Il calcio italiano è morto martedì scorso e sepolto di giovedì, crocifisso da sbruffoni che si atteggiano a tuttologi ed innovatori, profeti in patria di una mentalità retrograda e conservatrice.
E non è risorto tre giorni dopo, perché lo scudetto non convince nemmeno i fedelissimi juventini, figuriamoci chi professa ben altro credo calcistico. Non c’è solo la Juve è vero, ma per forza e struttura era la squadra che più di tutte doveva provarci. Tuttavia, Allegri non è il solo responsabile della disfatta italiana nelle coppe, perché ha comunque meno colpe di chi lo conferma, ogni anno, nonostante i suoi limiti. Ma possiamo tranquillamente sostenere che il tecnico bianconero raffigura, al momento, la massima espressione di un calcio fallito. Al di là dei LEG7ND o dei W8NDERFUL, l’astinenza dai titoli europei ci ha retrocesso a calcio da terzo mondo. Chi vuol assistere allo spettacolo può andare al circo, o accontentarsi di vedere l’Ajax sculacciare la Juventus.
Eppure il bel gioco non ha mai ammazzato nessuno, e poi aiuta anche a vincere. Al contrario, il gioco di Allegri annoia alla morte, e favorisce i rimpianti. Se giochi 50 partite sotto ritmo e ti accontenti di gestire il minimo vantaggio non puoi, d’un tratto, sperare che la squadra ti giochi al calcio per 90 minuti con grande intensità e qualità. Al massimo gira per una mezz’oretta. E pochi minuti non bastano per piegare avversari abituati a lottare su ogni pallone fino agli spogliatoi. Certo, è sufficiente per avere la meglio sulla concorrenza italiana, perché favoriti da un rapporto di forza che vede i bianconeri almeno due volte più competitivi degli avversari. Di conseguenza non è difficile, anzi è piuttosto facile sfruttare la potenza, e talvolta la prepotenza, per celebrare l’ennesimo scudetto vinto con poco e nella pochezza delle inseguitrici. E ci scuserà Allegri se non ci esaltiamo per la sua ennesima performance. Perché vincere con CR7 in campo, e Dybala Bernardeschi o Cancelo in panchina, sa tanto di normale amministrazione.
E se Allegri snobba, o addirittura insulta, chi celebra un calcio diverso dal suo, io rispondo che la sua mediocrità sta affossando non solo la Juve, ma tutto il calcio italiano. E sono sicuro che non mi porteranno via con la camicia di forza. Il suo calcio - diversamente giocato - ha impoverito una rosa che, per potenzialità, poteva contare già su un paio di gioie europee. Una mentalità che non regala emozioni nemmeno ai suoi stessi tifosi, dove un derby, o una partita contro gli odiati rivali, è una gara come altre e vale 3 punti. Una fissazione per il fraseggio lento e scolastico che, associato alla solidità difensiva, è l’unica strada che conosce per portare alla vittoria, di titoli nazionali s’intende. Una convinzione che l’1 a 0, e no la “manita”, rappresentino il compimento della partita perfetta. Si esalta per la fisicità di Mandzukic e si indigna per il colpo di tacco di Kean, predilige i muscoli a scapito della qualità. E svilisce il patrimonio tecnico della Juve, assicurando longevità a chi è considerato da tempo scarto del calcio che conta. Eppure, questa Juve può vincere tranquillamente il campionato anche schiantando gli avversari, con autentiche goleade, e divertendo tifosi e appassionati. Ne avrebbero giovato anche quei giocatori che, per qualità tecniche, risentono di un gioco col freno a mano.
Intanto Agnelli riparte da Allegri, in barba a tutte le critiche. Anche quelle piovute dai media esteri che si aspettavano, evidentemente, ben altra Juve con un CR7 in più. Ma il presidente no, a lui va bene così. Infondo, da aristocratico, dei pensieri della gente o dei suoi tifosi, della passione che nutrono e dell’esigenze che hanno se ne fotte, letteralmente. E i motivi sono sostanzialmente due: o è piuttosto confuso, oppure vuole riproporre in Europa lo stesso rapporto di forza che lo vede primeggiare nel deserto in Italia. E quindi è pronto a nuovi - pesanti - sforzi sul mercato. Un terzo motivo potrebbe essere quello di aspettare, con pazienza, che la legge dei grandi numeri premi il calcio pietoso di Allegri, magari abbinato ad una bella dose di fortuna.
Ogni tanto è capitato anche in Champions, ancorché con una frequenza tale da poter parlare di eccezione al calcio giocato. Il punto è che, chi continua a vincere in Italia, seppur senza convincere, rappresenta comunque un modello vincente.
Ed ecco che le milanesi (soprattutto), le romane e il Napoli sono piuttosto spiazzate dall’egemonia bianconera.

L’Inter, dopo aver cannato l’ennesimo progetto di rilancio, è la società che più di tutte vuol ripercorrere i passi della dirigenza bianconera per tornare competitiva: parla di un nuovo stadio, ha puntato sui giocatori della Juve, ha ingaggiato Marotta, sta investendo su parametri zero, forti in campo e determinanti anche come uomini spogliatoio (da sempre il tallone d’Achille dei nerazzurri) e, da giugno, si affiderà alla cura Conte. Una strategia che potrebbe portare anche allo scudetto nel breve, in fondo al tecnico salentino è già successo di trionfare con la Juve al cospetto di un Milan favorito, quello di Allegri appunto. Ma che non porterà a nulla di nuovo in termini di crescita nel panorama europeo.
Il Milan, dal canto suo, non può vantare grosse disponibilità, vincolato com’è ad un regime di FFP orbo, che prende di mira solo ed esclusivamente le società italiane. Piuttosto vuole proporre un progetto sostenibile basato sul vivaio e su prospetti di qualità (nemmeno poi tanto economici). Tuttavia, si affida a Gattuso per vanificare la crescita del gruppo. In estate, vedremo se il Milan riuscirà ad investire anche su un tecnico capace di valorizzare la rosa. Mi piacerebbe vedere Sarri in rossonero, a patto che non si chieda la gloria immediata.
La Roma non fa meglio con Ranieri in panchina. Soprattutto se, durante le sessioni di mercato, ad ogni campione che vende, non propone mai una mezza certezza per rinforzare la squadra, ma solo scommesse utili, eventualmente, alle plusvalenze future. Chissà che non punti davvero sul Gasp, sarebbe ossigeno per calcio italiano.
Il Napoli, non potendo investire sui top player, ha voluto ingaggiare il CR7 degli allenatori, ma solo per dar respiro ad una rosa non sfruttata a pieno da Maurizio Sarri. Perché dare visibilità a quei giocatori che hanno avuto poco spazio, significa accrescere il patrimonio azzurro, e sfruttare la vetrina per ricavarne qualche milioncino, da sempre priorità assoluta del presidente partenopeo. Eppure, ora, si capisce perché l’ex tecnico del Napoli puntava su una rosa ristretta di giocatori. In ogni caso, a Napoli hanno capito che Sarri era il progetto che andava preservato e rilanciato. De Laurentiis ha sbagliato, ma come Agnelli, dei tifosi se ne fotte. Anche se, di aristocratico, il buon Aurelio ha ben poco. E ancora meno raffinatezza ha Lotito, che da tempo ha fanculizzato la tifoseria biancoceleste, e rivendica la forza economica di respingere gli assalti di chi “pretende” i suoi giocatori, anche a costo di perderci economicamente. Intanto, non fa crescere la Lazio di un centimetro. Né come società che come progetto. Eppure, in un contesto povero di calcio e ricco di chiacchiere, fa eccezione l’Atalanta di Gasperini. Un modello, questo sì, da prendere ad esempio. Credo che ogni tifoso che si rispetti, che vanti posizioni “terze” rispetto alla lotta Champions, tifi per i bergamaschi. Il resto delle squadre di A, invece, vivacchiano alla giornata, agendo perlopiù da sparring per le grandi, dalle quali si lasciano gonfiare di botte e nei bilanci, nell’attesa che ricambino con qualche plusvalenza. Più che altro sopravvivono e fanno un campionato a parte, e la loro imparzialità dura fin dove cominciano gli interessi di un’altra grande, agguerrite fra di loro solo per i punti che garantiscono un posto al sole. Altrimenti sta bene, di tanto in tanto, anche un salto in B con il paracadute dorato. E noi pazzi che ancora cerchiamo di esaltarci per un calcio gestito da questi signori, professori in tutto e maestri di niente.

Tuttavia il calcio è uno sport, ed intorno alle logiche di spettacolo ed ai valori ad esso associati che ha sviluppato passione e business in tutto il mondo. Avessimo conosciuto solo il calcio sparagnino - e piuttosto intrallazzato - che si pratica in Italia, oggi guarderemmo tutti un altro sport. Potrei perfino azzardare una soluzione per risolvere una parte dei problemi del calcio italiano, e senza nessun timore di invadere il campo da perfetto profano. In fondo, se fino a poco tempo fa il presidente della FIGC era un certo Tavecchio, sostenuto dalla maggioranza assoluta delle leghe, o se la Sig. Capotondi può occuparsi di calcio, non vedo perché il sottoscritto non possa azzardare una soluzione potabile.

Di conseguenza, riformulerei l’assegnazione dei punteggi nelle classifiche generali, prevedendo 0 punti in caso di sconfitta o di pareggio a reti inviolate; 1 punto per i pareggi con gol; 2 punti per le vittorie di misura (con un gol di scarto) e 3 punti per le vittorie con 2 o più gol di scarto. Una soluzione che salvaguardi lo spettacolo, che poi non sarebbe nemmeno il primo sport che si evolve per garantire una certa bellezza estetica, al passo con le mutevoli esigenze connesse con la passione dei tifosi e le logiche di business.
Ma soprattutto, benché non risolva gli inciuci di palazzo, con un vezzo tutto nostrano, almeno restituisce a chi ama questo sport il divertimento di assistere ad una partita di calcio, e magari aiuta il movimento italiano a tornare competitivo per misurarsi con chi, da tempo, ha investito nel calcio giocato come sacralità di questo meraviglioso sport.