Vi ricordate di Tutto il calcio, minuto per minuto, la trasmissione radiofonica più seguita d’Italia?
Dando per scontato che la risposta sia un “sì”, sicuramente vi ricorderete anche delle vostre (a quel tempo) adorabili mogliettine o fidanzate, che, lungi dal farlo apposta, per carità, proprio in occasione del derby (per chi viveva in una città dove c’era il derby), o di una delle partite “di cartello”, per il dopopranzo amavano programmare, con sorelle e relative famiglie, la gita al santuario del vattelappesca, perché “con delle belle giornate così, stare in casa sarebbe davvero un peccato!”.
In vostro soccorso accorreva la solita radiolina, vostra o di qualche altro compagno di sventura, anche lui precettato con i consueti metodi psico coercitivi: “perché una giornata di sole così, sprecata a casa, per seguire alla radio una gara con (questo è un classico) 22 uomini in mutande... ridicoli, che inseguono una palla che rotola... sarebbe un crimine”.
E a nulla serviva protestare, facendo presente che lo si faceva (di seguire le partite per radio) anche, se non soprattutto, perché era in ballo il futuro benessere della famiglia, visto che c’era in gioco l’immancabile sistemone, messo su con approccio scientifico e abbondante utilizzo di spremitura di meningi da parte di tutto il gruppo degli amici della ricevitoria.
Un’eventuale, più che probabile, vincita avrebbe determinato una svolta al destino di tutti noi! Ma niente, non c’era verso che capissero l’importanza di quei 90 minuti né economicamente né, cosa per noi nient’affatto di secondaria importanza, sportivamente. Perché non di solo pane vivrà l’uomo!

Tornando alle partite, curioso era un fenomeno che avevo constatato nel corso degli anni, e cioè che utilizzare, per seguire in modo discreto le partite, una radiolina piccola era molto più ben tollerato di una radio grossa, con le antenne a baffo, per capirci. Peggio del peggio se allungabili!
Una radiolina con cuffiette era solitamente accettata, in quanto vista come un giusto equipaggiamento tecnico di cui dotare l’auto. Una radiolina piccola, nel caso di cataclismi, alluvioni, terremoti, maremoti, slavine, frane, valanghe, aperture di voragini, trombe d’aria improvvise e quant’altro, avrebbe potuto costituire strumento che avrebbe potuto salvare la vita all’intera comitiva!
Il problema era che radioline così piccole funzionavano benino eventualmente anche in auto, ma con macchina rigorosamente ferma e, meglio ancora, spenta! In auto in movimento, le radioline avevano grossi problemi. La qualità del segnale calava drasticamente.
A quel punto, però, entrava in gioco lo spirito di solidarietà, perché se un’azione non era stato possibile seguirla in un dato istante perché si era in movimento, o con orientamento dell’antenna non favorevole, magari la radiolina di uno dei vostri compagni di sventura, in quel momento, si trovava in posizione e condizioni di ricezione più favorevoli. Nasceva così il tam tam solidale, per cui, a finestrini abbassati (anche se le temperature non erano magari ancora estive), sorpassandosi ci si aggiornava al volo, magari sull’esito di un calcio d’angolo, di una punizione, e via così, con buona pace del rispetto delle norme, anche le più elementari sulla sicurezza alla guida.
Diverso era il discorso in caso di rigore. In quel caso non c’era protesta da parte dei passeggeri che tenesse, l’auto veniva fermata, dovunque si trovasse in quel momento, fosse pure nel bel mezzo di una curva cieca, perché ovviamente ognuno confidava nel fatto che, a parte pochi “crumiri” delle gite, la maggior parte delle auto si trovassero anch’esse ferme, in trepida attesa che il calcio di rigore venisse battuto.
Come dicevamo, una radiolina, per essere tollerata doveva essere piccola, praticamente invisibile, altrimenti sarebbe stata per tutto il pomeriggio considerata non soltanto per quello che era: uno strumento tecnologico atto a ricevere informazioni, nella fattispecie (ma non per forza) di tipo sportivo / calcistico, bensì come un modo plateale di protestare, un voler costantemente ricordare che con prepotenza e con uso intimidatorio di minacce di passare poi la serata a casa dei suoceri, era stato negato il diritto, che ogni uomo dovrebbe avere, di seguire in tempo reale le vicende calcistiche domenicali.
Ma andando nello specifico dei radiocronisti, che si rubavano la scena vicendevolmente, in una danza di eventi entusiasmante, non faticherete certo a ricordarvi di Sandro Ciotti, che con la sua voce, ottenuta depositando, pazientemente, giorno dopo giorno strati sottili di bitume, misto torba, che andavano a sedimentarsi, in un processo che somigliava molto a quello che in milioni di anni ha portato in alcune zone del globo alla formazione di giacimenti petroliferi, o di gas metano, oppure di carbone.
Ebbene, i polmoni di Sandro Ciotti, se si fossero potuti aprire a scopo didattico, in una trasmissione come Quark, avrebbero permesso a Piero Angela di dissuadere milioni di italiano dal continuare a fumare stecche su stecche di Camel, le più pesanti sigarette che l’essere umano abbia mai prodotto, dopo le Nazionali senza filtro. Sandro Ciotti, al posto di quelli che forse un tempo erano stati dei polmoni, presentava solo materia inerte, assolutamente non in grado di catturare neanche una singola molecola di ossigeno. Eppure, contrariamente a quanto la comunità scientifica ritenesse possibile, o, in questo caso, impossibile, la respirazione, con conseguente irroramento delle cellule del corpo, avveniva in modo egregio. Sandro Ciotti, non c’è dubbio, viveva! E svolgeva il suo ruolo, dal punto di vista aerobico assolutamente non banale, in modo invidiabile, come pochi altri avrebbero saputo fare. La sua voce era molto ben distinguibile, le azioni di gioco erano descritte con dovizia di dettagli, e senza perdere minimamente di potenza, rimanendo del tutto comprensibili, senza alcun cedimento. E questo a dispetto di migliaia di mogli che speravano, diciamocelo simpaticamente, che gli venisse un colpo, per poter finalmente dire: “hai visto cosa succede a fumare in quel modo?”
Non bastava essere sottoposti ad occhiatacce ogni volta che, per aggiornarsi sulle azioni perse durante la guida, ci si sorpassava, per un aggiornamento al volo. Bisognava anche sperare che Sandro Ciotti nell’enfasi narrativa, preso dall’entusiasmo, non rischiasse di perdere in diretta un pezzo di polmone. Questo, naturalmente, in primis per la salute del buon Ciotti a cui tutti noi, compagni di radiolina, tenevamo tantissimo, ma soprattutto perché, inevitabile conseguenza di questo evento (diciamocelo: lo scenario più inconfessabile ma segretamente desiderato che le nostre amabili mogliettine potessero mai coltivare) sarebbe stato un drastico razionamento delle stecche settimanali di sigarette.

Ma torniamo all’evento sportivo: che dire in caso di sconfitta della propria squadra? La delusione, le parolacce che legittimamente ognuno avrebbe voluto poter gridare al mondo intero, venivano, all'occasione, trasformate in giaculatorie, da noi pronunciate con violento fervore, accompagnate dall’organo, che per mezzo della sua timbrica imponente, scandiva, con note grevi, il rendere grazie al signore persino per la sorella morte corporale, metafora della sconfitta, da accogliere comunque con giubilo. Morte che noi pure avremmo accolto con giubilo, se fosse stata quella dell’arbitro, che la radiocronaca indicava come responsabile di una svista colossale a cui aveva fatto seguito la sconfitta della squadra tifata.
Conclusa la funzione, reso grazie al Signore per la sconfitta, facendo appello a capacità di autocontrollo sviluppate e allenate domenicalmente, l’unica sentimento che accomunava tutti noi, spente ormai radioline e speranze, era quello di poter finalmente tornare a casa per, poter vedere coi nostri occhi, a 90° minuto, cosa caspita avessero combinato arbitro e reparto di difesa per riuscire a perdere quella che avrebbe dovuto essere una limpida, comoda vittoria.
Questo però, non prima di aver salutato con devozione i frati, che con tanta generosità avevano provveduto a riempirci l’intero bagagliaio di liquori a base di erbe medicamentose. Liquori assolutamente privi di nessun controllo, ma soprattutto con un tenore alcoolico tale che se avessimo malauguratamente fatto il minimo incidente, il fungo atomico che si sarebbe sprigionato avrebbe permesso ai soccorritori di individuarci in tempi brevissimi. Liquori venduti, naturalmente devolvendo l’intero incasso ai frati stessi, per poter sempre più incrementare la produzione di altri liquori, in un giro d’affari di proporzioni pari solo a quello che era stato in grado di mettere su Al Capone ai tempi del proibizionismo.
Conclusi gli interminabili convenevoli finali, con ulteriore distribuzione di interi scatoloni di immaginette dei santi, a cui i frati erano devoti, col compito, nostro, di distribuirle tra amici e parenti. Incarico accettato senza minimamente protestare, visto che sembrava fosse il modo più efficace di mettere fine ad interminabili discussioni, e finalmente di partire di volata, per arrivare in tempo per non perdere nemmeno un secondo del nostro amato 90° minuto, del mai abbastanza compianto Paolo Valenti.
Messe in moto le auto, dello spirito di solidarietà che all’andata aveva permesso a tutti i conducenti di aggiornarsi reciprocamente in caso di eventi non intercettati dalle radioline, non rimaneva traccia.
Si narrava persino di alcuni che, orologio alla mano, facendo due calcoli si erano resi conto di non avere nessuna speranza di arrivare a casa in tempo, se non aggiungendo qualche cavallo in più. E che quindi si erano fermati, senza darlo troppo a vedere, per travasare il liquore alle erbe, con una percentuale di alcool del 95% nel serbatoio, riuscendo, con questo stratagemma a più che raddoppiare la potenza del mezzo.
Il ritorno a casa, avvenuto a tempo di record, fregandosene delle consuete minacce di cene dai suoceri, da scontarsi anche durante le colazioni e i pranzi, poteva dirsi missione compiuta! Il ruolo ancestrale di capobranco, umiliato e calpestato per ore, poteva finalmente trovare, nello stacchetto iniziale della trasmissione, ancora una volta riconferma!
Un altro pomeriggio di rocambolesca sopportazione si era consumato, un’altra tacca sul legno del volante in radica trovava meritatamente posto per essere incisa!