Parafrasando una frase di un noto film del maestro Stanley Kubrick “in ogni juventino c’è un uomo che sogna di vincere la Champions”. Maledetta coppa! Luogo infausto per noi bianconeri, quasi mai baciati dalla dea fortuna lì dove l’elemento stocastico la fa da padrone. Troppe finali perse anche da favoritissimi; tante disavventure arbitrali, di modo che lo score nella massima competizione europea, purtroppo, è troppo basso per quella che è la nostra storia e la rilevanza internazionale del nostro club. Checché ne pensi la vulgata antijuventina, noi siamo stati il primo club al mondo a mettere in bacheca tutte le coppe esistenti, e siamo, in termini assoluti, il club che si è reso più di ogni altro indiscusso protagonista nelle vittorie della propria nazionale, grazie alla carovana di immensi giocatori bianconeri che hanno reso grande l’Italia ai mondiali. Per non parlare di come nel 2006, all’alba della più grande farsa della storia del calcio italiano, nella finale giocata tra Francia e Italia, da ambe due le parti militassero almeno undici giocatori che giocavano o avevano giocato a Torino. Giusto per ricordare cosa fosse quell’armata calcistica, epurata dal calcio italiano per permettere ai perdenti per antonomasia di dare senso ai soldoni buttati alle ortiche, in dieci anni di fallimenti, dal loro mecenate in smoking. Abito di ignominia, sporcato dalla relazione Palazzi del 2011 e dalla vergognosa prescrizione di cui la sua squadra beneficiò. Quest’anno – nonostante l’ennesima minirivoluzione – come non accadeva da tempo, almeno sulla carta siamo in piena corsa per arrivare fino in fondo nel massimo torneo continentale. Al di là della solita partenza al rallenty, diretta conseguenza della preparazione impostata dallo staff tecnico nonché dei tanti infortuni che hanno frenato la crescita collettiva, i nostri ragazzi possono ambire a giocarsi le fasi finali di quella che un tempo veniva chiamata la coppa dei campioni. Magari a gennaio servirebbe qualcosa a centrocampo al fine di dare maggiore qualità all’unico reparto non al livello dei grandissimi d’Europa, tuttavia già così siamo più che competitivi. Essere tornati a poterci permettere il fantomatico ristorante da “cento euro” è sicuramente un grande traguardo, sia sotto il profilo del blasone che dal punto di vista economico - finanziario. Ora però la società deve fare ogni sforzo per riconfermarsi con costanza a questi livelli perché l’asticella, probabilmente oltre le loro previsioni temporali originarie, si è definitivamente alzata. Ovviamente il problema, in questo momento storico post farsa, come ormai gran parte delle tematiche legate al calcio, è soprattutto di carattere economico. Invero, rimanendo in metafora, anche se al ristorante dell’élite possiamo sederci senza sfigurare, l’accesso al menu principale e alle pietanze più prelibate non ci è del tutto permesso. Pensare che esistono società calcistiche che possono permettersi, quasi ogni anno, campagne acquisti in perdita, ovvero non controbilanciate da uscite rilevanti, di duecento milioni di euro e passa, rende solo in parte la consistenza del problema. Se poi consideriamo che un torneo in particolare, ossia quello inglese, si sta avviando a diventare una sorta di NBA del calcio mondiale, allora capiamo ancora meglio che il nostro futuro passa inevitabilmente dalla crescita costante del fatturato e, a mio parere, dalla ricerca di partnership adeguate che aiutino la Exor ad aumentare consistentemente la potenza di fuoco sul mercato o per lo meno – e sarebbe già una grande cosa – il monte ingaggi. Già, perché, come recentemente ha ricordato Allegri, solo i grandi giocatori fanno vincere i trofei. Ed è ovvio che per poter mantenere in rosa le stelle occorre stipendiarle adeguandosi, ahinoi, ai prezzi che il mercato impone. È un circolo vizioso del quale, citando il grande Grucho, occorre diventare soci quanto prima: Per poter vincere occorrono i grandi giocatori e ancor più appare tautologico affermare che se non si continua a vincere, e soprattutto non si inizia a vincere a livello internazionale, cala drasticamente la possibilità di spendere il brand sui mercati emergenti e quindi la possibilità di sviluppare adeguatamente le nostre potenzialità commerciali, magari arrivando a stipulare contratti monstre come quello che recentemente ha concluso il Barca con una nota azienda giapponese. Non ci vuole una laurea in economia per capire che se i blaugrana possono contrattare a quelle cifre è perché, negli ultimi dieci anni, hanno vinto e continuano a vincere in Europa e nel mondo. [Oddio! Avrò usato diciotto volte il lemma “vincere” in due periodi: scusate, ma sono juventino!!] Se si vuole raggiungere un obiettivo di tale portata appare indispensabile, come dicevo, cercare di mantenere in rosa i grandi giocatori. Soprattutto quelli che siamo riusciti ad acquistare senza grandi spese per il cartellino. Con Pogba non è stato fatto, ma con Dybala non si può sbagliare. Ultimamente si fa un gran parlare della possibilità che la Juve cerchi di accaparrarsi il portierone milanista Donnarumma. A mio modesto parere, fare un grande investimento (si parla di cifre oltre i cinquanta milioni di euro) per il ruolo di portiere non sarebbe una grande idea. Infatti, pur avendo avuto in squadra per vent’anni il più forte di tutti i tempi, tal Gianluigi Buffon, mi sembra, ad onor del vero, che non abbiamo in bacheca più coppe del Real. In altri termini, per quanto forte sia, un grande portiere non ti fa vincere i trofei importanti. Al contrario, un grande attaccante si. Lo so che il ragionamento può apparire semplicistico, e che le obiezioni sono tante. Nondimeno, lo dico molto chiaramente, sono profondamente convinto che se avessi a disposizione un budget di 50 milioni, lo spenderei per assicurarmi le prestazioni sportive di Paulo Dybala per cinque anni piuttosto che investirlo nell’acquisto di un portiere che, almeno potenzialmente (è tutto da vedere quale sarà la carriera del ragazzo nonostante i buoni auspici e la stampa a favore), potrebbe mettermi a posto la porta per altri venti anni. Concludo, riallacciandomi al filo portante del discorso. Non è necessario spendere duecento milioni l’anno per rimanere grandi (è facile fare i grandi allenatori quando si ha a disposizione un budget illimitato, ma la bellezza del calcio è che i soldi non bastano per vincere….il mediocre saltimbanco di Setubal è già stato stanato….aspetto al guado Pep Cariola), basterebbe iniziare a tenere i giocatori di alto livello che già abbiamo in rosa. Che senso ha continuare a scoprire nuovi talenti per poi cederli al migliore offerente nel momento in cui diventano dei veri campioni? Una strategia di questo tipo, a lungo termine non è vincente. E la finissero una buona volta col giochino del “ il ragazzo non lo cediamo fino a quando non ci chiedere di essere ceduto”. Quale fesso rifiuterebbe uno stipendio doppio rispetto a quello che il suo attuale datore di lavoro può offrirgli.