Ieri ho letto un articolo nel quale il giornalista Mino Fuccillo ha scritto che grazie alle norme di legge, sono solo 5 milioni gli italiani che “pagano” le tasse e i restanti 23 milioni di contribuenti ne “approfittano” pagando il poco previsto. A queste due categorie citate dall’illustre penna salernitana, io aggiungerei gli evasori totali, che di mestiere fanno i lavoratori in nero, a volte costretti per necessità, altre volte per arricchirsi truffando lo Stato e i cittadini onesti.
La cultura del non pagare ha le sue radici tra la fine degli anni '40 e i primi anni '50 del secolo scorso, quando un’Italia distrutta sotto ogni punto di vista dal secondo conflitto mondiale e da una guerra civile che mise sanguinosamente padri contro figli e fratelli contro fratelli, doveva in qualche modo essere ricostruita.
Fu in quel momento così particolare e complicato che i politici della da poco nata Repubblica Italiana incominciarono volutamente a chiudere un occhio in alcuni settori dell’economia (in alcune zone d’Italia tutti e due).
Occorreva dare alla gente la possibilità di dimenticare, di fare la pace con quel Paese che, a causa di una folle entrata in guerra unita ad un’ancor più folle alleanza, aveva portato alla morte tanti dei suoi figli e a un impoverimento senza eguali nella storia dell’unità nazionale.

In questi circa 75 anni di democrazia repubblicana, durante i quali si sono succeduti governi di tutti i colori e di tutte le sfumature immaginabili, nulla è cambiato, anzi, mi permetto di asserire che tutto è peggiorato, il non pagare è diventato una sorta di status symbol, una nuova lotta sociale che ha sostituito quella operaia contro i cosiddetti padroni con quella dei liberi professionisti contro lo Stato ingordo, cattivo ed ingiusto. Il risultato? Chi può non paga (ma i servizi e gli aiuti li pretende).

Ora veniamo alla gestione della pandemia SARS-CoV-2 da parte del governo italiano, al legame tra essa e la cultura del non pagare, ai semafori utilizzati per aprire o chiudere questo o quell’altro settore, ai famosi ristori promessi e in buona parte mantenuti, a chi ne ha diritto e chi no.
In molti ci chiediamo perché tutti i Paesi di Serie A stanno adottando in questo momento la tattica del lock down e noi quella dei semafori. La risposta che subito mi viene in mente è: perché siamo un Paese di serie B, perché non abbiamo soldi a sufficienza da dare a tutti per farli stare giustamente a casa senza lavorare in attesa che tutto sia risolto. Perché in Italia la politica ha lasciato fare per poter fare, ha concesso di rubacchiare caramelle per a sua volta rapinare il futuro di tutti noi, divorandosi, intascandosi le risorse del popolo, per il popolo. Perché al contrario di quello che si dice, c'è una grande fetta della popolazione che paga poco o niente (e non mi riferisco a chi ha stipendi pari o inferiori a mille euro), e chi non paga le tasse non ha diritto ad essere risarcito, perché i ristori, giusto o sbagliato non spetta a me stabilirlo, spettano solo a chi ha un reddito dichiarato.

In questi giorni sto parlando con tutti quei Paesi con i quali per diversi motivi ho contatti, ieri per esempio con l'Ucraina, Paese economicamente di serie C. Là c'è tutto aperto, anche i divertimenti notturni. Per forza c'è tutto aperto, mi è stato detto, non hanno un centesimo da dare a nessuno, “risarciscono” la gente concedendole di fare quello che vuole.
Intanto in Australia il lock down dell’ultimo trimestre 2020, il controllo degli ingressi e l’altissimo numero di tamponi per la ricerca e l’isolamento dei nuovi contagi hanno (quasi) sconfitto il virus, ed ora, durante la campagna vaccinale per sconfiggere definitivamente il nemico, vivono liberi e sereni, riempiono gli stadi durante gli Australian Open di tennis, lavorano tutti e non muore (quasi) più nessuno di Covid 19.
Chi è causa del suo mal pianga se stesso.