Ci sono squadre che più di altre hanno scritto la storia del calcio, segnando un'epoca per sempre e influendo con il loro rivoluzionario stile di gioco sul futuro sviluppo del gioco.

L'Ajax di Cruyff ha inventato il calcio moderno, in tempi molto più recenti il Barcellona di Messi e Guardiola ha sublimato lo stile ereditato dagli olandesi aggiungendo velocità e verticalità, ma la squadra più forte di tutti i tempi, almeno stando al parere della Uefa, è il Milan della fine degli anni '80, quello del pressing alto di Sacchi e dei tre Tulipani.

Quando Sacchi arriva sulla panchina del Milan è un allenatore pressoché sconosciuto e quando gli fanno notare che non è mai stato un calciatore lui risponde, "Non sapevo che per essere un bravo fantino devi prima essere stato un cavallo".

Applicando il concetto di "intelligenza collettiva", l'allenatore chiede 11 giocatori attivi in tutti i momenti della gara, sia in difesa sia in attacco.

In allenamento organizza partite da 90 minuti senza palla, indicando ai giocatori la posizione immaginaria della sfera in modo che possano schierarsi di conseguenza.

Il Milan di Sacchi gioca con il 4-4-2 con uno schieramento a rombo in cui Ancelotti, l'uomo del primo pressing e Donadoni, l'uomo dell'ultimo passaggio, occupavano i due vertici della zona centrale del campo, bassa e alta e due esterni, Evani e Colombo coprivano le fasce.

La difesa a zona imponeva una distanza tra difensori e centrocampisti mai superiore a 25-30 metri.

La difesa alta e un efficiente trappola del fuorigioco tengono sotto pressione gli avversari, un pressing organizzato permette una veloce riconquista del possesso, lo strapotere atletico e tecnico del trio olandese, Gullit, Van Basten, Rijkaard, faceva il resto.

Rijkaard, che sopraggiunse in una seconda fase, condusse ad una rimodulazione dell'assetto, con lo spostamento laterale di Donadoni, per inserir in mediana l'olandese donando al Milan  un'altro dote,l'inserimento in verticale negli spazi aperti dai suoi connazionali.

L'eliminazione del Real Madrid in semifinale di quella che sarebbe stata la prima Coppa dei Campioni del ciclo vincente di Sacchi, quella 1988/89 è uno dei successi chiave, e probabilemente il più simbolico, del nuovo Milan. Dopo un 1-1 funambolico sul campo dei madridisti, arriva un sonoro 5 a 0 a Milano.

Il 4-0 rifilato allo Steaua Bucarest nella notte di Barcellona è tuttora la vittoria più larga in una finale di Champions League.

Quella squadra è passata alla storia con il nome di "Immortali". Tra i giocatori che scesero in campo durante la finale vinta contro la Steaua, c'era gente del calibro di Baresi, Maldini, Tassotti, Costacurta oltre ai già citati  Ancelotti, Donadoni, Rijkaard, Gullit e Van Basten.

In Italia fino all’esplosione del Milan di Sacchi regnava la “zona mista”, portata al successo dalla Juventus di Trapattoni e dal Torino di Radice. Alla marcatura ad uomo dello stopper e spesso del terzino destro, talvolta del centromediano difensivo, si accompagnava una difesa dello spazio, più rispondente a canoni moderni. 

Con l’avvento di Sacchi ci fu la clamorosa  rivoluzione che portò alla “zona pura” e la nascita di quella che viene considerata ancora adesso dalla maggior parte degli addetti ai lavori la squadra più forte di tutti i tempi.

La linea difensiva del Milan, che era guidata dal suo capitano Franco Baresi, si muoveva in funzione della palla e mai degli avversari, per poter riuscire ad individuare l’attimo giusto nel quale far scattare la loro trappola del fuorigioco con la salita contemporanea di tutti gli uomini che in quel momento componevano l’ultima linea difensiva.

I dettami dell’allenatore di Fusignano erano chiari. La squadra sul campo doveva essere corta e stretta, e la costruzione del gioco era basata su sincronismi e tempi nella quale bisognava creare spazi nella metà campo avversaria, per poi occuparli in movimento. La maggior parte delle volte grazie al movimento degli esterni, che in fase di possesso erano a tutti gli effetti degli attaccanti aggiunti.

La risalita dei terzini sulla stessa linea del centrocampista in possesso di palla componeva una sorta di 2-3-3-2 in costante mutamento. Il tentativo è quello di dare ampiezza alla manovra, sfruttando gli spazi che sono stati creati grazie ai movimenti dei giocatori.

La parola chiave è pero la coralità (termine tanto caro all’allenatore romagnolo). Tutti collaboravano e potevano ricevere il pallone dal proprio compagno di squadra. Uno dei principi di gioco era quello di dare al possessore di palla almeno quattro soluzioni. 

Sacchi pretendeva dai suoi uomini un calcio attivo anche in fase di non possesso, con giocatori protagonisti grazie al pressing. L’obiettivo era quello di proporre una difesa collettiva con una marcatura dello spazio (zona). Alla base di tutto doveva esserci l’intelligenza, la concentrazione, il posizionamento corretto e la capacità di scelta da parte dei giocatori dei movimenti da effettuare. Il lavoro partiva sempre dagli attaccanti (Gullit e Van Basten) che avevano il compito di ostacolare il tentativo di costruzione della manovra da parte degli avversari.

L’obiettivo era quello di essere sempre in superiorità numerica nei pressi della palla, facendo densità in quella zona di campo per facilitare la più rapida transizione offensiva possibile.

Gullit era l’uomo in più in quelle situazioni. Grazie alla sua velocità e potenza  spaccava letteralmente le transizione difensive delle squadre avversarie che non avevan il tempo di un corretto assestamento.

1 scudetto, 2 coppe dei campioni, 2 coppe intercontinentali chiusero l'epoca sacchiana, perpetuata dall'esperienza di Capello, che aggiunse 4 scudetti consecutivi, seppur solo i primi due con l'11 da leggenda di cui abbiamo discusso.

Leader qualitativi indiscussi di quella squadra tre uomini:

Baresi, "Si getta sul pallone come una belva: e se per un caso dannato non lo coglie, salvi il buon Dio chi ne è in possesso! Esce dopo un anticipo atteggiandosi a mosse di virile bellezza gladiatoria. Stacca bene, comanda meglio in regia: avanza in una sequenza di falcate non meno piacenti che energiche: avesse anche la legnata del gol, sarebbe il massimo mai visto sulla terra (Gianni Brera)"

Van Basten, il Cigno di Utrecht è semplicemente uno dei più forti esemplari di attaccanti nella storia del calcio."Una macchina da gol che si è rotta proprio quando stava per diventare il migliore di tutti. Lo è stato ugualmente, ma non è arrivato a essere il numero uno. (Diego Armando Maradona)" 

Cruijff gli ha fatto da allenatore e l’allievo impara dal maestro tutto. Stessa movenze eleganti e leggere, uguale velocità di pensiero e di azione, tecnica sublime per capolavori di classe pura. Van Basten all'Ajax segna a ritmi vertiginosi, 128 gol in 133 partite che gli valgono la Scarpa d’Oro nel 1986 e il primato nella classifica dei cannonieri dal 1984 al 1987.

Gullit, lo vede Nils Liedholm al Torneo Gamper di Barcellona e dice: «È come Falcao». «Un grande, possente atleta, può giocare in tutti i ruoli. Può fare il libero e il centravanti». In quell’occasione Ruud Gullit, l’olandese con le treccine, comincia in difesa e poi gioca a tutto campo dando dimostrazione di potenza, classe e, soprattutto, fin troppa personalità.

Un esempio? Leggete questo aneddoto. 

Ruud arriva a Milano nell’estate del 1987, alcuni mesi dopo vince il Pallone d’Oro, Maradona da Napoli lo attacca: «Bella forza, dietro di lui c’è Berlusconi con la sua televisione e il suo potere economico».

Ai primi di gennaio 1988 a San Siro è in programma Milan-Napoli: i rossoneri vincono quattro a uno, Gullit è devastante, il migliore in campo, segna e fa segnare e a fine partita dirà a Dieguito: scusa, ti serve altro?