Era estate, avevo dieci anni, e in quegli anni l'estate per noi bambini era estate davvero ed sopratutto vacanza, perché non esistevano i centri estivi o i grest, si era davvero liberi perché le nostre mamme erano a casa ed erano felici di poterci avere con loro.....non come oggi. Io ero uno di quei bambini che vive col pallone tra i piedi sempre, mangiavo col pallone sotto i piedi, facevo i compiti col pallone sotto i piedi e ogni occasione era buona per scappare in cortile o per strada o in un qualsiasi posto che ci permettesse di tirare due calci ad un pallone. Per l'esattezza quel giorno era il cinque luglio del 1982, ero in vacanza in montagna con i miei nonni, e con tutti gli amici che ogni anno ritrovavo in quel paesino nel bellunese.

C'era una atmosfera magica, c'erano i mondiali in Spagna e non si parlava d'altro. In realtà i grandi parlavano anche di altre cose, sembrava un periodo "strano e difficile" per l'Italia in generale, ma io ero piccolo e non mi interessava, io giocavo a pallone. Vivevamo il calcio in modo diverso da oggi. Non c'erano i social e il calcio degli anni 80 era ancora uno sport ed era vissuto in maniera semplice e umana. Indipendentemente dalla fede calcistica non c'erano problemi ad apprezzare altri giocatori di altre squadre e quando giocava la "nazionale" c'era davvero un senso di unione e appartenenza unico, che non ho mai più sentito. Dalla mattina di quel giorno la mente era fissa sulla partita che si sarebbe giocata di pomeriggio tra Italia e Brasile. L'adrenalina era a mille, ci davano tutti per spacciati perché quello era il Brasile di Falcao, Socrates, Zico e soprattutto a loro bastava un pareggio per passare il turno. Il problema era che in vacanza in quegli anni non avevamo la televisione, anzi, ne avevamo una da 15 pollici in bianco e nero, e così ci siamo fatti ospitare da un vicino di casa, residente, già dotato di un televisore a colori un po' più grande.

Nemmeno il tempo di accendere la tv, che quel numero 20 azzurro mingherlino insacca di testa per l'uno a zero e il boato degno di una curva da stadio esplode feroce. Poi il secondo, infine il terzo....e poi sarà apoteosi contro la Germania. In quella squadra c'erano un sacco di campioni, da Zoff a Conti, da Scirea ad Oriali, lo sfortunato Graziani, poi Antognoni, Collovati, insomma la storia del calcio italiano, ma per tutti, è soprattutto per i gol, quello fu il mondiale di Paolo Rossi....diventato Pablito. Non un fenomeno, non particolarmente dotato fisicamente, un ragazzo normale che per un periodo ha fatto cose straordinarie. La più grande è stata quella di aver unito l'Italia in quella estate.

Quel sorriso e quelle braccia al cielo dopo ogni gol sono divenute un simbolo in tutto il mondo, da quel mondiale tutti conoscevano Paolo Rossi. Era come Maradona per il l'Argentina o Pele' per il Brasile. Tutti noi volevamo essere Pablito, perché tutti vedevamo in lui uno come noi, e quindi ci sentivamo vicini. Poi col passare del tempo ho e abbiamo, potuto conoscere anche il Paolo Rossi uomo, fuori dal terreno di gioco, e abbiamo conosciuto un uomo puro dal cuore d'oro, sempre gentile e sorridente, disponibile con tutti e mai sopra le righe e mai dentro a sterili ed inutili polemiche. Non a caso oggi sono arrivati attestati di stima da ogni parte del mondo, da ogni tifoseria e dal mondo in generale non solo calcistico. I capelli bianchi non hanno mai intaccato il viso da ragazzino sorridente. Anche ultimamente nelle sue presenze in tv come opinionista si è sempre fatto apprezzare per ironia, obiettività e riusciva sempre a parlare di calcio con semplicità. Ogni generazione ha avuto il suo idolo e la nostra senza dubbio ha avuto Paolo Rossi, perché in quegli anni, juventini, milanisti, interisti, napoletani o romanisti che fossimo........TUTTI VOLEVAMO ESSERE PAOLO ROSSI. CIAO PABLITO