Ero un ragazzino, uno dei tanti in quegli anni, di quelli che vivevano con il pallone sempre tra le gambe. Di quelli che, quando non erano a scuola o casa impegnati con i compiti, prendeva quel pallone e filava dritto in stradina a giocare con gli altri, che fosse estate autunno inverno o primavera non importava, si stava fuori.
Il gioco era sempre quello, uno a turno si metteva in porta, che era delimitata dai pilastri di un cancello di una casa e gli altri a sfidarsi a dribbling e tiri. Eravamo tutti qualcun altro, c'è chi era Paolo Rossi chi Bruno Conti chi Marco Tardelli o Spillo Altobelli, ognuno di noi tifava una squadra diversa, eppure non ricordo che ci odiassimo per questo motivo, anzi...
Poi arrivò Salvatore, napoletano di Napoli, uno dei primi nel nostro paesetto veneto ad arrivare da così distante, lui era ovviamente Maradona. Diventammo subito amici, lui abitava nei palazzi nuovi, quelli con i portici sotto così anche quando pioveva si giocava lo stesso. Non c'era Sky o Mediaset Premium e nemmeno le applicazioni sui cellulari, e nemmeno i cellulari, le partite si seguivano con la radiolina e si esultava ai gol di questa o l'altra squadra. Poi alle diciotto si correva a vedere novantesimo minuto di Paolo Valenti o alle venti c'era dribbling di De Laurentiis.
Eravamo tutti grandi amici, non ci si odiava perché tifavamo squadre diverse, era bello. Guardavamo le poche partite che facevano in tv e se c'era una squadra che giocava una delle coppe la si tifava tutti insieme indipendentemente che fosse la tua o no. Si seguiva la Nazionale e non importava a nessuno chi era convocato o no o se chi segnava un gol o faceva un errore di che squadra era, perché era la nazionale ed era di tutti.
Non ricordo nemmeno che i nostri genitori ci parlassero di soldi, contratti o se un giocatore era un mercenario. Ricordo che si seguiva e si apprezzava comunque chi vinceva e i grandi campioni indipendentemente di quale squadra erano.
Non esistevano neppure i social dove scatenare le proprie frustrazioni o subire insulti solo perché tifosi di una squadra.

Ora quando vado al campetto a vedere i ragazzini non riesco proprio a rivedere quell'atmosfera, quella magia, quella semplicità del passato, quell'amore verso questo gioco, ma vedo ragazzini già incazzati col mondo che insultano o prendono in giro compagni o avversari con genitori compiacenti che li assecondano. Ragazzini che parlano di "rubare", di soldi e di processi.

Il calcio, quello vero, credo non esista più, togliere la spensieratezza e l'innocenza ai bambini è stato un grande errore, saranno adulti che sapranno amare e rispettare questo gioco.
Bisognerebbe portare a scuola un po' di cultura sportiva in generale, non solo per il calcio, ma di qualsiasi sport, dove i ragazzi capiscano l'importanza della convivenza del rispetto e dell'amore verso uno sport in tutti i sensi.