«Ciò che il cuore conosce oggi, la testa comprenderà domani»

Così diceva il filosofo latino Seneca, nel corso del primo secolo dopo Cristo. Probabilmente queste parole dovranno essere ripetute a lungo ad ogni tifoso juventino per tutta l'estate e anche oltre.
E' di oggi la notizia, infatti, che è praticamente cosa fatta per l'arrivo di Gianluigi Buffon, storico portiere bianconero, al Paris Saint Germain. Contratto di due anni ad 8 milioni a stagione, queste sembrano essere le cifre che percepirà Buffon nella sua nuova, ultima avventura in carriera.

Le domande sono tante nella testa dei tifosi bianconeri in queste ore: era davvero il caso di lasciar partire il più grande portiere della storia del calcio, nonostante egli, come ribadito giovedì in conferenza stampa, desiderasse continuare a giocare? Il fisico è integro, i riflessi da fenomeno ci sono ancora ed il carisma e l'esperienza di un campione che così bene conosce l'ambiente torinese sarebbero ancora serviti al club di Corso Galileo Ferraris. La riconoscenza nel calcio non esiste, men che meno alla Juve, e questo era già chiarissimo dopo il turbolento addio di Alessandro Del Piero; ma se l'attaccante all'epoca sembrava davvero essere arrivato al capolinea, vista la netta parabola discendente evidenziata dal suo ultimo anno con Conte in panchina, forse per Buffon la situazione è differente. L'ex portierone della nazionale è ancora uno dei top nel suo ruolo, tra cui rimane stabilmente tra i primi cinque al mondo.
E se l'età è solo un numero, siglare un anno di contratto in più sarebbe stata la scelta migliore per il club, l'ambiente e per lo stesso Gigi, che ora dovrà partire alla volta di Parigi, dove dovrà confermare di non essere un calciatore finito come evidentemente Andrea Agnelli pensa. Il "pres", come viene appellato dallo stesso Buffon, aveva le idee chiare dalla scorsa estate.
L'arrivo di Szczesny è la prova pratica che conferma la teoria: un anno di apprendistato da secondo portiere con qualche presenza in campionato e Coppa Italia, per poi ereditare la porta del numero 1 di Carrara nella stagione successiva, quella che inizierà ad agosto. Nonostante i numerosi colloqui tra Buffon e Agnelli, confermati dagli stessi interessati, evidentemente non si è arrivati ad un accordo soddisfacente, che ha portato quindi ad un distacco pur sempre meno drammatico di quello dedicato ad Alessandro Del Piero. Conferenza stampa con, appunto, il presidente Agnelli al suo fianco, Chiellini - il prossimo capitano - in prima fila tra i giornalisti, live streaming su Youtube con traduzione simultanea in inglese, diretta su Sky, su Mediaset e ovviamente su Juventus Channel. Tutto bello, tutto molto commovente e toccante al punto giusto, come un saluto ad uno sportivo così grande dovrebbe sempre essere. Poi, sabato, l'ultima partita all'Allianz Stadium, con scene simili a quelle dell'ultima passerella del precedente capitano bianconero nel 2012. Tutto questo sarebbe stato, nella mente del tifoso juventino, la chiusura perfetta, la migliore sotto tutti i punti di vista.

E invece no, l'anno prossimo e forse ancora l'anno successivo, le strade della Vecchia Signora potrebbero incrociarsi con il suo vecchio numero 1 in Champions League, in una sfida che, a prescindere dal risultato, finirà per essere beffarda per entrambi i partecipanti. 

La freddezza e la rigidità con la quale la dirigenza bianconera ha gestito entrambe le situazioni è disarmante. La programmazione, il futuro della squadra viene sempre prima del singolo, a prescindere che il soggetto interessato sia Lichtsteiner, Asamoah, Del Piero o Buffon. La prossima vittoria da ottenere ha sempre la precedenza nelle decisioni del presidente, ultimo della dinastia Agnelli. Solo il campo, la prossima stagione, potrà darci il verdetto definitivo per capire se, come nel caso di Del Piero, la testa debba sempre avere la meglio sul cuore, oppure se, per un volta, seguire la strada dei sentimenti sarebbe stata la scelta migliore.

Nel frattempo, al tifoso bianconero, non resta che la tristezza per una bellissima storia che finisce tra la propria squadra del cuore e il proprio capitano. Ma, per quest'ultimo, il canto del cigno è ancora lontano