Settembre 1968, fra meno di un mese inizierà la scuola, ma anche per l'Italia e non solo inizierà un periodo epocale, una rivoluzione di tutto il sistema sociale, a partire dagli studenti delle superiori, dalle università per poi proseguire nelle stagioni successive  con gli scioperi di massa dei lavoratori in tutti i settori, scoppiò la lotta tra sindacati ed aziende a rivendicare salari più adeguati al costo della vita e all'inizio di quella che fu la lotta per la parità di diritti  tra uomo e  donna: la fine di quegli anni 60 fu caratterizzata da questo costante leitmotiv con dietro, a far da sfondo, la colonna sonora unica dei brani cantati dai mitici Beatles.

Iniziai nella mia vita a lavorare nel mese di dicembre in un'azienda del settore elettronico a Pomezia, nella zona industriale a sud della capitale.  Dopo una sola settimana di lavoro la fabbrica fu occupata e i cancelli d'ingresso presidiati da loschi figuri che coadiuvati dagli scioperanti impedivano l'ingresso ai lavoratori dissenzienti allo sciopero etichettandoli, per coloro che riuscivano a superare le loro barriere, con l'appellattivo accompagnato da un coro con battimani urlante la parola "crumiri!!!" (ricordo delle pellicole dei nostri film neorealistici). Io che ero lì da pochi giorni venni sbarrato al cancello da una sorta di manganello minaccioso proteso da un energumeno ad ostruirmi il passaggio e così mi apostrofò il "bravo": "...Allora, che vuoi fare!?!... Ma io veramente sono in prova da sette giorni.... e...e... e chi se ne frega!!!... Ma che per caso sei fascista??... No, no, ma vuoi scherzare... Ma allora sei comunista??... Neppure!!" (forse da allora divenni rossonero!). 
Alla fine dopo lunghi conciliaboli assieme ad altri pochi nuovi colleghi riuscii crumiramente ad entrare superando quella imbarazzante gogna e riportando solo qualche danno alle maniche del cappotto scucite dalla ripetuta violenza delle strattonature ricevute.

Ma questo accadeva due mesi dopo quel fine settimana di settembre in cui mio padre venne invitato con tutta la sua famiglia da un nostro giovane cugino a passare un weekend nella la sua casa a Milano.
Angiolino era stato assunto un anno prima presso la sede milanese della stessa agenzia di stampa ove operava da vent'anni mio padre a Roma.   Angiolino è figlio di una famiglia di contadini della Val di Chiana, il suo papà è cugino di mio padre che lo vide solo al battesimo, per rivederlo dopo vent'anni quando su indicazione di alcuni amici paesani gli segnalarono che Angiolino stava facendo il militare alla Cecchignola a Roma frequentando un corso dell'Esercito Italiano da telescriventista. 
Come mio padre seppe la notizia lo invitò a visitare il suo ufficio e appena entrato Angiolino riconobbe subito le telescriventi Olivetti identiche a quella ove si esercitava facendo il corso alla caserma della Cecchignola. Mio padre gli domandò che cosa avesse fatto nella vita prima della ferma di leva (a quei tempi 18 mesi) e lui rispose che fin dall'età di 15 anni, per aiutare i modesti introiti in famiglia, lavorava come aiutante barman, o meglio come venditore di bibite e panini alla stazione ferroviaria di Cortona. 
Il titolare del bar lo aveva ingaggiato, data la sua elevata altezza come i giocatori di basket, per poche centinaia di lire al giorno; Angiolino percorreva in su e in giù da mattina a sera le pensiline della tratta Roma-Firenze, ove i treni che a quei tempi avevano negli scompartimenti i finestrini abbassabili, e lui che con il suo cabaret a tracolla vendeva ai viaggiatori caffè, panini, bibite e quant'altro, poi, il treno sostava solo 2/3 minuti, di corsa correva parallelamente al vagone con la mano protesa a prendere o dare il resto; erano più le volte che ci rimetteva in questo giochino perchè a fine giornata gli incassi non corrispondevano quasi mai al venduto, in compenso a scuola il professore di ginnastica aveva intravisto in lui le doti da sprinter di un nuovo Berruti! 
Mio padre nel sentire questa storia di vita ebbe, da sentimentale qual era, un benevolo pensiero rivolto al futuro lavorativo di Angiolino, avrebbe messo una buona parola sulla sua assunzione quale telescriventista nell'agenzia di stampa, a patto che conquistasse, al termine della naja, quell'attestato rilasciato dall'Esercito con il massimo punteggio previsto, Angiolino annuì col capo ed abbracciò felicemente mio padre. 
I mesi rimanenti del servizio militare passarono in fretta, la prova che Angiolino sostenne quale idoneità (velocità di scrittura alla tastiera) nell'ufficio di papà fu superata, un postino recapitò 3 mesi dopo in una casetta tra i campi della Val di Chiana una raccomandata contenente la lettera di assunzione presso l'Agenzia Stampa di Milano. Il papà di Angiolino stappò varie bottiglie del miglior Chianti di annata ed invitò tutti i paesani a far festa a casa sua. L'evento fu talmente eccezionale che il parroco fece suonare le campane a festa!!

Io e papà scegliemmo il secondo weekend del mese di settembre per andare a casa di Angiolino. Domenica 8 settembre 1968 si sarebbe corso il Gran premio di Formula 1 a Monza e la stessa sera a San Siro il Milan avrebbe affrontato la Ternana nel primo turno di Coppa Italia, il programma era semplicemente delizioso, lo comunicammo ad Angiolino che ci confermò che avrebbe provveduto al procacciamento dei biglietti sia per Monza che per San Siro.   
Partimmo il sabato mattina da Roma con la Simca 1000 di papà e percorremmo tutta l'autostrada del Sole fermandoci a pranzare all'autogrill di Roncobilaccio, verso le 16 arrivammo in Piazzale Loreto dove ci attendeva Angiolino, il nostro Cicerone per quel weekend, che ci fece visitare il centro di Milano, il Duomo, il Castello Sforzesco e poi dopo un buon gelato andammo a casa di Angiolino, una doccia, una buona cena e tutti a nanna, l'indomani ci avrebbe atteso una lunga giornata di sport!

Dopo un'abbondante colazione ci mettemmo per la strada pronti ad affrontare il traffico per arrivare a Monza, e di fatto ne trovammo parecchio, man mano che ci avvicinavamo all'autodromo i rombi assordanti e sempre più crescenti coprivano il nostro conversare e quando entrammo mio padre, prudentemente, si tappò le orecchie con dell'ovatta. I nostri posti erano in tribuna di fronte al rettifilo di arrivo: lo spettacolo di colori, di folla, di macchine ai box ed il tifo, lo sbandieramento continuo con con tanto rosso Ferrari costituivano uno spettacolo degno dei migliori derby e sicuramente emozionante come evento senza dubbio unico nel suo genere, molto ma molto diverso da quello piatto, monotono, in bianco e nero che a quei tempi ci proponeva la Rai con la telecronaca di Poltronieri. 
La gara fu bella, avvincente, ricca di colpi di scena, John Surtees su Honda aveva la pole position mentre Jacky Ickx, pilota belga 23nne su Ferrari, il beniamino della folla, arrivò solo terzo, vinse il Gran Premio Denny Holme su Mc Laren partito in settima posizione. Alla fine un bagno di folla, un pomeriggio indimenticabile. 
Seguì la fila del rientro con le nostre orecchie ancora intontite rientrammo al tramonto a Milano, una passeggiata per Corso Buenos Aires fino a Porta Venezia e poi Angelino ci porta al piazzale antistante lo stadio di San Siro, a quei tempi senza torri né anelli, ma per me che lo vedevo per la prima volta mi fece un'impressione simile a quella del turista sulla soglia di San Pietro! 
San Siro da sempre il tempio del calcio italiano! Mi sentivo piccolo, quasi imbarazzato quando Angiolino mi diede il biglietto d'ingresso e mi lasciò dicendomi che sarebbe tornato a prendermi verso le 23 alla fine della partita, lui con i miei genitori sarebbero andati al cinema, mi lascio con un "Forza Milan!" (detto da un tifoso viola!!).

Il mio posto era sotto la postazione riservata agli addetti stampa e nonostante l'incontro con la Ternana non fosse di grande appeal, lo stadio risultava pieno per una buona metà e quando entrarono le squadre ebbi un sussulto, come una scossa mi transitò lungo tutto il corpo, quando vidi i due capitani Gianni Rivera e Romano Marinai scambiarsi i gagliardetti, che emozione, e poi tutta la squadra rossonera reduce del fresco, nono scudetto e della vittoria in Coppa delle Coppe sull'Amburgo con doppietta di Hamrin ed i nostri Anquilletti, Lodetti, Rosato, Rivera e Prati che si laurearono soltanto tre mesi prima campioni europei con la nazionale di Ferruccio Valcareggi al campionato tra nazioni svoltosi a Roma.
Il colpo d'occhio dalla tribuna di San Siro è spettacolare, sotto di me la panchina con Nereo rocco seduto, mi sembrava di toccare con mano il suo Borsalino da quanto era vicino. 
Seguì una bella partita, il Milan la vinse con due gol nel primo tempo frutto di un rigore calciato da Rivera al 17' e una bella azione di Sormani al 31'.
Il secondo tempo fu soltanto per il Milan un allenamento in vista del prossimo campionato, dopo aver conquistato il precedente battendo un record: il Milan fu la miglior difesa di sempre, con solo 12 goal incassati e in quell'anno non subimmo né calciammo rigori.
Il record di reti subite verrà migliorato dal Cagliari di Gigi Riva con la difesa di Albertosi e Cera che dopo lo scudetto della stagione 68/69 lo stabilì nel campionato successivo. 
In quella stagione 68/69 fu la Fiorentina di picchio De Sisti ad aggiudicarsi il suo secondo scudetto, dietro a quattro punti si classificarono Cagliari e Milan.
Nell'uscire festosamente dallo stadio parlavo con un ragazzo milanese che era andato con un pullman di tifosi rossoneri la sera del 23 maggio di quell'anno al Santiago Bernabeu di Madrid dove vide la nostra squadra conquistare la Coppa delle Coppe  (l'attuale E.L.) ai danni dell'Ajax del mitico Johan Cruijff autore della vittoria fu Kurt Hamrin.
Ma al di là della bellissima prestazione rossonera fui impressionato dalle fantastiche movenze di gioco realizzate da quel giocatore: aveva la maglia n° 14 e quel ragazzo mi narrò, mentre scendevamo le scale, la storiella legata a quel numero. Sembra che un suo compagno di squadra, un certo Gerrie Muhren, smarrì la sua maglia prima di un incontro ed essendo un centrocampista, ma schierato allora come centravanti, chiese in prestito la N° 9 a Cruijff, che a sua volta ripiegò sulla libera, anonima N° 14, che l'accompagnerà lungo tutta la sua carriera divenendo così, quel numero 14, un mito legato ad una leggenda del calcio che da olandese fece il giro di tutta l'Europa.


C'è un gran vociferare della carta stampata sul nome del prossimo acquisto del Milan nel mercato di gennaio, chiunque esso sia Top Player o meno (ma per favore basta a flop) dovrà essere moralmente e fisicamente trainante della squadra, è quindi giusto pensare ad un giocatore di forte esperienza e personalità, mai come questo anno ricordo un Milan così in basso in classifica, vorremmo tornare ad essere una squadra, quella abituata a vivere sull'attico e non in uno scantinato dove umidità e muffe ci provocano fastidiosi malesseri, le cure per eliminarli risultano inefficaci nonostante le costose terapie cui, tramite un fondo pseudo-bancario di oltreoceano siamo sottoposti da più di una stagione, e dunque confidiamo ciecamente in questo "vate" tutte le nostre speranze di sopravvivenza (in serie A) in attesa di tempi migliori.  Ma vorrei esprimere un mio piccolo e quasi sussurrato consiglio al futuro candidato quale "Mosè" dello spartiacque rossonere (Sere A o B?) che consisterebbe nell'indossare la maglia N° 14, se non altro, magari solo con la nostra mente sogneremmo alla grande!


Il custode sta chiudendo il cancello del cimitero, è ormai buio, all'esterno ci sono poggiate decine di corone e tanti mazzi di fiori, quando arriva una 600 blu, ne esce un signore molto alto, è Angiolino, mi riconosce, mi abbraccia, non dice nulla, ci iniziamo a commuovere e mentre io cerco un fazzoletto Angiolino apre il cofano anteriore e torna a me con un giglio bianco in mano. Mi chiede dove è sepolto Renato, il custode comprende e riapre il cancello e indico poco più avanti, dove le tracce fresche di terra ricoprono papà; Angiolino s'inginocchia, prega, regna un silenzio glaciale, ma si volta verso di me con la mano all'orecchio: "....Massimo ma tu non senti?... Cosa!?!.... Ma avverto come un lontano ticchettio.... Forse Angiolino, Renato sta rispondendo alle tue preghiere!!...".   
Piangemmo entrambi, abbracciati come bimbi, ci salutammo.

         Quel giorno Angiolino aveva trascorso la sua prima giornata lavorativa a Firenze, aveva ottenuto il trasferimento, ora era più vicino alla casa dei suoi genitori in Val di Chiana. Nel salutarmi si scusava ancora per non essere potuto arrivare prima ed assistere alle Sante esequie, ma nel suo primo giorno di lavoro non gli avrebbero concesso un permesso per assistere alle esequie di un lontano parente. 
Papà Renato non fu mai lontano per nessuno!   
Erano trascorsi 14 anni dal giorno in cui conobbe mio padre.

 


Con affetto.

Massimo 48