13 agosto 2017, ore 22:37. Lukaku sfida in velocità De Sciglio, resiste alla chiusura, arriva sul fondo, mette il pallone al centro dell'area e tra Milinkovic e Immobile spunta il giovane Murgia. A tempo scaduto, ecco il goal della vittoria che pochi tifosi laziali aspettavano, dopo aver appena assistito alla rimonta di una Juve arrembante. Proprio quando i tempi supplementari sembravano una realtà imminente, un coup de théâtre, l'epilogo che non ti aspetti. Ho pianto ieri sera, davanti al televisore. Non è facile non emozionarsi guardando la propria squadra lottare per tutta la gara, tenendo testa a uno dei club più forti d'Europa, per il quale nutro profondo rispetto. So perfettamente che a tifare Lazio c'erano anche molti tifosi delle squadre storicamente rivali dei bianconeri, pronti ad affossare il nemico ad ogni piccolo grande errore. Ma questo tipo di fanatismo non l'ho mai condiviso e mai lo farò. Soprattutto non lo accetto dopo la partita di ieri, che simboleggia nient'altro che la vittoria della Lazio, dei colori biancocelesti e della lazialità. Una squadra che ha saputo soffrire, ordinata e compatta, evitando di abbattersi psicologicamente neppure nei momenti critici. La Lazio nei 90 minuti (anzi, 94) ha fatto meglio della Juve, anche senza gli uomini di maggior qualità della rosa, ossia Felipe Anderson e Keita. Ero piuttosto scettico prima della partita, non lo nego, ma per l'ennesima volta devo inchinarmi al merito di colui che, risultati alla mano, è il vero top player della squadra: Simone Inzaghi. Si dice che, nonostante il lavoro dell'allenatore, siano i giocatori a fare la differenza (nel bene e nel male) perché sono loro che scendono in campo. Eppure è innegabile che la famosa mano del mister in questo caso si noti con chiarezza, a partire dal modulo, passando per l'affiatamento del gruppo. Non può essere un caso se molti calciatori biancocelesti stanno avendo un rendimento così alto: fase difensiva eccellente (Wallace superbo contro avversari di indiscusso valore), Lucas Leiva già pedina fondamentale, Luis Alberto messo nelle migliori condizioni per fare bene, Milinkovic-Savic e Immobile reduci da una grande stagione e più affamati che mai.

Un capitolo a parte va speso a favore dei subentrati di ieri sera: Lukaku e Murgia sono entrati a partita in corso con una determinazione a dir poco esemplare e allo scadere hanno confezionato la rete che ha dato il via ai festeggiamenti. Alessandro Murgia, in particolare, è il simbolo di questa squadra giovane e spavalda, alla quale non tremano le gambe nel momento della verità: anche questo è merito di Inzaghi, uno che di competizioni importanti ne ha giocate con questa maglia, alzando al cielo ben 7 trofei da calciatore. Quello vinto ieri è stato per la Lazio il 12esimo trofeo negli ultimi 20 anni: a dare inizio a questo fruttuoso ventennio fu la Coppa Italia 1997-98, vinta a Roma contro il Milan, con rete decisiva di un certo Alessandro Nesta. Il destino ha voluto fare un bel regalo ai tifosi laziali 20 stagioni dopo: stesso stadio, goal vittoria di un altro figlio del vivaio biancoceleste, anche lui di nome Alessandro. Queste sono serate e partite che un tifoso porterà dentro di sé per sempre, emozioni da raccontare ai propri figli e nipoti. Ieri all'Olimpico c'erano tre generazioni di tifosi, uniti in una grande gioia sportiva dai colori biancocelesti. Sono questi i motivi per i quali si è trattata della vittoria della lazialità. E ripensando al 1998, quando a 6 anni mi innamorai di questi colori, da tifoso e amante delle belle storie di sport, davanti al televisore di casa non ho saputo trattenere le lacrime.