È il 1988 quando escono postume le Lezioni americane (Sei proposte per il nuovo millennio) di quello che a mio avviso fu il più grande scrittore del secondo Novecento: Italo Calvino. Di quelle Lezioni la prima, intitolata Leggerezza, è la più importante nell’ordine di sei: Rapidità, Esattezza, Visibilità, Molteplicità, Coerenza tutte quante proiettate nel delineare delle nuove prospettive letterarie a fine di garantire alla Letteratura il posto che merita nel millennio in cui ora ci tocca di vivere. Proprio nella Leggerezza Calvino individua il fine ultimo della letteratura: essere leggera per poter districarsi abilmente in quel sentiero tortuoso ed ingarbugliato che è la Storia e come essa il mondo, così da arrivare al lettore nel modo più diretto ed intuitivo, per essere finalmente una Letteratura di tutti e soprattutto per tutti. A sentire quella necessità di essere leggeri, semplici, pur poggiandosi sulla pesantezza degli argomenti, dei messaggi che si vogliono portare, viene subito in mente un certo Massimiliano Allegri, il quale per la semplicità del calcio e l’artisticità insita nel gioco del pallone, si è battuto strenuamente contro un muro di gomma costituito da alcuni giornalisti faraboloni che ne chiedevano la testa a gran voce, purtroppo alla fine riuscendoci. Ad oggi però, mi vien da dire che Allegri ci aveva visto lungo e la prova non è altro che lo stesso oggetto di quelle critiche piovute immeritatamente addosso al tecnico livornese: Paulo Dybala.

Paulo Dybala quest'anno concretizza l'idea di leggerezza calviniana, di semplicità allegriana. Ricordo che nelle Lezioni americane Calvino parla di Hermes: un dio antropomorfo che indossa calzature alate per poter muoversi rapidamente tra cielo e terra, perché tra i suoi compiti vi è quello di fare da traduttore, da mediatore dei messaggi mandati dall’Olimpo agli uomini. Hermes coniuga dunque il peso dell’umano con la leggerezza, la volatilità del divino perché per Calvino - che cita Valéry - bisogna essere leggeri come l’uccello e non come la piuma. Ecco che quindi il Dybala formato '19-20 rispecchia proprio questo: egli è il cucitore dei due mondi, il ponte tra centrocampo e attacco. L’Hermes del rettangolo di gioco. In lui convivono l'arte di pensare il calcio e quella di giocarlo con una semplicità di movimento che lascia a bocca aperta lo spettatore. L'Eletto di Laguna Larga (citando uno dei pochi meriti critici ascrivibili a Daniele Adani) vede giocate che i giocatori normali non vedono, come diceva quel mister (Allegri) che sembrava non capire le sue qualità "Dybala trova la sua massima espressione nella corsa perché è un calciatore aerobico". Lo stesso Adani - uno dei più faziosi detrattori di Allegri - sarà costretto ad affermare durante Roma-Juventus (1-2 ndr.) che "questo deve fare Dybala! Deve cucire i due reparti scendendo fino alla metà del campo".

La giocata della Joya in sinergia con Higuain (altro giocatore che il calcio lo sa pensare prima di saperlo giocare) durante gli ottavi di Coppa Italia contro l'Udinese (vinti dalla Vecchia Signora con un pokeristico 4-0) è la prova di come questo giocatore si esalti nella fantasia, facendo risultare semplice ciò che in realtà non è. Dybala ha giocato per quasi ottanta minuti variando su tutta la metà campo avversaria, coadiuvato anche dal grande lavoro di fatica di Bernardeschi (un altro che a metamorfosi completata saprà dare grandi soddisfazioni). Il calcio dunque, come la letteratura, è un'arte che va lasciata a chi la sa esprimere, al genio di chi l'arte l'ha vissuta ed esercitata per anni nei campi da calcio. Fossi un giornalista chiederei scusa ad Allegri per aver avuto la presunzione di insegnare ad un artista il suo mestiere perché l'arte non è solo l'espressione finale, ma è anche l’ingegno, la conoscenza, la tecnica per arrivare a quell'espressione. Per dipingere bisogna saper usare i colori, essere consci di ciò che la tavolozza ci offre; allo stesso modo per scrivere serve conoscere le parole e, per giocare a calcio, serve qualcuno che sappia cosa significhi stare in campo in un certo modo, qualcuno per esempio che ha lanciato Robinho, Thiago Silva, qualcuno che è riuscito a mettere Nocerino nelle condizioni di andare in doppia cifra perché no, non è solo merito di Ibrahimović. Bisogna che alcuni giornalisti si arrendano alle parole di Flaubert il quale insegna che si fa della critica quando non si sa fare dell'arte. A questo proposito però, aggiungerei che si fa della cattiva critica quando non si sa fare dell'arte, perché c'è chi facendo della critica (intelligente e soprattutto pensata) della stessa ne ha fatto arte uccellando tutti coloro che si foggiano d'averlo frequentato, per lo meno - spero - attraverso i suoi articoli.

Come vorrebbe Calvino, si lasci dunque che la leggerezza prevalga sulla pedanteria che attenzione: nel calcio non è pedanteria del gioco, degli schemi, dell'altezza media in cui si muove la difesa o del numero di passaggi con cui si conclude un'azione da gol; è la pedanteria di un non artista che presume di essere tale e forse, acciecato dalla cattiveria finisce per sminuire gli altri per non sminuire sé stesso. La pedanteria percepita è ciò che sta al di fuori dell'opera d’arte e del suo creatore. Alla fine, lo scopo dell'arte è quello di dare qualcosa a qualcuno a prescindere dal risultato, perché come sosterrebbe il primo Benedetto Croce una forma d'arte sarà un'opera d’arte nel senso estetico del termine solamente grazie alle potenzialità insite in sé stessa. Così è successo a Dybala e ad Allegri. Così sarà per sempre. Cerchiamo di godere del calcio in ogni sua forma, solo così il riverbero di una giocata raggiungerà le corde della nostra passione; perché l'eccessiva critica, pesando troppo, rischia di opprimere, soffocando così le emozioni: il fine massimo che ogni artista con la propria arte si prefigge di regalare.