Uscita dello stadio Castellani: conclusosi il derby Empoli-Fiorentina, la giornalista di Toscana Tv, Greta Beccaglia, è in collegamento con lo studio per intervistare i tifosi e raccogliere le loro osservazioni, quando uno di loro le concede un bel regalino. Ebbene sì, la donna ha dovuto subire una molestia in diretta tv mentre faceva il suo lavoro. "Non puoi fare questo!"- dice Greta- con un’aria di percepibile controllo e mediazione, che avrebbe messo sicuramente da parte, se non fosse stata davanti a così tanti telespettatori.
Indignazione e impotenza condivisa verso l’ennesimo comportamento maschilista, che, speriamo, prima o poi, cesserà di essere stigmatizzato come goliardata.
Non siamo qui per parlare di violenza contro le donne, quella è una battaglia che un giorno vinceremo, ma per focalizzare l’attenzione su alcuni paradossi del mondo del pallone.
Coinvolgente ed estetico, unificante e passionale, il calcio è l’istituzione delle emozioni, ma porta con sé tutto il “fango” della società a volte. Perché? E poi, dove risiede quest’altra faccia della medaglia? L’evento sportivo non è solo disciplina e puro agonismo, concentrazione e determinazione, gioco e divertimento, ma è anche locus coronato da una pratica sociale antichissima che le fa da cornice: il tifo. La parola deriva dal greco "typhos", che significa "fumo", poiché gli spettatori delle olimpiadi celebravano le vittorie dei loro prediletti attorno a un falò. Tale fenomeno è il contenitore e il creatore di una sorta di idealtipo umano: il tifoso, lo spettatore che, nella testa di tutti, sventola striscioni e intona cori alla propria squadra sugli spalti.
Ma questo tipo umano è molto più di un semplice stereotipo: è la traduzione delle tensioni che caratterizzano la spettacolarizzazione dello sport, è la violenza delle emozioni che accompagnano una partita, è l’intensità del dramma che va in scena sul campo. Insomma, a prevalere è l’emotività, e nella storia del calcio e dello sport, spesso, è stato difficile trovare l’equilibrio tra ragione ed emozione. L’essere umano è complesso e riversa nella tifoseria tutto quello che tale complessità comporta: senso di appartenenza, violenza, sofferenza ed esultanza.

1885, Inghilterra. Si documentò il primo caso di violenza negli stadi al termine dell’amichevole tra Preston North End e Aston Villa. Veniva inaugurata la fase embrionale del football hooliganism: la violenza competitiva tra opposti sostenitori organizzati, fatta di rivolte improvvise e scazzottate.
Negli anni ’70 trova spazio anche in Italia il fenomeno degli Ultras, proprio durante l’apogeo della violenza: gli anni di piombo, la lotta armata e il terrorismo.

Sono stati tanti gli episodi di violenza fisica nella storia del calcio, si sa, l’aggressività ha tante declinazioni, e una di queste è la discriminazione razziale verso giocatori. Tra l’altro è recente un episodio di questo tipo e la vittima è stata il giocatore della Roma Felix Afena-Gyan durante la partita contro il Cagliari il 27 ottobre scorso.Il razzismo ha vinto. Chi offende può sempre tornare allo stadio e questo dimostra che sono queste persone ad aver vinto". Queste sono le parole amare rilasciate durante un’intervista da Toni Rudiger, che riassumono il focus della questione: il tifoso dovrebbe amare il giocatore che elogia, dovrebbe rispettare l’avversario, come lo sport insegna, e dovrebbe giovare della comunicazione di cui può godere.
Greta quella sera stava condividendo con gli spettatori le loro emozioni per rilasciarle e comunicarle al pubblico a casa, ma ancora una volta la declinazione aggressiva del tifoso tipo ha prevalso su tutto, attraverso una modalità inedita, tra l’altro proprio il 25 Novembre.