A chi non piace comandare? Bando alle ciance. Quest'attività è il sogno di molti e non deriva da una futile fame di potere, ma è quasi una sensazione innata che l'essere umano prova per essenza. Sono rare le personalità che non ambiscono a ricoprire simili ruoli. Guidare un gruppo significa poter decidere le sue sorti. Vuole dire avere l'onore di determinare, di manifestare nel concreto le proprie opinioni, di realizzare un ideale. La politica è l'esempio lampante di tale fattispecie. La corrente che ha il privilegio di dirigere il Paese può concretizzare il programma stilato e così la sua visione di mondo. Lo stesso vale per il leader di un team di lavoro o per l'allenatore di qualsiasi compagine in ogni sport. Tanta gloria e molte responsabilità… Sulla faccia della terra non esiste nulla che abbia risvolti solamente piacevoli. Nel momento in cui si "domina" su qualcosa, quando si è supervisori, si hanno ingombranti incombenze. Penso, per esempio, a un sindaco che deve avere immensa fiducia nei suoi collaboratori non riuscendo sempre e materialmente a controllare ogni aspetto dell’ordinanza sottoscritta. Sarebbe impossibile per questione di tempi, ma pure di conoscenze. E’ banale. Un comandante è un uomo e non ha natura divina. Come non è in grado di essere perfetto ed onnisciente, non è nemmeno possibile che sappia tutto. Deve, quindi, accettare i consigli degli esperti. Questo, però, non è sufficiente perché se seguisse pedissequamente ciò che gli viene suggerito cadrebbe nel medesimo errore. E' palese, infatti, che al consulente mancheranno alcune nozioni e il capo deve essere in grado di compensarle. Il compito, quindi, è di bilanciare creando un perfetto equilibrio tra suggerito e proprio pensiero. Di ciò si trova esempio nella pandemia che stiamo vivendo. Non si può pensare che gli scienziati governino il mondo perché non ne hanno le adeguate competenze. Sarebbe come chiedere a un campione della Formula Uno di giocare la finale di Champions League. Non ha senso. Occorre che i governanti siano abili a recepire le indicazioni dosandole con altre esigenze e assumendosi, poi, la responsabilità delle scelte. E' semplice? No. Tutt'altro.

Lo stesso vale per i tecnici delle squadre di calcio
. Loro guidano il gruppo, costruiscono la tattica e scelgono la formazione che scenderà in campo sulla base dei suggerimenti giunti dai collaboratori. Se falliscono, sovente si trascinano il destino di chi li coadiuva. Della serie: "uno per tutti, tutto per uno". Ma è così pure negli altri campi e la politica è ancora un esempio. Spesso basta l'errore di un Ministero per provocare la caduta dell'esecutivo. La squadra di calcio è un sistema complesso. Al suo interno vi sono tante componenti che funzionano all'unisono. Devono suonare la medesima musica rispettando un unico spartito altrimenti qualche rumore isolato può rendere sgradevole la melodia che, essendo puramente estetica, ne subisce la completa rovina. Nulla, quindi, può essere lasciato al caso e il dettaglio fa la differenza. Un bravo comandante si attornia di abili sottufficiali. Dall'antichità, ogni società si è strutturata e organizzata rispettando i canoni della propria cultura. Si pensi ai greci o ai romani, ma pure ai barbari fino ad arrivare all’epoca attuale. Così è anche in una compagine di pallone e il ruolo del mister è fondamentale. Se si pensa a un modello maggiormente anglosassone, si riconosce la figura dell'allenatore-manager che si occupa, per esempio, anche delle trattative di calciomercato. La nostra tradizione latina, invece, vede un tecnico diverso e più legato alle questioni di campo che a quelle societarie. Come in ogni settore, la globalizzazione sta avvicinando i confini e i contesti. Ma una cosa non cambia: chi siede sulla panchina timona la nave e su di lui piombano fondamentali responsabilità. Come il Premier della Politica Italiana.

Per un ruolo così determinante serve quindi un esponente di spicco.
Si necessita di una personalità importante e molto capace. E' più semplice "scommettere" su un calciatore che su un tecnico. Il motivo è facilmente intuibile. Se si fallisce la prima scelta, si ha un danno che, pur con fatica e dispiacere, risulta rimediabile. Nel momento in cui non si opta per il mister adeguato, il rischio è di gran lunga maggiore. Sostituirlo in corsa non è mai impresa semplice e comoda. A volta conduce a ottimi risultati, altre non modifica la sinfonia. Pure in questo caso si deve far affidamento a una visione d'insieme. Spesso la scelta di una nuova guida a stagione in corso può fungere anche da cartina di tornasole. E' in grado, infatti, di manifestare se il problema sia a valle o a monte. Il riferimento è chiaramente allo staff o al resto della rosa. Si pensi al Real Madrid che nel 2015-2016 decise di separarsi da Benitez per affidarsi a Zidane. Nei pressi delle vacanze natalizie, la situazione appariva alquanto compromessa. Con il nuovo allenatore i Blancos vinsero 3 Champions consecutive. Non male. Il gruppo dei giocatori era all'incirca il medesimo, ma Zizou seppe valorizzare atleti come Modric o Casemiro. Se si vuole immaginare versioni meno eclatanti della fattispecie in analisi, si pensi al Bologna che passò da Pippo Inzaghi a Sinisa Mihajlovic. Attenzione! Non significa che un allenatore è scarso mentre l'altro è un asso. La differenza di rendimento può essere segnata da molteplici fattori tra cui quello ambientale o di approccio a un gruppo di persone. Non è detto che tutti siano in grado di fare breccia nel cuore di chiunque. Il citato tecnico spagnolo, infatti, non riuscì ad avere soddisfazioni con i Galacticos e fu esonerato dall'Inter nonostante la vittoria del Mondiale per Club, ma ai tempi del Liverpool conquistò la Champions. Seduto sulla panchina del Napoli centrò gli ultimi trofei azzurri prima della Coppa Italia vinta da Gattuso. Il tanto decantato Sarri partenopeo concluse l’esperienza campana con troppe emozioni e sentimentalismo, ma una bacheca vuota. Lo stesso ex attaccante del Milan sbagliò sotto la Torre degli Asinelli, ma condusse il Venezia alla promozione in serie B mentre con il Benevento ha recentemente guadagnato la massima categoria e sta disputando un buon campionato.

GLI ALLENATORI E LE GRANDI D'ITALIA

Pioli e il Milan – Dopo un quadro generale della situazione che spero sia utile a comprendere una personale analisi della figura dell’allenatore, è interessante osservare la posizione dei vari tecnici seduti sulle panchine delle big d'Italia procedendo, come sempre, con un rigoroso ordine di classifica. Al Milan, Pioli è stato bravo e fortunato. Sicuramente la sua situazione non può essere posta in discussione perché il parmigiano sta recuperando la storia di questo club. Lo sta riposizionando dove a esso compete. E chi se lo aspettava?! Occorre essere assolutamente onesti. Quando è sbarcato in Lombardia per sostituire Giampaolo, in pochi pronosticavano un futuro così luminoso. L'avventura interista non era finita troppo bene e forse ha rappresentato uno specchietto per allodole. Senza voler naturalmente proferire alcuna offesa nei confronti di chi "è cascato nel tranello" come il sottoscritto. In effetti, quando il mister emiliano allenò la Lazio, la compagine biancoceleste sfiorò il ritorno in Champions mancato solo per una sconfitta ai preliminari. Urge ricordare che, in quegli anni, la quarta classificata in serie A non accedeva direttamente alla fase a giorni, ma passava dagli spareggi. Perse la finale di Coppa Italia, con la prima Juve di Allegri che sfiorò il triplete, e disputò una discreta Europa League. Dopo l'avventura biancoceleste e quella nerazzurra, Pioli fu tecnico della Fiorentina. Dal punto di vista sportivo, il cammino risultò positivo e la Viola non viveva certo l'attuale periodo buio. I successori non hanno mai raggiunto il suo livello. Più che dai risultati, però, il percorso toscano del tecnico di Parma fu segnato da un evento assolutamente drammatico che credo abbia avuto un effetto molto importante sulla sua carriera. Non conosco Stefano quindi non posso trattare della sua persona, ma so chi è mister Pioli. Immagino che quel fatto abbia influito parecchio su tale ultima figura. Probabilmente sarebbe accaduto con chiunque. Il riferimento è alla scomparsa di Astori avvenuta in un albergo di Udine mentre la squadra era in ritiro per sfidare i friulani. Una tragedia incredibile che rende diversi. L'emiliano sembra aver subito un salto di qualità nella gestione del gruppo ed è ciò che sta facendo la differenza al Milan. Se si riesce a superare un momento come quello attraversato dalla sua Fiorentina, ed è accaduto, si è in grado di compiere qualcosa di umanamente enorme. Sicuramente Ibra è risultato fondamentale, ma non dev'essere semplice amministrare il dualismo tra una figura ingombrante come lo svedese e una posizione non propriamente forte tipica del mister ducale. Con il massimo rispetto, non si tratta di Mourinho o Guardiola…La società è stata magnifica nel riuscire a mantenere i giusti equilibri e concedere a Pioli i calciatori più adatti. Così, senza il sarrismo o un gioco esteticamente eccitante, Stefano ha "partorito" un'ottima creatura. Si è affidato al pragmatismo tipico della sua Regione, terra di grandi lavoratori. Non so se sta nascendo una nuova stella. Mi pare di essere in una fase ibrida dove ancora non è chiaro quale sarebbe la posizione del tecnico lontano dalla confort zone di Milanello, ma la sua storia di vita è sicuramente propedeutica a un certo tipo di domani…

Conte e l'Inter - Si passa all'Inter di Conte e qui si potrebbero scrivere intere pagine. Il matrimonio tra il pugliese e la Beneamata è travagliato. Pare quello di Renzo e Lucia o di Romeo e Giulietta nel senso che funzionerebbe alla perfezione se non vi fossero avversi moti esterni. Il carattere del salentino si sposa con le "pazzie" nerazzurre perché si compensano. Mi pare che i risultati lo dimostrino. E' vero che i lombardi, in un anno e mezzo, non hanno conquistato nemmeno un trofeo. E' corretto sostenere che, a metà del mese di febbraio, sono già esclusi da tutte le coppe. E' altrettanto giusto, però, ammettere che la crescita è stata esponenziale. Già sotto la guida di Spalletti, la squadra ha implementato il suo valore tornando a calcare i campi della Champions. Ora lotta per lo Scudetto. Ricordate i tempi di Stramaccioni, Mazzarri, Mancini, De Boer e Pioli? Per carità… alcuni di questi sono ottimi allenatori e lo jesino è stato pure grande protagonista della storia interista, ma la sua seconda avventura lombarda non è sicuramente paragonabile alla prima. Non si può pensare che Conte sia Re Mida. Non trasforma in oro tutto ciò che tocca. Serve tempo. La Beneamata ha buone chance di centrare lo Scudetto, ma pure se giungesse seconda lottando siano all'ultima giornata, magari contro un carrarmato come la Juve, non parlerei di fallimento. Credo che Antonio abbia ragione. Il gap è diminuito, ma non è estinto. Questa riduzione è pure merito suo.

Il triangolo no - Per quanto concerne il leccese vorrei dilungarmi parlando di uno strano triangolo che si è formato tra lui, l'Inter e la Vecchia Signora. Non voglio certo infilarmi nella testa del tecnico e nemmeno nella sua intimità, ma mi sorge un dubbio. "L’amore non è bello se non è litigarello". Non so se tra il pugliese e la Juve potrà mai nascere una nuova collaborazione. Al momento è quanto di più distante dalla realtà possa esistere, ma il motivo è soltanto nelle ambizioni. I sabaudi vogliono la Champions ed è qualcosa che pare attualmente troppo lontano dalla galassia contiana. Il mister non sembra riuscire ancora ad acquisire la mentalità adatta per le coppe. Sarà per il leitmotiv tattico? In parte sì. E' innegabile che la sua idea di calcio sia piuttosto attendista con verticalizzazioni rapide e micidiali nel momento in cui si recupera la sfera. L'esperienza insegna che difficilmente ripaga a livello internazionale dove, forse, servono maggiori varianti e differenziazioni della proposta. Esiste, poi, anche una componente legata alla psicologia e al fato avverso. Ma tornando a noi… Non credo che i piemontesi possano odiare il salentino e viceversa. Perché? E' semplice. La grandeur dell'uno si è originata grazie all’altro. Antonio è il Demiurgo che ha creato l'immensa Juve e i Campioni d'Italia sono la società che ha lanciato il tecnico in una dimensione internazionale. Esisterà sempre riconoscenza. Il rapporto tra le parti, però, è influenzato pure da un’altra tematica. Mi riferisco a una sorta di inconscio amore reciproco. Conte è sempre stato legato alla Vecchia Signora con cui ha trionfato a ogni livello come calciatore. Il periodo in cui sedeva sulla panca dei bianconeri è stato intriso di straordinarie emozioni condite da gioie infinite e cocenti delusioni su ambo i fronti. E' chiaro che a quel punto non si può parlare di semplice rapporto professionale come magari è stato quello con Allegri. Qui si parla di affetti enormi, di storie di vita. La situazione è completamente differente e, quando si è su barricate opposte, è in grado di condurre a strane reazioni. Siamo franchi: con una ex, o un ex, senza un trascorso così ricco di passione si può pure costruire una sorta di amicizia. Quando, invece, il legame è stato viscerale e intenso è difficile stabilire un rapporto sereno, freddo e distaccato. Se ci si è amati a lungo, significa che il sentimento era reale e non scomparirà mai definitivamente. Paradossalmente il triste teatrino dello Stadium mi sembra un messaggio di stima reciproca più che il contrario. Nel momento in cui tra due parti vige menefreghismo non c'è nemmeno la volontà di creare una bagarre che provochi una brutta figura in mondovisione. Si soprassiede. Se fossi interista, sarei geloso… Battute a parte, per quanto riguarda la stella dedicata al mister nella casa juventina, non concordo con chi la vorrebbe eliminare. Dopo quanto precedentemente scritto, mi giunge facile pensare che tale manifesta volontà di alcuni tifosi rappresenti una forte reazione emotiva. E' come il fidanzato, o la ragazza, che vuole gettare tutti gli oggetti ricordanti il partner. Se questo può aiutare a dimenticare una storia d'amore e vivere meglio, è giusto adottare una simile condotta. Qui, però, la situazione è completamente diversa perché si tratta di una vicenda professionale. Gli juventini non possono cancellare la memoria di un uomo che ha fatto grande la loro squadra sia come calciatore che come allenatore. Non penso "ne abbiano il diritto". Vorrei rimembrare loro la differenza tra l'ultimo periodo pre contiano e quello che ha seguito l'arrivo del salentino… Serve massimo rispetto! Dirò di più, da supporter della Vecchia Signora assistere alla scena di martedì scorso mi ha rattristito.

Pirlo e la Juventus - E Pirlo? Beh… sta facendo molto bene. E' allegriano o guardiolista? Boh… Non si capisce, ma per ora non è un problema perché sta ottenendo buoni risultati e, se si considera che è alla sua prima stagione da allenatore, si resta piuttosto esterrefatti. Bravo. Non era semplice diventare di punto in bianco tecnico dei pluricampioni d'Italia e i bianconeri sperano che possa ripercorrere la magia riuscita proprio al mister catalano. Al primo anno sulla panchina del Barcellona conquistò il triplete. Andrea, però, deve curare una situazione che in pochi notano. Ha finalmente trovato un modulo che significa parte di un'identità. Non sono tanto importanti il dato numerico e lo schema tattico. Conta che il 4-4-2/3-5-2 abbia un'interpretazione ormai chiara nonostante la variazione degli interpreti. Possono giocare Chiellini e Bonucci, ma anche Demiral e de Ligt. In mediana sono schierati piuttosto indifferentemente Arthur, Bentancur, Rabiot e Mckennie, ma il sistema gira. Lo stesso vale per le corsie con l'alternanza tra Chiesa e Alex Sandro o nell'attacco grazie a quella tra Morata e Kulusevski. Ultimamente, però, il lombardo ha rimarcato spesso di essersi adattato all'avversario. E' stato così sia con la Roma che con l'Inter. E' un importante segnale di umiltà ed è sicuramente apprezzabile, ma non deve condurre lentamente a perdere il proprio io. Quello che è stato raggiunto con fatica dev'essere mantenuto. Non vorrei che la Juve divenisse altamente camaleontica e si crogiolasse nella strategia, finora riuscita magistralmente, di ingabbiare i rivali trovando le contromisure al loro calcio.

Fonseca e la Roma - Si giunge a Fonseca e alla sua Roma. Anche in questo caso, si potrebbe scrivere un intero libro. Sarò franco e pongo subito un punto fermo. Credo che i giallorossi rappresenterebbero l'approdo ideale per Max Allegri. Sembra una squadra costruita a immagine e somiglianza del mister livornese, uno degli uomini più pragmatici che il nostro pallone abbia mai conosciuto. I capitolini sono un enorme mix di esperienza e gioventù con un quantitativo micidiale di tecnica. Si pensi a questo eventuale 4-2-3-1. Pau Lopez; Karsdrop, Mancini, Kumbulla, Spinazzola; Lorenzo Pellegrini, Veretout; Zaniolo, Pedro, Mkytarian; Dzeko. Tanta, tanta roba. Una concretezza infinita con calciatori che uniscono la fantasia alla praticità. Ciò che ama il toscano. Ha fatto la sua fortuna con uomini come Ibra, KP Boateng, El Shaarawy, Vidal, Pogba, Tevez o Khedira. Sostanza, qualità e astuzia senza gabbie tattiche. La versione capitolina del portoghese, invece, assomiglia molto alla bella incompiuta. La squadra crea tanto. Si muove come una magnifica pattinatrice artistica sui ghiacci di un palazzetto, ma non arriva mai a capo dell'opera. Non centra il risultato sperato e questo non è un fattore da poco. Non credo che con tali premesse il rapporto possa proseguire a lungo. Se il lusitano non riesce a superare questo problema, temo che la sua avventura all'ombra del Colosseo giungerà presto a una conclusione. Dispiace perché Paulo avrebbe tutte le carte in regola per un futuro glorioso. A importanti doti professionali, infatti, unisce determinazione e una buona capacità comunicativa. Forse gli manca un tantino di empatia con l'ambiente, ma a Roma potrebbe essere pure un pregio vista la forte emotività della piazza.

Inzaghi e la Lazio - Poco da dire, invece, per quanto riguarda Simone Inzaghi e la sua Lazio. Il matrimonio è praticamente perfetto e penso che il mister piacentino si sposerebbe in maniera egregia con molti partner. E' un mago della panchina. Il Ferguson biancoceleste non ha mai lasciato l'Aquila ed è l'allenatore più longevo della serie A essendo fermo lì ormai da circa 6 anni. E' davvero difficile vedere una simile resilienza, ma così è, e il rapporto non pare logorarsi con il tempo perché l'emiliano è evidentemente molto abile nell'entrare nelle menti dei suoi atleti. Ha un carisma importante e un ascendente eccezionale. Probabilmente è pure meno martellante di quanto possa sembrare durante le gare, momento in cui non concede un attimo di pace ai giocatori perdendo la voce dopo ogni incontro e percorrendo miriadi di chilometri a bordo campo. E' un integralista della difesa a 3 e forse questa propensione andrebbe rivisitata perché serve sempre il corretto equilibrio. Non bisogna né fossilizzarsi su un determinato approccio e nemmeno essere talmente eclettici da non avere un'identità precisa. Avendo sempre disposto di un materiale pressoché simile, Inzaghi non ha probabilmente potuto provare nulla di alternativo. Lo vedrei bene anche altrove? Come detto, sì. Credo sia sufficientemente pragmatico da riuscire a dimostrarsi vincente pure lontano dal suo habitat e della sua famiglia perché la Lazio, ormai, per Simone, è come un nido. Lì ha raccolto grandi successi sia in campo che in panchina. Un suo eventuale addio potrebbe creare una situazione molto simile a quella tra Conte e la Vecchia Signora. Mi pare che l'attaccamento al lavoro e a certi colori sia molto forte per entrambi anche se il mister pugliese ha sempre e giustamente specificato di essere un professionista. Non un tifoso. Ha ragione, ma penso che il "primo amore non si scordi mai".

Gattuso e il Napoli - E' questione di tempo. Ormai, purtroppo, la storia d'amore tra Gattuso e il Napoli è destinata a un amaro finale. Peccato perché era iniziata nel migliore dei modi e, dopo la parentesi illusoria targata Ancelotti, pareva che il calabrese avesse ricondotto la Chiesa al centro del villaggio. Era giunta pure la prestigiosa vittoria in Coppa Italia. Ringhio ha riportato un titolo in Campania. Né Sarri, né il mister di Reggiolo erano riusciti in una simile impresa. E poi? Beh… Credo che la risposta sia persino più semplice di quanto si immagini. Non smetterò mai di dire che i partenopei sono una compagine costruita male. Non me ne voglia la dirigenza, soprattutto nella figura di Giuntoli che fu protagonista della storica cavalcata del Carpi in serie A. Penso che le doti del d.s. siano indiscutibili ma, a parte Manolas, Koulibaly e un ottimo attacco, i campani mancano di top players. Rrahamani è un buon difensore. Maksimovic è bravino, ma la differenza con i titolari appare piuttosto evidente. Di Lorenzo è un abile terzino, ma non è un campione. Mario Rui, Hysaj e Ghoulam non sono da top club. Peccato perché la carriera di quest'ultimo prometteva molto bene e se non fosse stato per alcuni gravi infortuni avrebbe potuto diventare uno dei migliori nel suo ruolo. Fabian Ruiz cresce e sarà un ottimo mediano. Bakayoko, Demme, Lobotka, Elmas e Zielinski convincono quantitativamente, ma non sotto il profilo della qualità. Il reparto avanzato non si discute. Detto della rosa non propriamente esaltante, credo che il Napoli abbia pure un altro grande dilemma e si chiama Sarrismo. Gli azzurri non si sono ancora distaccati da quel sogno a occhi aperti vissuto quando il toscano era sulla loro panchina. Un popolo come quello partenopeo è capace di donare tutto sé stesso a personaggi carismatici come il Comandante che li ha un tantino sedotti e abbandonati. Dopo aver perso la sua guida, la squadra non pare essersi ancora ripresa. Deve tagliare il cordone ombelicale che la legava a quei concetti e a quel credo. Gattuso, invece, avrà sicuramente altre chance con la speranza che non gli venga chiesto nuovamente un miracolo perché quanto fatto con i campani e precedentemente sulla panchina del Milan si avvicina molto a qualcosa di trascendentale. Nessuno è attrezzato per superare una certa soglia.

Gasperini e l'Atalanta – Si giunge quindi a Gasperini e alla sua Atalanta. Che dire del tecnico piemontese? Beh… ogni parola sarebbe vana perché i risultati spiegano tutto. Quanto fatto sia con il Genoa che con la Dea dovrebbe garantirgli un posto in una big a meno che, come ritengo corretto, i bergamaschi non siano già inseribili in quella categoria. E' un allenatore fantastico. Non amo gli eccessi. Al bianco o al nero, ho sempre preferito il grigio. Non posso, quindi, concordare con quei tecnici che adottano costantemente dei must. L'identità ferrea e rigida delle squadre del torinese lo avvicina tremendamente a uno di questi. Ma la sua filosofia è soltanto tattica perché non ha grandi problemi a livello di uomini. Non necessita dei suoi soliti adepti. Abbisogna di persone che credano nel progetto e quanto dimostrato con il caso Gomez è assolutamente palese. Nel momento in cui non si è sentito più utile ai meccanismi della squadra è stato sostituito da Pessina e il risultato è apparso egregio. Quando si sedette sulla panchina interista, giunto dopo il triplete, l'avventura vittoriosa nel mondiale per club con Benitez e il periodo targato Leonardo, probabilmente trovò atleti poco motivati. Questo si scontrò, invece, con la sua grande volontà di costruire e lavorare per traguardi importanti. Abbisogna di calciatori affamati e non di star con la pancia piena per gli immensi traguardi del passato. Se si guarda a quella squadra, si pensa a Julio Cesar, Lucio, Maicon, Cambiasso, Stankovic, Milito che probabilmente non avevano più la forza per rispettare i duri diktat gasperiniani. Non ne faccio loro una colpa. Quando una persona è totalmente provata ed esausta non si può chiederle ulteriori sforzi, ma solo accompagnare verso un corretto ricambio generazionale che poi è lentamente avvenuto. Desidererei vedere Giampiero alla guida di una big che possa garantirgli le dette prerogative. Credo farebbe la fortuna di molti.