A volte le bufere sono pericolose, perché se vengono coadiuvate da un tifone allora sono in grado di portarsi qualsiasi cosa hanno davanti la loro strada. Basta che nell’aria ci sia un’elevata umidità e instabilità per innescare tutto quanto. A Trigoria, però, fattori che possono causare una tempesta senza precedenti sono all’ordine del giorno e, soprattutto, da tanti giorni. Ogni volta che arriva un nuovo allenatore sembra esser sempre la volta buona, ma poi ecco che all’interno dell’organismo societario qualcosa non funziona come dovrebbe, qualche ingranaggio va nella direzione sbagliata e qualcun altro si inceppa proprio, fermando il motore della squadra. Ma in un totale mare magnum di instabilità al suo interno, una certezza c’è e la Roma lo sa. È lì davanti, è il numero nove della squadra, è il bomber altruista e finalizzatore, è il Cigno di Sarajevo: è Edin Dzeko.

Il Dzeko passato
Il Dzeko di ieri lo abbiamo conosciuto tutti, ancor di più i tifosi giallorossi. Alla prima stagione è stato accolto come se fosse il nuovo Batistuta, il nuovo imperatore che potesse far ricredere alla piazza di poter sognare in grande, di poter aprire gli occhi e leggere la parola tricolore, quello che mancava da 14 anni e che oggi arriva a 19. E l’inizio faceva ben sperare con quella sua straripante doppietta in amichevole contro il Siviglia, inaugurata con il primo gol spaccando la porta del portiere avversario. E poi con la vittoria contro la Juventus in campionato, con quel gol di testa sotto la Sud che aveva fatto esplodere di gioia i tifosi, già ammaliati dalle gesta del centravanti bosniaco.
Poi, però, il buio più totale. Faticava nel trovare gli spazi giusti per infilarsi alle spalle dei difensori, sempre molto attenti negli anticipi; non riusciva ad essere incisivo sotto l’area di rigore, con tiri troppo poco angolati e mal calibrati o indirizzati sul corpo del portiere; troppo nervosismo – ad una giornata gli è costata un’espulsione per aver mandato a quel paese l’arbitro - probabilmente acutizzato dalla sua involuzione del Dzeko che tutti avevano visto e apprezzato al Manchester City; le sponde che non arrivavano mai e troppo macchinoso nel girarsi e far ripartire l’azione in contropiede; il rapporto infranto con i tifosi, che a Fiumicino si erano trovati un calciatore d’oro e che adesso vedevano giocare un giocatore fatto di ottone, tant’è che gli è valso l’appellativo di Edin “Cieko”. Insomma, una bella illusione ottica alla luce del sole. Ma i più attenti sapevano che quello non era il vero Dzeko; sapevano che il vero bomber sarebbe rinato nel suo secondo anno e anche le statistiche erano a favore di questa tesi: sia al Wolfsburg che al City, il secondo anno è stato sempre quello della verità, quello in cui il calciatore avrebbe fatto ricredere la piazza, ogni piazza. E di fatto le statistiche gli avrebbero dato ragione.

Il Dzeko presente
Bisogna dare pazienza alle cose e non buttarsi subito a capofitto. A volte si può sfociare nell’incoerenza – nel calcio se non segni diventi automaticamente un bidone mentre se la butti alle spalle del portiere diventi il calciatore più forte del mondo – giudicando solo dall’apparenza. Per Edin bisognava solo aspettare perché nella stagione successiva avrebbe fatto rimangiare tutte le critiche ricevute dalla tifoseria – avversa o propria – a suon di gol. Con Luciano Spalletti diventa il miglior marcatore nella storia della Roma. Sembrerà paradossale un evento del genere, specie se nella stagione precedente è stato così deludente. Eppure, nell’annata 2016-2017, il buon Edin tocca i 39 gol stagionali, quadruplicando quelli della stagione precedente; scavalcando Totti che nel 2006-2007 tocca i 32 gol vincendo la scarpa d’oro; diventa il miglior centravanti del campionato con 29 reti e, infine, spartisce il trono con Giuliano (a quel tempo giocava nello Zenit) per il miglior marcatore dell’Europa League con 8 centri. Ma non piace elencare le statistiche ufficiali, quelle è possibile trovarle altrove. Quello che voglio dirvi è che dal secondo anno, Dzeko, ha cambiato completamente pelle. Si è trasformato, lasciando tutto quello che doveva lasciare all’anno precedente. Gli occorreva solo qualche lancetta di orologio in più; un orologio diverso, che al posto dei minuti aveva i giorni e che al posto delle ore aveva i mesi, ma pur sempre fondamentale per diventare uno dei giocatori più forti della Roma. Si, perché il Cigno di Sarajevo non ha mai voluto fermarsi e, oggi, è fermo a 104 gol, scalando sempre di più la classifica per il miglior realizzatore nella storia della Roma. Oggi si trova in quarta posizione ed è a soli quattro gol dallo storico Amedeo Amadei; l’obiettivo è raggiungere Pruzzo a 138, per poi arrendersi, perché davanti c’è un certo Francesco Totti a quota 307 e quello puoi buttarlo giù solo falsando i dati.

L’Edin di oggi è quello che ti dà il plus alla squadra. Perché giocatori come lui è difficile trovarli. Non solo in Italia, ma nel mondo. È il classico attaccante completo che ha tutto e che non gli manca nulla. Certo, ci saranno attaccanti che segneranno molto di più, i cosiddetti “rapaci d’area”, ma molti di loro non sono completi. Per completezza intendo qualsiasi peculiarità: forte di testa, che segni di sinistro, di destro, al volo, di piatto, a giro, di controbalzo; non solo, ma che sia efficace nelle ripartenze, facendo da sponda alle ali se è un 4-3-3; servendo di testa per liberare l’uomo; fare assist e non essere egoisti e non troppo golosi del gol; tornare anche in fase difensiva se serve. La ciliegina sulla torta c’è stata quest’anno, eletto capitano della Roma dopo la partenza di Florenzi. Purtroppo in uno dei momenti più opachi della Roma americana (non che siano stati così splendenti) ma un capitano, un vero leader, si riconosce anche in periodi come questi. Come ieri, che per un attimo è stato inquadrato Dzeko che spiegava a Ibañez quali fossero i movimenti giusti per far ripartire l’azione. A lui, ma come a tanti altri. E lo ha spiegato con un fare paterno, parlando uno ad uno, quasi se fosse un allenatore in campo. Un gesto semplice e appagante allo stesso tempo. Fonseca ha detto, qualche giorno fa, che la Roma non è “Dzekodipendente”, ma in fondo anche lui sa che non è così: la Roma dipende da Dzeko e trovare qualcuno che un domani dovrà sostituirlo sarà una bella gatta da pelare.

Il Dzeko futuro
Individuare un possibile sostituto o comunque qualcuno che possa prendere le sue redini, beh, non è affatto facile. Voglio tirarmi fuori da qualsiasi voce di mercato che circola e do quello che è un mio punto di vista.
Scegliere un dopo-Dzeko è complicato per una serie di motivi 
un budget economico contenuto che la Roma deve tener conto: diciamo che è un po’ un azzardo fare una previsione economica della società per quando Dzeko appenderà gli scarpini al chiodo o, semplicemente (ma più difficile), deciderà di cambiare squadra, ma tutti saranno unanimi nel credere che di certo non si potrà fare chissà quale investimento. Si parla di un periodo ipotetico che va dai due massimo quattro anni e non credo che la Roma sia in grado di aprire i rubinetti dei portafogli con troppa facilità, almeno che non vinca un paio di Champions, ma visti i risultati diventa complicato anche pensare di arrivarci.
- Il nodo campionato: non è mai facile quando un giocatore atterra a Fiumicino e si appresta a sventolare la sciarpa con scritto “Forza Roma”, perché non si è ancora reso conto di quanto sia complicata la tifoseria giallorossa. L’ambiente non è di quelli più attendisti e pazienti, ma è da riconoscere l’amore che riversano per coloro che per quella maglia sudano veramente. Fatta questa premessa, non è sicuramente facile fare una pesca di beneficienza all’estero e prendere un calciatore, magari il futuro centravanti e schiaffarlo nell’undici titolare, specie alle sue spalle aleggerà il fantasma di Edin. Bisogna guardare in casa propria – lanciare un giovane primavera - oppure nel proprio campionato. Questo non perché sia nazionalista nei confronti della Serie A, ma semplicemente perché un attaccante di Serie A saprà già com’è il calcio qui; conoscerà più o meno i difensori che incontrerà; insomma, renderebbe la vita più facile al mister X e alla tifoseria.
- Deve essere un leader: già, questa è una delle cose che più conta a mio modo di vedere. Bisogna avere la testa quando si gioca e quando non si gioca, dentro o fuori al campo. Un leader che sappia guidare la squadra o che, perlomeno, sappia influenzare positivamente i giovani e con quelli meno responsabili che hanno bisogno di una guida. Già, tutto questo non è altro che un endorsement per dire che deve essere maturo, di età e di testa. Insomma, un’età che oscilla tra i 25 e i 30 anni.
- Altruista: dulcis in fundo, un attaccante non egoista. È vero che un bomber si riconosce da quante volte buca il portiere, ma è pur vero che il calcio è un gioco di squadra e ci si deve dare una mano a vicenda. È necessario quell’attaccante che si focalizzi sul bene della squadra, che anche se attraversa un digiuno di cinque partite, abbia comunque contribuito a fare assist, creare occasioni da gol, giocato bene per la squadra. Questo serve. Non un calciatore che tiene il muso dopo aver vinto 5-0 solo perché non ha segnato.

Insomma, tra una fantasticheria e l’altra, un ottimo identikit l’ho trovato su lui, Arkadiusz Milik. Un classe ’94 e sotto l’occhio di tante squadre. È in scadenza tra un anno; all’attivo conta 10 gol in questa stagione, non tanti, ma sicuramente in linea con i 10,22 xG prodotti. Ricordo che non ha sempre giocato titolare; 1429 minuti e una marcatura che arriva ogni 143 [fonte Understat]. Possiede una precisione di tiro intorno al 44,1% (un dato alto rispetto alla “punta media”); infine, è un ottimo passatore con quasi il 90% dei passaggi riusciti effettuati nella propria metà campo e quasi 80% in quella avversa, perdendo in un’ora e mezza di gioco il 7,8% di possessi [fonte Soccerment]. Valutazione intorno ai 40/50 milioni di euro.
Un pensierino ce lo farei. Dopo Szczesny, sarebbe un ottimo polacco alla corte giallorossa.