Quando capita, succede sempre a quest’ora. Il sole comincia il forcing sul mare, le auto iniziano ad entrare nei garage e le TV si accendono sui guai del mondo narrati dai telegiornali.

Capita sempre a quest’ora di sentire la voce di mia madre. Io che mi volto e la vedo sbracciarsi dal balcone. “È tardi! Sali che è quasi pronto!”. E io che chiedo ancora cinque minuti. Un’ultima azione: il dribbling spiazzante, l’assist risolutore, la cagliosa definitiva che si infila all’incrocio e si diventa eroi per una notte, anzi per un tramonto. L’indomani si ricomincia sempre da zero a zero e palla al centro, nel calcio come nella vita.

Non contava che stessi vincendo o perdendo, avevo ancora voglia di correre dietro a un Supersantos. In compagnia di altri dodicenni, sudati quanto me, le ginocchia sbucciate per un fallo infame, il volto rigato dalle dita luride che hanno toccato asfalto, muri di tufo e pallone. Dodicenni con le mamme in attesa per la cena, come la mia. Ma semplicemente prive di un balcone che si affacciava su quel rettangolo irregolare d’asfalto che era il nostro San Paolo, il nostro Bernabeu, il nostro Maracanà. Partite iniziate quando le ombre erano schiacciate sotto i piedi. Partite finite quando le ombre, dopo essersi allungate a dismisura, non c’erano più.

Capita sempre a quest’ora di pensare a quelle ombre stirate sull’asfalto dal tramonto. Ora che su quell’asfalto non ci gioca più nessuno, perché c'è la Playstation e TikTok e Instagram e Quellochevipare. Nessuna voce si leva a quest’ora da quei campetti improvvisati. Nessuno esulta per un goal, nessuno minaccia di andarsene a casa col pallone se non gli viene assegnato un rigore. Nessuna rissa per un fallo cattivo. Niente di niente. 

Capita sempre a quest'ora. Quando capita, sono certo che non sono l’unico a pensarci. In tanti abbiamo vissuto quei tramonti. In tanti abbiamo chiesto alle nostre madri di aspettare ancora cinque minuti, ché la partita bisognava portarla a casa. Un ultimo tiro, mammà. Prepara la doccia, ché adesso salgo. Il tempo di metterla lì, vicino a quel palo arrugginito abbandonato dagli operai dell’ennesimo cantiere non finito. 

Ora la metto a girare lì, mammà.