C’è un espressione idiomatica anglosassone che rappresenta bene la situazione attuale dell’Inter:

                                  “C’è un elefante in cucina”.

Questa frase vuole esprimere l’esistenza di un gigantesco problema che tutti vedono, ma che ciascuno finge di ignorare come se non esistesse. Cara Inter nella tua cucina c’è un enorme pachiderma che finora l’unico ad aver avuto il coraggio di segnalare è stato Antonio Conte.

L’elefante nella cucina dell’Inter di cui nessuno vuole prendere atto è costituito da una palese e ormai manifesta debolezza economica della società, non perché il denaro manchi, considerato che il gruppo Suning ha un fatturato di tutto rispetto, ma perché evidentemente non si vuole spendere.

Basta osservare la realtà delle cose per rendersene conto dal momento che l’Inter non compra nessun giocatore se prima non ha monetizzato cedendone un altro; così l’estate scorsa a fronte delle uscite di Icardi, Perisic, Nainggolan e Joao Mario si sono registrati gli acquisti di Lukaku, Barella, Sensi, Godin, Sanchez e Lazaro. In questa permuta di giocatori ci sono forti dubbi la squadra si sia realmente rinforzata: l’unico che è stato degnamente sostituito è stato Icardi con Lukaku, mentre dal punto di vista dello spessore tecnico è tutt’altro che certo che ci sia stato un salto di qualità. Lazaro e Godin si sono rivelati due flop, Sensi bravo tecnicamente ma ha denunciato qualche fragilità fisica mentre il solo Barella non può fare il gregario che recupera palloni e poi avere la lucidità necessaria per fare giocate di qualità eccelsa.

In definitiva non è certo che dal punto di vista del livello tecnico l’Inter di Conte sia superiore a quella di Spalletti. Ma la stessa dinamica fondato sulle permute che ha orientato il mercato estivo si sta ripetendo in questa sessione di mercato invernale 2020: per ingaggiare eventualmente Eriksen, un giocatore a fine carriera come Young e forse l’abbastanza sconosciuto Moses, l’Inter è più o meno costretta a cedere Politano, Lazaro, e presumibilmente Vecino tra l’altro senza nulla risolvere riguardo il numero ridotto dei rincalzi che resterebbe drammaticamente insufficiente.

Dunque l’esperienza dimostra che l’Inter può assicurarsi l’apporto di nuovi giocatori solo cedendone un numero corrispondente, chiaro indice di limitate risorse economiche come lo stesso Conte, nel suo ormai celebre discorso sui “soldini” che non ci sono, ha ammesso. Tale impressione di impotenza economica è rafforzata peraltro dalla tempistica delle trattative condotte da Marotta. L’A.D., già spontaneamente prudente nel concludere gli affari, deve barcamenarsi in trattative lunghissime, estenuanti mercanteggiamenti, arzigogolate formule contrattuali al fine di risparmiare pochi milioni prima di chiudere faticosissimi ingaggi.

Per allestire una grande squadra ci sono tre strade: o i campioni si allevano in casa nei settori giovanili (modello Ajax) o si ingaggiano giovani promettenti ancora sconosciuti grazie a una estesa e competente rete di scouting (modello Chelsea) o si ingaggiano campioni conclamati (modello Juve).

La quarta via, quella di permutare giocatori con altri giocatori più o meno dello stesso livello tecnico (modello Inter) per ricostruirsi ad alti livelli non funziona. Non solo non funziona, ma è anche pericoloso perché se non si vince nulla per più anni i migliori giocatori, come Lautaro o Skriniar nell’Inter, convolano verso altri lidi.

Infine una riflessione che potrebbe essere anche una conclusione: non è un caso che le squadre che hanno vinto di più negli ultimi anni in Italia e quelle col trend di crescita più evidente sono state Juventus, Lazio e Atalanta, tutte con proprietà italiane e le due che hanno maggiormente deluso sono Inter e Milan entrambe con proprietà straniere. Non può essere un caso.