveva riscosso l’ammirazione di tutti gli sportivi italiani. Era Libero Liberati, centauro temano, che nel 1957 conquistò il titolo mondiale di motociclismo nella clas­se 500. Un’impresa che ha legato per sem­pre il suo nome alla casa della Ternana.
Lo stadio di Foggia, lo stesso che all’inizio degli anni ‘90 assistette alle prodezze dello squadrone di Zeman, è intitolato invece alla memoria di Pino Zaccheria, un famoso cestista pugliese che, durante la Seconda Guerra Mondiale, si arruolò come sottotenente e perì a Tirana nel 1941.
A Palermo, c’è da scommettere, an­che i seggiolini dello stadio "Renzo Bar­bera" conoscono bene il personaggio in questione. Presidente della società rosane­ro negli anni '70, probabilmente non fu il condottiero di un Palermo bril­lante come quello ammirato negli ultimi anni, tuttavia il suo ricordo rimane incancellabile nel cuore dei tifosi siciliani. Narra la leggenda che, più volte alle prese con un bilancio in deficit, Barbera abbia ipotecato alcune sue proprietà pur di pagare lo stipendio ai giocatori. Dopo la finale di Coppa Italia, persa contro il Bologna nel 1974 a causa di un rigore fasullo assegnato agli emiliani, il presidentissimo rosanero fu comunque il primo ad avvicinarsi al capitano del Bo­logna e a stringergli la mano. Personaggio dall’indubbia statura morale, Renzo Bar­bera scomparve nel 2002 a 82 anni.
Qual­che chilometro più in là ed ecco Reggio Calabria, la Reggina e lo stadio "Oreste Granillo", bolgia amaranto testimone dei grandi successi della squadra di casa ne­gli anni 2000. Così come Barbera, anche Granillo fu presidente amatissimo, artefice tra l’altro della prima storica promozione della Reggina in Serie B nel 1965. Gran­de uomo di sport, intraprese in seguito la carriera politica, venendo eletto sindaco.

È forse lo stadio italiano più famoso e ammirato al mondo e dunque non poteva che essere dedicato al più grande calcia­tore che l’Italia abbia avuto. Inaugurato nel 1926, lo stadio "San Siro" (chiamato così in onore di un Santo al quale era a sua volta dedicata una chiesetta nelle vicinanze) venne ufficialmente intitolato alla memoria dell’indimenticabile Giuseppe Meazza il 2 marzo 1980. Milanese doc, fu per anni colonna dell’Ambrosiana-Inter e della Nazionale. Celeberrima la doppietta mondiale 1934-1938 centrata con la ma­glia azzurra, che fece di lui un’autentica star a livello internazionale. Un genio assoluto nel monumento calcistico che oggi porta il suo nome.
Da Giuseppe Meazza a Nereo Rocco, il grande "Paròn" idolo del­la Milano rossonera. In pochi sanno che, prima di diventare allenatore di successo, Rocco era stato un implacabile centravan­ti che visse momenti di gloria con la sua Triestina. Inevitabile, dunque, che l’im­pianto che ospita la formazione alabarda­ta sia oggi intitolato proprio a lui.

Ma l’Italia degli stadi non è fatta solo di campioni, mecenati o presidenti illumina­ti. Ci sono anche figure che con lo sport hanno ben poco a che fare. Prendiamo il più caldo, il più scaramantico: lo stadio di Napoli "San Pa­olo", ribattezzato da poco, dopo la morte del Pibe de Oro, Diego Armando Maradona. Una dedica solenne, a quel San Paolo di Tarso che, secondo le Sacre Scritture, salpò a Pozzuoli per diffondere la parola di Dio nell’Impero Romano. Rimasto vittima delle persecuzioni contro i cristiani messe in atto da Nerone, fu però condannato e decapitato. Sacro e profano che scendono in campo anche a Bari, una meraviglia architettonica che porta il nome di "San Nicola", il patrono della cit­tà.

Era invece un leggendario aviatore Pierluigi Penzo, colui al quale oggi è intitolato il suggestivo stadio del Venezia. Oltre ad aver parteci­pato alla Grande Guerra, si distinse anche per aver prestato i primi soccorsi all’equipaggio del dirigibile ,"Italia" in se­guito alla sciagura del 1928. E fu proprio al ritorno da questa missione che egli trovò la morte inabissandosi nel Rodano con il suo idrovolante.
Se tutti sanno che l’Olimpico di Roma si chiama così per­ché destinato ad ospitare le Olimpiadi del 1960, c’è da scommettere che invece pochi conoscono il significato dello stadio "Euganeo" di Padova. Atlante alla mano ed ecco risolto il mistero: l'impianto sorge ai piedi dei Monti Euganei, un grup­po collinare che ospita tra l’altro numerose sorgenti termali.
Tutti impianti storici e tutti maledettamente vecchi, logori. Molti rischiano la chiusura, anche parziale, come quello di Firenze. Il nostro Tempio Viola.
"Siete mai entrati in uno stadio vuoto? Fate la prova. Fermatevi in mezzo al campo e ascoltate. Non c’è niente di meno vuoto di uno stadio vuoto. Non c’è niente di meno muto delle gra­dinate senza nessuno.
A Wembley risuona ancora il grido del Mondiale del 1966 che l’Inghilterra vinse, ma aguzzando le orecchie potete ascoltare ancora i gemiti che provengono dal 1953, quando gli ungheresi travolsero la nazionale inglese. Lo stadio del Centenario di Montevideo sospira di nostalgia per le glorie del calcio uruguagio. Il Maracanà continua a piangere per la sconfitta brasiliana nel Mondiale del 1950. Nella Bombonera di Buenos Aires trepidano tamburi di mezzo secolo fa. Dalle profondità dello stadio Azteca risuonano gli echi dei cantici cerimoniali dell’antico gioco messicano del­la pelota. Parla in catalano il cemento del Camp Nou e in Euskera conversano le gradinate del San Mamés. A Milano, il fantasma di Giuseppe Meazza infila gol che fanno vibrare lo stadio che porta il suo nome. La finale mondiale del 1974, che la Germania vinse, si gioca giorno dopo giorno, notte dopo notte nello stadio Olimpico di Monaco. Lo stadio del Re Fahd, in Arabia Saudita, ha palchi di marmo e oro e tribune ricoperte di tappeti, ma non possiede una memoria e non ha granché da dire". (Eduardo Galeano, scrittore uruguaiano).

Adesso purtroppo, gli stadi, seppur gremiti, rischiano di rimanere vuoti perché nella "zucca" di molti il sale dello "gnegnero" è venuto a mancare. Ammesso che...
Nessuno può avere una faccia per se stesso e un'altra per la folla, senza rischiare di non sapere più quale sia quella vera. I politicanti della politica sono tutti uguali. Promettono di costruire ponti anche quando non ci sono i fiumi. 
Del resto, solo il politico diventa uomo di stato quando inizia a pensare alle prossime generazioni invece che alle prossime elezioni.