La mia personale storia dei titani del calcio parte dagli anni 30, in particolare dalla nostra nazionale bicampione del mondo, nel 34 e 38 e campione olimpica nel 36.

La scelta, legata a miti di cui noi tutti abbiamo solo sentito parlare, ma di cui non molto sappiamo ma anche, come per ogni successiva puntata, per la capacità innovativa che ha saputo, allenatore compreso, rappresentare.

Da Juventino avrei potuto proporre la squadra leggendaria pentascudettata, ma quell'Italia ha, a suo modo, saputo rappresentare meglio il nostro calcio ed il suo contributo nell'innovazione della tecnica e tattica calcistica.

Pozzo rappresentò in quell'epoca un epigono, l'altro fu Chapman, allenatore del grande Arsenal pluriscudettato in inghilterra, dell'innovazione tecnico tattica.

Si abbandonò la piramide rovesciata, 2 difensori, 3 mediani e 5 attaccanti, oggi diremmo albero di natale, ma con vertice opposto alla formula ideata da Ancelotti per il suo Milan, a cui dedicheremo volentieri una puntata,  che praticamente usavan tutti, per passare ad un sistema tattico più organizzato che voleva far fronte all'ideazione di nuove regole come quella del fuorigioco.

La strada scelta da Pozzo, assieme a Carcano, allenatore della Juve pentascudettata, fu il modulo W.W (2-3-2-3), di fatto un embrionale 4.3.3

Ai due terzini di allora, l'equivalente dei nostri difensori centrali, si aggiungeva un centrocampo con un mediano, il "metodista", difensivo, alla Desailly, a protezione dei difensori

Due mediani o ali difensive ai  lati lati del centromediano completavano la W difensiva e costituirono l'embrione di quello che sarebbero poi diventati gli esterni difensivi moderni.

Due trequartisti si occupavano di far regia dietro la batteria delle punte che in quell'epoca era, praticamente per ogni squadra, rappresentato da un tridente con due ali, a dx e sin, ed un centrattacco, la W offensiva.

L'idea italiana, di Pozzo e Carcano, di organizzazione del tessuto tattico del gioco, era mirato ad offrire un valido incremento della densità di uomini tesi ad occupare la propria metà campo, di fatto in fase difensiva si era in 5, ed una rapida risalita, neanche troppo ricercata nella sua tessitura, del campo, in verticale usando centralmente i trequartisti, ed ai lati le ali, per rifornire il centrattacco.

Il Metodo costituirà e l'Italia ne rappresenta in campo internazione ovviamente la massima espressione, il modulo tattico dominante anche rispetto al Sistema WM di Chapman, ne discuteremo nel prossimo capitolo dedicato a due squadre che meglio, in campo internazionale, lo rappresentarono, l'Ungheria di Puskas e il Grande Torino di Mazzola, il Sistema, l'embrione dei moduli tattici a 3, difensori, che trova in Conte uno dei più strenui seguaci.

Indubbiamente la organizzazione tattica elaborata dal duo Carcano - Pozzo era determinante, ma ancor più determinante era la qualità dei calciatori che nel quadriennio in questione lo esaltarono.

Alcuni protagonisti tra i più famosi: Combi, leggendario portiere della squadra del 34; Rava, a guidare la retrogaurdia del 38,  Monti il centromediano della squadra del 34, Meazza e Ferrari a tessere gioco e qualità nella metà campo avversaria sia nella squadra del 34 che in quella del 38, Piola infallibile centrattacco nella finale del 38, giocata contro l'Ungheria del centrattacco Sarosi che ne era il capitano, Schiavio in quella del 34 che contava anche su un'altro nome da leggenda, Orsi.

Di Schiavio e Orsi i gol che condussero alla vittoria del primo mondiale, sulla Cecoslovacchia,10 giugno 1934.

Dell'ala sinistra Colaussi e di Piola, doppietta per ciascuno dei due, i gol del successo sull'Ungheria, 19 giugno 1938

Memorabile soprattuto la semifinale del 38, contro il Brasile, che viene dato per favorito. I verde-oro si erano addirittura permessi il lusso e l’arroganza di acquistare in anticipo i biglietti aerei per Parigi, dove si sarebbe disputata la finale. Il tecnico carioca inoltre, certissimo del successo, lascia riposare in panchina il fuoriclasse Leonidas, soprannominato il «diamante nero» nonché capocannoniere del torneo.

Ma le cose non vanno per il verso giusto: la tattica «metodista» di Pozzo imbriglia i funamboli brasiliani, che non riescono a impensierire più di tanto la difesa italiana. 

Finì 2 a 0 con gol di Colaussi ed un rigore di Meazza, che fu costretto a calciarlo tenendosi i pantaloncini per non restar in mutande, per via dell'elastico rotto.

Era una squadra devastante, quella italiana del ’38, una vera corazzata. Ancor più della pur dotata squadra del 34, che percorse l'intero Mondiale, affrontando i danubiani, Austria e Cecoslavacchi su tutti, da una posizione di outsider

Guidata dal «tenente» Pozzo, l’alpino che allenava la squadra con stile militaresco (inventò lui i «ritiri»), illuminata dal genio e dalla tecnica sopraffina di Meazza, la squadra tra l'olimpiade successiva al 1° mondiale e la campagnia di Francia 38 trovò l'apice del suo ciclo, a cui si aggiunsero  alcuni protagonisti come il micidiale, nelle ripartenze, Amedeo Biavati, ala destra famosa per il suo «passo doppio», e l'inesorabile centravanti Piola, l’attaccante più prolifico nella storia del calcio italiano. 

 A Parigi infatti, contro l’Ungheria, finì, come ricordato, 4-2. Ma il risultato non rende adeguato conto dello sviluppo della partita, che vide invece un predominio quasi assoluto degli azzurri.

Il palleggio elegante della compagine magiara, antenato del tiqui-taca, viene infatti presto sopraffatto dalla mediana italiana.

Il gol del 2-1 poi  fu un vero capolavoro proprio per lo schiaffo in faccia ad un calcio che presumeva maggior tasso tecnico: fitta rete di passaggi nell’area avversaria e bordata conclusiva di Piola.