Già questo fine settimana, se ci dovesse essere una combinazione di risultati favorevoli, il PSG vincerà la Ligue 1.

Ad ogni modo, il titolo è in tasca e, a dirla tutta, non c’è mai stata nessuna concreta chance che il titolo potesse prendere una direzione diversa da Parigi.

La squadra francese è divenuta un simbolo del calcio moderno, fatto di spese folli e di scelte poco romantiche. Proprio in riferimento a quest’ultimo aspetto, ho sentito la necessità di spendere qualche riga per un allenatore quasi dimenticato, che è stato, suo malgrado, protagonista in negativo di una delle più grandi ingiustizie (sportive, sia ben chiaro) mai perpetrate in ambito calcistico a questi livelli.

Antoine Kombouaré divise gran parte della sua carriera tra Nantes e proprio la squadra della Capitale, con la quale fece parte di un mini-ciclo vincente a metà degli anni ’90, contribuendo al secondo trionfo della storia del club.

Da calciatore fu valido ma non fenomenale, da allenatore iniziò con le riserve proprio del PSG, per poi iniziare la carriera vera e propria con lo Strasburgo e soprattutto con il Valenciennes: in quattro anni ottenne la promozione nella massima divisione francese e tre salvezze consecutive in Ligue 1.

Ciò valse la nuova chiamata dalla Senna, stavolta per guidare i grandi.

La stagione 2009/10 vinse la Coppa di Francia, mentre l’anno successivo chiuse quarto in campionato.

Nell’estate 2011 la grande svolta: l’arrivo dei Qatarioti, che subito si presentarono con un mercato pesante, attingendo soprattutto dalla nostra Serie A. Un nome su tutti: Pastore, strappato alla corte di Zamparini per oltre 40 milioni di euro.

Finalmente, Antoine ha la grande occasione: una squadra forte, temibile, che doveva cominciare innanzitutto a prendersi il Paese, per poi andare alla conquista dell’Europa.

E lui, dignitosamente, stava svolgendo il suo percorso: nei primi mesi la squadra è al comando del campionato, fino a dicembre.

Eppure, c’è qualcosa che sembra non andare. Sembra impossibile: la vetta della classifica non dovrebbe creare problemi di nessun genere.

Ed invece un problema, tipico del calcio degli ultimi anni, sorge: viene chiamato “attrattività del brand”.

Sì, perché la squadra di una delle città più importanti d’Europa necessita di un profilo in panchina che sia spendibile a livello internazionale, che abbia un curriculum vincente e provata tenuta ad alti livelli.

Quindi, nello sconcerto generale, la panchina ha un nuovo proprietario: Carlo Ancelotti, re di Coppe, che toppa clamorosamente un campionato che andava difeso, cedendo il passo all'annata storica del Montpellier.

Si rifarà l’anno dopo e lo stesso PSG proseguirà nella collezione di svariati trofei in patria, ma senza quel salto europeo che tutti si sarebbero attesi.

Non sappiamo come sarebbe andata a finire senza quell’avvicendamento in panchina. Nulla ci assicura che il campionato sarebbe finito nelle mani di Kombouaré, ma fa specie pensare che un tecnico che è stato ex calciatore di questa squadra per molti anni, che ha fatto la gavetta e che finalmente aveva l’occasione della vita, si trovi senza più il timone di quella squadra che è diventata cannibale in Francia e che molti hanno dimenticato che iniziò la sua ricchissima storia recente proprio con lui in sella.

Ricordo quando venne riportata una sua dichiarazione in cui asseriva che era come se gli avessero rubato un sogno.

Mi sentii ferito anche io da amante del calcio, stizzito per quella decisione ingiusta.

Attualmente allena il Digione, posizionata all’ultimo posto del torneo e quasi destinata alla retrocessione nella seconda divisione transalpina.

Ma per me Kombouaré rimarrà il simbolo di un calcio che non c’è più, di un calcio che avrebbe dovuto dare una possibilità a chi per anni ha lavorato sodo per arrivare a cimentarsi con i top.

E non gli è stato concesso non per i risultati, ma per altre motivazioni che saranno in questo periodo storico anche giustificabili, ma che all’epoca apparvero come esagerate.

E, per chi è romantico come il sottoscritto, apparirebbero esagerate tuttora.