L’anno che stiamo vivendo sta assumendo i contorni dell’incubo.
Ultimamente abbiamo affrontato spesso situazioni devastanti per alcune zone del globo e non starei a stilare una classifica delle sofferenze. Non è mia intenzione giudicare le sensazioni del singolo o stabilire quale dilemma possa provocare a un Popolo maggior afflizione. Una cosa è certa. Era da parecchi decenni che un dramma così prorompente ed effettivamente concretizzatosi non colpiva l’intero mondo. La pandemia da covid-19 è di tutti. Grazie allo scampato pericolo della Guerra Fredda, che aveva letteralmente terrorizzato l’uomo senza mai esplodere in un conflitto globale, occorre probabilmente tornare alla Seconda Guerra Mondiale per rivivere, anche se in maniera completamente diversa, la tragedia attuale. Questo fattore provoca un’atroce conseguenza: sono davvero poche le persone che hanno già provato sensazioni simili a quelle dei nostri giorni. La novità non può che complicare una vicenda assolutamente tremenda.
E’ inutile negarlo: si brancola nel buio e non esiste una condizione peggiore del navigare a vista. L’incertezza più assoluta è uno stato mentale insopportabile per l’essere umano che si trova spaesato. Sovviene alla mente la lanterninosofia, geniale teoria che Pirandello esprime nel Fu Mattia Pascal. L’uomo vaga nell’oscurità con piccoli barlumi di sicurezza forniti dalla luce della “lampada” che tiene tra le mani. Questo rappresenta quel poco che si può conoscere nel mondo e non esiste periodo più adatto per ripristinare il capolavoro del siciliano. Oggi la realtà ci consegna tale conto salato. Si mostra nuda e cruda, ma non lascia trapelare la sua essenza. Così non percepiamo il punto debole e non sappiamo come colpirla. Ogni tanto la Natura pare aver bisogno di ricordare alla nostra specie i suoi limiti e, per farlo, non può che cercare di soggiogarla. Nonostante l’emergenza coronavirus sia notevolmente migliorata, le Istituzioni continuano a ricordare come occorra mantenere comportamenti attenti e precisi. In effetti, il mondo sta ricominciando giustamente a vivere dopo il funesto periodo di chiusure e, per prevenire una seconda ondata, è necessario essere ligi. Il Paese non può permettersi di ricadere nel pieno del problema altrimenti rischierebbe seriamente un collasso definitivo. Richiudere le attività risulterebbe inevitabilmente deleterio per l’economia e lasciarle aperte lo sarebbe per la sanità. Questi interessi si scontrerebbero conducendo il sistema alla morte. E’ il momento più delicato. Occorre affrontarlo con lungimiranza sia da parte della gente che di chi è chiamato a decidere. Ogni scelta dev’essere volta alla preparazione di un possibile nuovo dramma da contenere al meglio senza andare a intaccare nuovamente le libertà degli individui.

Come si collega il calcio a tutto questo? Il pallone è assolutamente parte della realtà. E’ una sua componente e ogni figura di un sistema è inscindibilmente unita alle altre. La pandemia ha perfettamente mostrato come questo sport non viva in una bolla isolata. Tutte le conseguenze che l’emergenza ha palesato sono ricadute completamente anche su tale disciplina. Urge comprenderle e valutarle per progredire. Non mi permetterei mai di sostenere che si debba procedere verso un miglioramento. Ho sempre affermato la soggettività dei valori e certo non ho intenzione di giudicarli. Dichiaro solo che si avanza verso il cambiamento. I 100 giorni di lockdown calcistico sono vivi nella mente di tutti. La ferita è aperta e ancora brucia. Il pallone e la politica hanno compreso la loro reciproca importanza e potrebbero pure aver rivalutato un rapporto che non aveva rivelato, prima di quei terribili momenti, la necessità di una revisione.

Non basta. Questo incredibile 2020 non si stanca di lanciare messaggi. Il concetto che ho sostenuto relativamente al rapporto tra la Natura e la società pare sempre più manifesto anche nell’ambiente sportivo. Non appena il coronavirus ha leggermente allentato il suo terribile morso, questo settore è stato funestato da altri drammi inaspettati.
L’esempio più emblematico è quello di Alex Zanardi. Il bolognese è una figura quasi “mitologica”. E’ unanimemente considerato un grande uomo. E’ la rappresentazione vivifica del coraggio, della tenacia, ma soprattutto dell’amore per la vita. Un campione dell’automobilismo che, nello svolgere la sua professione, subisce un incidente talmente grave da provocargli l’amputazione di entrambe le gambe e, nonostante ciò, si rialza mostrando costantemente il suo attaccamento alla realtà, non può che divenire una guida per gli altri. Persino il Papa ha scritto una lettera all’emiliano nuovamente colpito dal dramma. E’ così. Purtroppo, “l’Universo” ha ancora espresso il suo potere e spiace constatare come si accanisca sempre su chi non ha minime colpe.
Credo che esista un disegno. La sofferenza di Alessandro non è vana. Serve a tutti per comprendere i limiti della nostra specie e saperci accettare così come siamo: perfetti nell’imperfezione. Zanardi, ahimè, non è un caso isolato. In questi giorni mi è capitato frequentemente di cercare notizie sul telefonino e incappare troppo spesso in drammi di giovani calciatori. Penso alla 21enne Arianna Varone che è volata via a causa di una tragica fatalità. Durante il mese di maggio, abbiamo pianto la scomparsa di Andrea Rinaldi. Il ragazzo aveva da poco raggiunto la maggiore età. Una sorte così triste è capitata pure a Jorge Sanchez, 17enne del Las Palmas. A tutto questo si devono sommare le scomparse di Mario Corso e Pierino Prati, grandi giocatori del passato di Inter e Milan. Lo ammetto. Non ricordo tanti strazianti eventi in un breve lasso temporale e nessuno di questi atleti ha sofferto il SarsCov2. Sono fatti assolutamente significativi che provocano più di una riflessione.
E’ necessario che limitiamo la nostra fame di potere e accettiamo ciò che la realtà dona ogni giorno senza cercare di soggiogarla indirizzandola a piacimento perché nessuno è in grado. Lo deve comprendere anche il calcio che, lentamente, potrebbe assumere un contorno meno invasivo soprattutto a livello economico e “d’immagine”. Il giocatore e chi vive questo ambiente non è un semidio. Non dispone di poteri fisici o morali superiori al resto dell’umanità e dev’essere considerato alla pari degli altri. Un’ottica simile è necessaria anche capovolgendo completamente la visuale. Troppo sovente tali persone vengono tacciate negativamente a prescindere senza neanche avere l’opportunità di conoscerle. Si rende necessario vivere un profondo rapporto con l’altro prima di poterlo giudicare. Il pallone non è l’unico settore che può apprendere simili “concetti”. Lo ribadisco perché, nell’emergenza attuale, è stato spesso considerato quasi un capro espiatorio, ma non ho intenzione di allargarmi in quanto desidero restare sul tema legato a questo gioco.

Il 2020, però, ha deciso di mostrare anche il suo lato migliore. Non ha portato soltanto sofferenze e desolazioni che comunque devono essere vissute come messaggi. E’ necessario comprenderle, accettarle e pure recepirle onde evitare che siano vane. Il Premio Nobel Hermann Hesse affermava: “I dolori, le delusioni e la malinconia non sono fatti per renderci scontenti e toglierci valore e dignità, ma per maturarci”. La realtà ci ha regalato pure piacevoli novità. L’emergenza covid-19 non è completamente terminata e occorre restare costantemente vigili, ma l’uomo è potuto tornare a un genere diverso di vita normale. Dispiace veramente tanto per quelle attività che ancora non hanno potuto riprendere dopo il lockdown e che ormai rappresentano una minoranza. Urge muoversi assolutamente nell’ottica di riaprirle, ma intanto le persone hanno recuperato un’esistenza degna di essere chiamata con quel nome e non è certo poco.
Avevo promesso di concentrarmi sul calcio e lo faccio. Il pallone, tra tante difficoltà, ha ripreso a rotolare sui campi di molti Paesi. In altri, invece, si è deciso di chiudere la stagione in anticipo. In Francia, ad esempio, si conosce già una data per il riavvio del campionato 2020-2021. Si tratta del 22 agosto. Non è poco perché il dramma è non avere una prospettiva. Quando si dispone di un’idea non vaga del domani, si vive certamente meglio. Si dovrebbe riuscire, poi, a portare a termine anche le competizioni europee ed è fantastico perché pure questo significa salvare ingenti quantità di denaro con molteplici posti di lavoro e famiglie. Ciò, naturalmente, provoca il passaggio in secondo piano dello spettacolo che dovrebbe regalare un’estate di calcio naturalmente attaccata a una prossima annata in un lungo lasso temporale a “tutto pallone”. Non è finita qui. Questo sport ci ha già donato importanti emozioni che forse non ci aspettavamo. Diciamo pure che si è “ripartiti con il botto”. Basti pensare alla Coppa Italia vinta dal Napoli. La squadra azzurra ha meritatamente trionfato in una competizione che non conquistava dal 2014. Si tratta di una gustosa novità, di un’alternanza al potere che non può che risultare positiva per il pallone italiano. Dopo 4 anni di egemonia juventina, la Lazio e i partenopei sono riusciti a interrompere un flusso che rischiava di assomigliare a una routine gradita soltanto ai tifosi della Vecchia Signora. L’alternanza provoca trepidazione. Lo stesso si può dire per il Liverpool che ha trionfato in Premier dopo 30 anni. Che gioia per i Reds! La squadra di Klopp ha avviato un ciclo davvero incredibile e, nonostante la prematura eliminazione dall’attuale Champions, credo sia la compagine più forte del mondo. Un anno fa è salita sul tetto d’Europa e ora stravince in quello che potrebbe rappresentare, al momento, il campionato più difficile del globo. Veramente tanta roba. Il tecnico tedesco e la sua squadra hanno saputo disegnare un capolavoro. Nel 2016, gli inglesi iniziavano a disporre i mattoncini per le magnifiche performance del futuro. E’ stata una crescita esponenziale e devastante che ha trasformato i britannici in una sorta di caterpillar.

Si passa, poi, al calciomercato. Lo scambio tra Juve e Barcellona che condurrebbe Pjanic in Catalogna e Arthur all’ombra della Mole pare ormai cosa fatta. E’ un’operazione che durante il lockdown aveva assunto tutta l’apparenza della telenovela e che ha trovato esito positivo. “Questo matrimonio non s’ha da fare, né domani, né mai” sussurrava un bravo nell’orecchio di Don Abbondio. Così scriveva Manzoni nel suo capolavoro, I Promessi Sposi. Pareva che l’ordine valesse pure per bianconeri e blaugrana ma, come nel caso di Renzo e Lucia, si è trovato il modo di portare a compimento una situazione divenuta necessaria per tutti. Sono francamente molto incuriosito di ammirare il giovane carioca nel nostro calcio così come provo lo stesso sentimento per Miralem e i meccanismi “barcelonisti”. Credo che il giocatore potrebbe davvero immedesimarsi perfettamente all’interno di quel sistema. Mi auguro, poi, di poter osservare Hakimi con la maglia dell’Inter. Il ragazzo, classe 1998, è un esterno fantastico. Di proprietà del Real Madrid ha vissuto il prestito al Dorrtmund con cui, in questa stagione, ha segnato 9 gol e regalato ben 10 assist. Numeri da capogiro che arricchirebbero la serie A. Lo stesso obiettivo potrebbe essere raggiunto tramite l’arrivo di Pedro a Roma. Che emozione! Quante novità! Quanta vita!

Il 2020 potrebbe essere riassunto dalla figura del Pipita Higuain. L’argentino era volato in Patria all’inizio del lockdown nella sofferenza più totale per lo stato di salute della madre. Si dice che abbia poi patito parecchio anche l’emergenza legata al covid-19. Lo avrebbe spaventato in maniera molto importante. Gonzalo è un uomo dotato di una sensibilità immensa ed è assolutamente credibile che l’afflizione di questi mesi lo segni nel profondo. Ha faticato, ma è riuscito a rientrare in Italia. Ha “combattuto” con le emozioni e pure con un infortunio. Lentamente ha recuperato la forza di rientrare in campo e pure di segnare. Ora il suo obiettivo è quello di riprendersi il ruolo da grande attaccante che vantava fino a 4 mesi fa. Il mio augurio è che possa riuscirvi. Mi piacerebbe che la sua storia fosse la rappresentazione di questo terribile anno.
Dalle tenebre, alla luce
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