Nel nostro precedente articolo abbiamo esposto i compiti riservati agli organi di controllo e disciplinari dell’UEFA in materia di fair play finanziario; questa premessa ci consente ora di entrare nello specifico deferimento subito dall’AC Milan nella giornata di ieri.

Per poter comprendere i motivi del rifiuto UEFA di accordare all’AC Milan il settlement agreement, si deve necessariamente ritornare con la memoria all’iter seguito da Fassone per sanare le pendenze del club rispetto ai contenuti normativi del fair play finanziario.

Anche se, come ricordato dal dirigente rossonero, la proprietà del club sia passata di mano da circa un anno, non si può negare il coinvolgimento della nuova proprietà nella negativa gestione, che nell’ultimo triennio ha conseguito crescenti perdite d’esercizio.

Ciò ha costretto Fassone a presentarsi all’UEFA e proporre il cosiddetto “voluntary agreement” una sorta di autodenuncia, volta a concordare un percorso di risanamento del bilancio ed evitare conseguenti e penalizzanti provvedimenti restrittivi.

La formale proposta rappresentata dal club e compendiata da idonea documentazione tra cui il business plan su base pluriennale, ossia un bilancio previsionale relativo ai successivi esercizi, volti a dimostrare il progressivo ripianamento dei debiti, fino al raggiungimento del pareggio di bilancio.

Quali siano i contenuti della proposta del club non è dato conoscere, ma possiamo rifarci a vari interventi di Fassone, per citare alcune aree di presunta crescita dei ricavi, quali quelli derivanti dalla Champions League, dalle sponsorizzazioni, dal mercato cinese.

In particolare in data 13 giugno 2017 gli organi di stampa riportavano quanto segue: 

“I ricavi totali del club dovrebbero salire dai 206,3 milioni della stagione 2015/2016 e 196,2 milioni della stagione 2016/2017 ai 273 milioni di fine 2018, per balzare a 426,2 milioni a fine 2019, a 447,5 milioni nel 2020, a 486,1 milioni nel 2021 per concludere a 524 milioni nella stagione 2021/2022: più che raddoppiando quindi il fatturato rispetto all’attuale. Il vero volano sarà la crescita del mercato cinese, dove è in costituzione la newco Milan China. Già nella prossima stagione ci dovrebbero essere, secondo il business plan, circa 90 milioni di euro in più.”

Esaminati gli elementi la UEFA ha respinto la richiesta di “voluntary agreement” concedendo un rinvio al club per revisionare il business plan e quindi presentarsi  all’esame del CFCB per valutare la concessione del settlement agreement.

Come detto ieri la UEFA ha negato tale concessione motivando come segue:

“La camera di investigazione dell’Organo di Controllo Finanziario per Club UEFA (CFCB) ha deciso di rinviare l’AC Milan alla camera giudicante del CFCB per la violazione delle norme del fair play finanziario, in particolare per la violazione della regola del pareggio di bilancio (break-even rule).

Dopo un attento esame di tutta la documentazione e delle spiegazioni fornite dalla società, la camera di investigazione ritiene che le circostanze del caso non consentano la conclusione di un settlement agreement.

Nello specifico, la camera di investigazione è del parere che permangano ancora incertezze sul rifinanziamento del prestito e sul rimborso delle obbligazioni da effettuare entro ottobre 2018.

La camera giudicante prenderà una decisione in merito a tempo debito.”

Si è volutamente riportato quasi interamente  il comunicato UEFA, perché esso rappresenta con chiarezza quale siano le manchevolezze considerate di ostacolo all’accoglimento, consentendoci così di smontare facilmente le più fantasiose motivazioni riportate dai media.

La prima parte del dispositivo fa riferimento alla violazione delle regole di pareggio di bilancio che rappresenta la condizione prima per contestare la violazione del financial fair play.

Il capitolo successivo è importante perché lascia intendere come -nonostante gli aggiustamenti e le integrazioni- le previsioni di risanamento del bilancio del club non siano risultate attendibili da parte del CFCB UEFA.

Come si può non concordare con l’UEFA? L’intero impianto del business plan che prevedeva la crescita esponenziale dei ricavi fin dall’esercizio corrente è saltato completamente: il Milan non ha centrato la qualificazione alla Champions, dalla Cina non è giunto neppure un euro di ricavi, addirittura un nuovo sponsor come la Puma è subentrata a Adidas a cifre iniziali largamente inferiori. Solo i ricavi da Stadio risultano in crescita, ma nel bilancio rappresentano ancora importi poco significativi.

La parte finale del comunicato però è quella che consente al club di nutrire buone speranze di uscire a testa alta dalla vicenda, perché rappresenta il salvagente a cui aggrapparsi.  L’UEFA infatti sottolinea il mancato rifinanziamento del debito e le incertezze sulla capacità di rimborso del Prestito obbligazionario, debiti entrambi scadenti a ottobre 2018.

Chiariamo subito che il debito da rifinanziare assomma a 377 min, come indicato nel bilancio provvisorio al 31/12/2017 (ndr. ricordiamo che l’AC Milan ha spostato la durata dell’esercizio al 30/6/2018, uniformandosi alle altre SpA calcistiche, la cui attività si estrinseca in un arco temporale che va dal 1/7 al 30/6).

Tale debito che è interamente a carico del fondo Elliot, risulta comprensivo di 54 min di obbligazioni di cui 39 min scadenza 15/10/2018 e 15 min con scadenza al 30/6/2019, prorogata con apposita assemblea degli azionisti del maggio 2017.

Sostanzialmente la UEFA si è chiesta - in assenza del rifinanziamento -  con quali entrate il club, i cui ricavi sono addirittura inferiori al debito, possa fronteggiare la scadenza.

Si obietterà che tale debito è verso Elliot che con apposita lettera presentata da Fassone all’UEFA, si è detta pronta a sostenere economicamente il club.

Qui è bene chiarire che Elliot al momento non è un socio azionista dell’AC Milan; Elliot è un creditore, peraltro a quanto risulta pignoratizio, risultando il credito garantito dalle azioni del club. 

Ci chiediamo quindi quale valore si possa dare a una generica dichiarazione di “aiuto” economico, da parte di un creditore che avrebbe tutto l’interesse a rendere il club insolvente per acquisirne il diretto controllo, a fronte di un investimento pari a circa un terzo di quello sostenuto dall’attuale proprietà.

Se veramente Elliot fosse ben disposto e collaborativo nei confronti della proprietà cinese, non avrebbe essa stessa proposto il rifinanziamento del proprio capitale, eliminando a monte ogni contestazione?

Giusto quindi che il CFCB abbia respinto la richiesta di “patteggiamento” (tale in effetti è il settlement agreement) e deferito il club per la mancata osservanza del far play finanziario.

Dicevamo peraltro come lo specifico riferimento del comunicato al mancato rifinanziamento e al rimborso del prestito obbligazionario, possa in definitiva rivelarsi l’utile salvagente cui il Milan potrà aggrapparsi.

Intanto è bene ricordare come l’organo giudiziario chiamato a decidere sulla questione e comminare le sanzioni, convocherà i dirigenti rossoneri e ne ascolterà le deduzioni che i legali del club stanno già preparando; ricordiamo che questo organo che fa parte del CFCB già in passato è intervenuto e sanzionato altri club.

Le sanzioni irrorate non si discostano molto da quelle che comunque potevano derivare al club dal settlement agreement: multe, limitazioni al mercato, esclusione dalle coppe patrocinate da UEFA. Ma in tutti i casi esaminati, in parte o in toto, la sanzione è stata subordinata alla mancata regolarizzazione di quanto contestato.

Ciò significa che- ove il Milan rifinanziasse il debito e rimborsasse la obbligazione entro i termine di scadenza, ovviamente assumendosi le inevitabili limitazioni gestionali per il conseguimento del pareggio di bilancio - le sanzioni potrebbero essere immediatamente sospese.

E se infine il club si vedesse assediato da provvedimenti eccessivamente restrittivi ci sarebbe ancora un ultima possibilità di ricorso: il TAS di Losanna.

Il Milan potrà ancora sperare di uscire da questa situazione senza troppi danni.