Dopo la sconfitta all'ultimo secondo del Borussia Park, per la Roma il girone di Europa League si era messo piuttosto male. Con soli 5 punti all'attivo, i giallorossi erano costretti a vincere le ultime due partite per assicurarsi la qualificazione ai sedicesimi. Una missione non impossibile, ma neanche delle più semplici. Soprattutto per via della trasferta in terra turca, che di questi tempi presenta di per sé aspetti problematici. Ma se dall'altra parte c'è il Basaksehir, vale a dire la squadra dell'esercito, e quindi del Presidente Erdogan, qualche timore in più è decisamente giustificato. Tanto più se l'allenatore, l'ex Inter Okan Buruk, la butta smaccatamente sul nazionalismo per motivare i suoi alla vigilia di un match che potrebbe regalargli una storica qualificazione europea. 

Eppure, sotto gli occhi della minacciosa presenza di Erdogan, la Roma è scesa in campo nel modo giusto, anche se i turchi si sono pericolosamente affacciati dalle parti di Pau Lopez in un paio di occasioni. L'episodio chiave del match è giunto alla mezz'ora, quando Topal ha deciso di parare un tiro dal limite di Pellegrini, mandando sul dischetto un freddo specialista come Veretout. Dal vantaggio in poi la Roma ha di fatto preso possesso del campo, raddoppiando dieci minuti dopo con uno slalom di Kluivert e chiudendo i giochi allo scadere del primo tempo con Dzeko, splendidamente imbeccato da Pellegrini. Mentre qualcuno si chiedeva se fosse davvero quello il temibile Basaksehir terzo nel campionato turco, nel secondo tempo la squadra di Fonseca teneva in ghiaccio la partita, concedendosi un po' di accademia e ritrovando pedine importanti per il prossimo ciclo terribile.

Cosa impensabile fino a qualche settimana fa, il tecnico portoghese ha risparmiato il finale a Kolarov, Pellegrini e Dzeko, inserendo Spinazzola, Mkhitaryan e il pessimo Under, evidentemente a disagio nel giocare contro la sua ex squadra e, perdipiù, davanti a Erdogan. L'ennesima conferma dell'intelligenza di Fonseca, che, a dispetto delle dichiarazioni, ha saggiamente scelto di lasciare in panchina l'esterno, anche se mi auguro che negli spogliatoi, a fine gara, l'abbia strigliato per bene. Va bene la gratitudine, caro Cengiz, ma non è quello il modo di entrare in campo. In ogni caso, la Roma torna dalla Turchia con una vittoria fondamentale, frutto di un'ottima prestazione in tutti i reparti. Una vittoria che la rilancia seconda nel girone e che, complice la vittoria del Gladbach, la avvicina ulteriormente al passaggio del turno. Per avanzare, infatti, basterà fare un punto all'Olimpico contro il già eliminato Wolfsberg. Se non ci fosse la Roma di mezzo, direi che la qualificazione è sicura. Conoscendo la storia giallorossa, ci aggiungo un quasi. Ma resto fiducioso. 

Oltre alla vittoria, per quanto mi riguarda la partita di ieri sera ha riservato due eccellenti conferme individuali. La prima è quella di Jordan Veretout, autore di una prestazione maiuscola condita dal secondo gol in giallorosso. Un acquisto sottovalutato, quello del francese, ma che ha regalato a Fonseca un giocatore dalle caratteristiche uniche nella rosa: corsa e grinta, ma anche piedi buoni e geometrie. Veretout è l'uomo ovunque della Roma, quello che vince un contrasto sulla trequarti difensiva è rilancia immediatamente l'azione con uno strappo o un passaggio intelligente, il tutto senza mai strafare o guardarsi allo specchio. Un centrocampista completo, perfetto per il ruolo che Fonseca gli chiede di interpretare e complementare ai suoi colleghi Cristante (purtroppo alle prese con un lungo stop) e Diawara (in netta crescita rispetto alle prime, opache uscite). Insomma, Veretout è il giocatore che mancava. E che fortunatamente Petrachi è riuscito a portare a Trigoria, vincendo la concorrenza di Napoli e Milan e zittendo i critici di un colpo non di nome, ma di fatto. 

L'altra grande conferma è quella di Lorenzo Pellegrini, ieri nettamente il migliore in campo. Strana storia, la sua. Riportato a Trigoria dal Sassuolo, Lorenzo ci ha messo un po' a carburare. Sarà stato per la responsabilità di vestire la maglia giallorossa, o perché era un po' chiuso da giocatori più esperti, fatto sta che fino al derby d'andata della scorsa stagione non aveva mai veramente convinto. Poi il caso ha voluto che sostituisse il fantasma di Pastore, arrivato per fare il titolare, e non uscisse più. La scorsa stagione è finita come sappiamo, ma Pellegrini è stato comunque uno dei pochi a salvarsi. Ora, anche per merito di Fonseca, che gli ha trovato la collocazione perfetta, è diventato uno dei leader della squadra. Non solo perché è romano e romanista (non tutti i suoi omologhi lo sono stati, o lo sono tuttora), ma perché è maturo di piedi e di testa. Basta un esempio per entrambi i casi.

L'assist che regala a Dzeko per il terzo gol è solo il pezzo più prezioso di una collezione invidiabile. In quella giocata c'è tutto Lorenzo Pellegrini: recupero del pallone, strappato dai piedi del malcapitato Epureanu, e verticalizzazione deliziosa che mette il 9 giallorosso a tu per tu con il portiere, da dove non può sbagliare. Una delle tante che Pellegrini confeziona con naturale maestria ogni volta che mette piede in campo. Quando manca, come negli ultimi due mesi, non puoi non accorgertene. Certo, la Roma ha sopperito più che degnamente alla sua assenza ritrovando un giocatore come Pastore, ma è il dinamismo unito alla qualità che fa di Pellegrini un vero e proprio insostituibile. Lo si è visto e lo si vedrà ancora a lungo, chiaramente in maglia giallorossa. Perché Pellegrini è naturalmente destinato a ereditare la fascia che è stata di Di Bartolomei, Giannini, Totti e De Rossi. Con buona pace dei tanti top club che farebbero follie per lui. Come non capirli. 

Ma Pellegrini è molto di più di un grande calciatore. E lo ha dimostrato proprio ieri sera, quando è stato colpito alla testa da un oggetto non meglio identificato lanciato dalla tribuna. Sanguinante, avrebbe potuto  lasciarsi andare alla solita sceneggiata da calciatore. In fondo ne vediamo tante, spesso per molto meno. Eppure Lorenzo si è comportato da uomo. Si è fatto fasciare e, senza fare un fiato, è rientrato in campo come se niente fosse. In quel contesto, in quello stadio, sarebbe potuto succedere di tutto. Se fosse stato colpito un altro calciatore, probabilmente staremmo parlando di altro. Ma la compostezza con cui Lorenzo ha reagito ha quasi fatto passare in secondo piano la gravità del gesto. Che, spero, la UEFA punisca a dovere. Perché non è accettabile assistere ancora a spettacoli del genere. Neanche in un Paese retto da una dittatura, neanche da parte dei tifosi della squadra preferita della dittatura in questione. Che ieri è stata sconfitta dallo sport: dal gioco della Roma di Fonseca e dai valori umani che il calcio troppo spesso mette in secondo piano per altri più materiali. Ieri non era facile, anche se lo è sembrato fin troppo. E questo è soltanto merito di una Roma che torna, finalmente, a renderci orgogliosi e pieni di speranza per il futuro.