Dentro e fuori dal campo, fin dietro alla scrivania di Via Aldo Rossi: parlare della crisi del Milan non può far più notizia. Tra cambi di proprietà, girandole di allenatori e dirigenti, organici dalle discutibili qualità tecniche, il club rossonero è sprofondato in uno stato di perenne difficoltà.

Molto triste, quando si parla del Club che l'epopea berlusconiana aveva definito come "Il più titolato del mondo". Sette volte campione d'Europa più quattro medaglie d'argento (record italiano, alle spalle del solo Real Madrid a livello assoluto), quattro volte campione del mondo, da ben 7 stagioni non riesce a centrare la qualificazione nella massima competizione europea, quella Champions League in cui il Milan ha sempre fatto la parte del leone.

Escludendo i miracoli di un finale di stagione anomalo, che non fanno parte dell'umanissimo mondo del calcio, il club controllato dal Fondo Elliott si appresta a concludere la settima stagione consecutiva fuori dal podio del campionato e fuori da quell'ormai celebre 4° posto che vuol dire "Champions". Quel 4° posto ripetuto come un mantra e tramutatosi in incubo ad occhi aperti.

Numeri alla mano, è la peggiore crisi di risultati dell'intera storia del Milan. Nel campionato a girone unico, quindi dal 1929, solo una volta i Rossoneri avevano fatto così male: tra la stagione 1979/80 (terzo posto, poi commutato nella retrocessione a tavolino causa scandalo-Totonero) e lo scudetto di Sacchi del 1987/88.

Un record negativo praticamente già eguagliato e che molto difficilmente, viste le forze tecniche e le prospettive economiche in campo, si concluderà con un trionfo tricolore come l'ultima volta.

Se guardiamo agli altri top club italiani, risulta difficile trovare lunghi periodi così scarni di successi: dal 2013 ad oggi, il Milan può gioire per l'effimera vittoria ai rigori di Supercoppa Italiana, a Doha nel 2016. Per il resto, un paio di finali di Coppa Italia (entrambe perse contro la Juve) e due ottavi di finali europei (Champions nel 2014 ed Europa League nel 2018), con il 5° posto della scorsa stagione a fungere da massimo piazzamento in campo nazionale.

Anche la Juventus, nel corso della sua storia, ha vissuto momenti di difficoltà: si pensi al tribolato periodo post-Calciopoli, esauritosi in "appena" 5 stagioni senza grandi successi (dalla B del 2006/2007 allo scudetto del 2011/12), arricchite comunque dall'ottimo 2° posto nella stagione del ritorno nella massima serie. Andando indietro nel tempo, spicca l'assenza di Scudetti per ben 8 stagioni tra il 1986 ed il 1995: digiuno lungo, certo, ma addolcito senza dubbio dall'ingresso in bacheca di 2 Coppe Uefa (1990 e 1993) ed una Coppa Italia (1990), oltre a ben tre secondi posti in campionato.

Mai così male anche sull'altra sponda dei Navigli: se è certificata l'assenza di Tituli dal mitico Triplete mourinhano del 2010, è pur vero che l'Inter ha ottenuto due (e possiamo ormai dire tre) qualificazioni consecutive alle Champions, avendo costruito un organico ampiamente competitivo per il contesto nazionale, dentro e fuori dal campo. Se guardiamo alla vituperata truppa nerazzurra del famoso coro "Non vincete mai", col quale gli stadi avversari ricordavano al club meneghino il digiuno tricolore lungo ben 17 stagioni (1989-2007), non si può negare che qualcosina di buono c'è stata anche lì. Gli anni Novanta portarono all'Inter 3 Coppe Uefa (più una finale persa ai rigori) e due secondi posti in campionato; la prima metà degli Anni Duemila la Coppa Italia del 2005, la semifinale Champions del 2003 ed il famigerato scudetto perso al fotofinish il 5 Maggio 2002.

Questa crisi milanista non ha trofei da sollevare (eccetto Doha), non ha podi a cui aggrapparsi e, soprattutto, non ha la luce di un progetto a cui guardare con fiducia. Urge inversione di marcia, il blasone non basta più.