Nel cuore dell’Europa, fra due regioni che un tempo si chiamavano Boemia austriaca e Sassonia prussiana, si incontrano i fiumi Eger ed Elba. In questo suggestivo crocevia di storia e natura, tra il 1780 e il 1784 l’imperatore austriaco Giuseppe II fece costruire l’imponente fortezza di Theresienstadt in onore della madre imperatrice Maria Teresa per celebrarne la memoria.
Si trova a 60km da Praga. Ha una cinta muraria di 15 km. Al centro della struttura c’era una piccola fortezza che si trovava proprio sotto una cittadella a forma di stella. Nel 1940 i nazisti invasero la Cecoslovacchia e la cittadella venne  trasformata in un campo di concentramento. Theresienstadt (Terezin in ceco) divenne un nodo di smistamento di ebrei della Cecoslovacchia, dell’Austria e della Germania verso i lager polacchi. Da Terezin, dunque, si andava via con un biglietto di sola andata.
Primo Levi, nel suo bel libro ‘I sommersi e i salvati’ ha scritto che “la felicità assoluta non esiste”, ma “non esiste neanche l’infelicità assoluta”. Qual era lo stato d’animo delle persone ristrette nel lager, come sopravvivevano, cosa alimentava le loro speranze di salvezza? Il cibo costituiva una necessità impellente e la brodaglia passata dai nazisti non era mai abbastanza, quindi una buccia di patata, qualche altro avanzo, trovati per caso, erano appigli cui aggrapparsi per superare la giornata e sperare in quella successiva.
Ma, a Terezin, la voglia di vivere e la speranza erano tenuti in piedi anche dallo sport più bello del mondo: il calcio!
Ma, andiamo con ordine e partiamo dal 1939, l’anno in cui inizia un conflitto che distruggerà milioni di vite umane, tantissime città e tantissime speranze.

1939 L’ANNO FATALE
L’estate del ’39 - l’ultima estate di pace -  in Europa, è scandita da feste, voglia di vivere. Non fa eccezione l’Italia. “Un popolo che esce dall’Ottocento - scrive Marco Innocenti nel suo bel libro ‘I cannoni di settembre’ - e che lentamente cresce, progredisce, si modernizza, ma che sta per giocarsi tutto alla roulette della guerra. ”Anno ricco di eventi sportivi. A Milano, si è disputato, il big match tra Italia e Inghilterra, grande sfida del calcio mondiale. I ‘maestri’ albionici sfidano i campioni del Mondo in carica.
Finisce 2 a 2. Partita passata alla storia soprattutto per il goal di pugno di Piola
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Il Bologna vince lo scudetto e la radio diffonde le canzoni del momento. “Tornerai” è l’hit di quell’anno, quasi un presagio per tanti giovani che entro pochi mesi partiranno per i vari fronti. Il calcio esercitava una forte attrazione in tutti i paesi europei. Migliaia di squadre si contendevano il tifo appassionato di tantissimi tifosi.
L’incanto finisce all’alba del 1° settembre 1939. Alle 4,45 del mattino le truppe tedesche entrano in Polonia. Hitler ha innescato la miccia che incendierà l’Europa.
Non c’è solo la guerra a travolgere le esistenze di milioni di europei. L’orrore più devastante scaturisce dalla follia dottrinaria di un regime che ha ordinato l’annientamento di un popolo, perfettamente  integrato, che viveva pacificamente in Europa colpevole soltanto di appartenere a un’etnia antichissima e professare  una religione diversa. Albert Camus scrisse: “E’ cominciato l’anno delle bestie.”

LIGA TEREZIN
Il 10 giugno 1940 l’Italia entrò in guerra, ma i campionati di calcio non si fermarono. A riprova che, in questo Paese, si può bloccare tutto, ma non le ’partite di pallone’ espressione, questa, che da tempo, era entrata nel lessico quotidiano degli italiani.
Ad onor del vero, però, va precisato che il campionato di Serie A fu bloccato dalla guerra soltanto durante le stagioni 1943/44 e 1944/45. Un altro posto dove, nel corso del conflitto, si continuò a giocare, fu, incredibile a dirsi, il ghetto di Terezin.
Qui avvenne qualcosa di straordinario. Va detto anzitutto che nei vari campi di concentramento i calciatori ebrei erano diverse centinaia. Più di 300 vi trovarono la morte.
Ma, torniamo a Terezin. A Fredy Hirsch, un atleta ebreo, tedesco, venne in mente un’idea suggestiva. “Qui c’è tanta gente – pensò Hirsch – molti hanno giocato al calcio e quindi la materia prima non manca. Perché non organizziamo un campionato e lo chiamiamo Liga Terezin?” Furono così costituite 12 squadre, di sette elementi ciascuno, che prendevano il nome del lavoro che i calciatori svolgevano nel ghetto. Ad esempio “Elettricisti” “Cuochi”, “Macellai”: le partite duravano 70 minuti e si giocavano nel cortile di una caserma con tantissime persone assiepate sui balconi a fare il tifo, compresi moltissimi ufficiali nazisti.
A questo proposito va chiarito un aspetto di un certo rilevo. Ma perché i tedeschi hanno acconsentito all’organizzazione di un campionato di calcio dentro un lager? Se, per i prigionieri, il torneo calcistico era una questione di sopravvivenza, per le SS faceva parte di una strategia mistificatoria e di pura facciata.
Spieghiamoci meglio. Nel 1941, Terezin fu trasformata dai nazisti in un ghetto. In esso vi stiparono ebrei di Austria, Cecoslovacchia, Austria e Germania con una particolare caratteristica: rappresentavano l’élite ebraica mitteleuropea, ovvero professionisti di vari settori scienziati, musicisti, scrittori e atleti di livello, L’intento dei carcerieri era quello di presentare un modello di insediamento ebraico con annesse attività culturali e sportive. Ad esempio, durante le ispezioni della Croce Rossa Internazionale. Su insistenza del sovrano di Danimarca e del governo di Copenaghen, i nazisti consentirono che una delegazione della Croce Rossa danese visitasse l'insediamento: prima si premurarono di restaurare gli edifici più malmessi, di tinteggiare le mura e di piantare delle aree verdi. Inoltre, per alleviare l'insopportabile sovraffollamento, oltre 17.000 reclusi furono spediti in fretta e furia ad Auschwitz. Il 23 giugno 1944, tre membri dell'associazione umanitaria giunsero a Terezín e un incontro di calcio si tenne appositamente per intrattenerli: il trucco funzionò e i visitatori se ne andarono rassicurati sulle intenzioni benevole dei nazisti.

UN TRISTE CALCIOMERCATO
Si svolgeva ogni lunedì mattina. Lo scopo era quello di sostituire i giocatori morti o deportati nella settimana precedente. Come abbiamo accennato prima, a Terezin, c’erano molti calciatori professionisti. Jirka Taussig, ad esempio, portiere della nazionale cecoslovacca. Furono in molti a volerlo in squadra, ma alla fine Taussig decise di giocare per la squadra degli “Abiti Usati”. «Eravamo le stelle del campo, un modello per i ragazzini - ha ricordato Taussig molti anni dopo -, davamo loro una speranza e una piccola scintilla vitale in un posto dominato dalla morte». Un altro nome famoso del calcio ceco Pavel Mahrer giocò con “I Macellai. Aveva giocato nel DFC Prag. Venne detenuto nel campo dopo l’annessione dei Sudeti. Sopravvisse all’inferno di Terezin e si trasferì negli USA dove morì nel 1985.
La squadra “Reparto per la cura dei bambini” vinse  il primo campionato nel 1942. Per premio, l’allenatore diede ad ogni giocatore mezzo limone a testa, un’autentica leccornia in un luogo come Terezin.

Nel 2012, un giornalista israeliano, Mike Schwartz, ha girato un documentario sullo straordinario campionato disputato nel lager ceco. Scoprì così che vi era un’autentica organizzazione della Liga con arbitri professionisti e risultati delle gare pubblicati ogni settimana dai giornali del campo.
Il calcio era questione di piacere, e ci serviva un po’ di piacere nelle nostre vite disperate” - racconta nel film Tomas Brod, che a 13 anni si trovò a Terezin -.
“Era importante non perdere la fiducia in noi stessi e la nostra dignità. Era pazzesco, ma era la realtà."