Quanta bella giovinezza” recitava l’incipit di un famoso componimento. Un modo per contemplare la bontà d’animo, che culmina nella spensieratezza dettata dalla voglia di scoprire il mondo senza esperienza, con il cuore che batte a tempo e l’amore per il sogno. Tradizioni, miraggi, fasci di luce nell’oscurità che si percepiscono in ogni contorno, dal ricordo del passato ad uno stadio di calcio ricco di tifo e libertà. Succede così, non si sa il perché, ma quando i ragazzini lottano assieme per un ideale tutto è più bello, tutto è più magico.       

Il potere della storia, che permette di capire un’epoca passata in ogni sfaccettatura, domina ancora, ripensando a quando tutto cominciò: la mattina del 18 marzo 1900, al tavolo di Amsterdam, erano le 9.45. La città olandese, già ricca di tradizione, si preparava ad introdurre al mondo il figlio perfetto, che coincideva con l’unione, perché dal caffè Oost Indie i tre baffuti Floris Stemple, Han Dade e Carel Reeser dettero vita al club cittadino che pochi anni più tardi avrebbe dominato il globo. Idee chiare e un nome, che univa la città agli studi classici: Amsterdamsche Football Club Ajax. 

Pronti via, dai massimi esponenti dell’invenzione riuniti attorno al bar del centro, il club prese forma e conobbe, nel corso del tempo, uno splendore innato, culminato dalla cultura per una sfera e un modo di giocare unico, quel calcio totale che incarna la gloria, che pressa l’avversario costringendolo alla resa, che porta passione e amore e che mira all’urlo di un popolo agguerrito dalla fame di vittoria. Il famoso detto “per vincere ci vogliono i campioni”, usato ancora oggi dai nostri allenatori, in terra olandese si trovò a sbattere con la figura di Rinus Michels, manager che nella sua avventura in panchina ha conosciuto interpreti pazzeschi, ma che mettevano davanti al cuore la filosofia del campo, quel calcio totale che conosce solo la parola attacco, per dominare, perché interessava solo quello. E la scommessa fu vincente, perché a guidare quella massa si trovava il mito del prato verde, il capostipite dell’era dei tulipani, Johan Cruijff. 

Il profeta del calcio o, per dirlo alla Brera, il Pelè bianco, che sconvolse il mito per oltre un decennio insieme alla sua cultura, al suo calcio e ad un approccio anche egoista, perché l’unica strada da percorrere era il pressing totale, non importava se conduceva alla vittoria o meno. Questione di onore, di attaccamento alla maglia e di diverse abitudini che cercò di essere clonato anche dagli italiani, per cercare di rendere ancora più europea un’idea piombata nell’eco del vento, attivando quel miscuglio dettato dalla casistica che può portarti sul tetto del mondo. Ci provò Arrigo Sacchi, che introdusse un nuovo modo di pensare nella mentalità italiana con il suo Milan, squadra in grado di asfaltare il tempo e anche l’ostacolo più insuperabile. Si servì di tre olandesi il buon maestro, Gullit, Rijkaard e Van Basten, provate a domandarvi il perché. Il profeta di Fusignano portò i rossoneri lassù, dove volano le aquile a spasso col tempo, imboccando una strada precisa che lo indirizzò a gestire una delle squadre più forti di ogni epoca, da alcuni la migliore di sempre. Una scia di vittorie colorate di arancione, verrebbe da dire così. Tecniche sopraffine e unione erano le armi per inserire uno stile del tutto nuovo, che ancora oggi viene riconosciuto come quell’era storica alla quale tutti vorrebbero ritornare. 

ASSEDIO IN ITALIA, SCONTRO TRA MENTALITÀ DIVERSE 

Manca davvero poco alla battaglia che può valere una stagione. La sfida fra templari, culture e poli diametralmente opposti; sì, perché l’Ajax dei ragazzini se la vedrà all’Allianz Stadium con la corazzata Juventus di Massimiliano Allegri in un match pregiato, da vincere per proseguire un sogno. Sarà una partita strana, dettata dallo scontro fra due scuole calcio troppo diverse tra loro per identificarsi in una sfera; da una parte il colosso italiano, poggiato sugli enormi investimenti  di Andrea Agnelli e sull’acquisto di campioni esperti per consacrare il definitivo salto di qualità in Europa, dall’altro una cantera in cerca di emozioni, guidata da Ten Hag e basata sul pressing di centrocampisti completi in grado di spezzare in due il gioco avversario e, con furore agonistico, mettere in pratica la loro mentalità di andare sempre a comandare il gioco divertendosi, proprio perché ormai tutto è possibile. L’eliminazione inflitta al Real Madrid testimonia proprio questo, un lavoro giovanile studiato nei minimi dettagli e promosso da una società sana, perché i lancieri sono fatti così, i ragazzini crescono fin da piccoli con una palla al piede da gestire e una manovra dinamica tesa ad incidere in uno stile perfetto.
Torino è pronta ad ospitare l’Ajax dei sogni, e a differenza di quanto avremmo detto su qualunque altra gara di ritorno, l’1-1 di Amsterdam sembra aver azzerato tutto, la gloria va a spasso con l’onore e chissà che i ragazzini olandesi, con il cuore che pompa passione, non riescano a stupire un’altra volta. La Juventus ha i campioni, l’Ajax la sua storia, e a volte è sufficiente per servire la prestazione perfetta, nel nome di Cruijf, ma soprattutto nel coraggio di chi quella mattina del 18 marzo ha realizzato un mito.