Il mestiere del calciatore, più di altre professioni sportive, è sempre di più un mestiere che si tramanda di generazione in generazione. In particolare, negli ultimi anni, il calcio ha proposto diversi figli d’arte che, cresciuti nel mito di padri dalle carriere gloriose, decidono a loro volta di seguirne le orme. Se si può tramandare di padre in figlio l’attività di idraulico, pasticcere o commercialista, perché stupirsi cha la cosa accada anche nel calcio? Nella teoria non vi è nulla di strano. Nella pratica il risultato non è però così scontato.
Innanzitutto, non è detto che il talento e le doti fisiche si trasferiscono tali a quali. In secondo luogo, qualora questo accada, non è di per sé garanzia di successo. Spesso il paragone con il genitore plurititolato è un fardello troppo pesante da gestire per un ragazzo che deve dimostrare il proprio valore. Inoltre, il DNA non basta, servono dedizione, lavoro e forza mentale per raggiungere determinati risultati.
Il primo ad esserne convinto è Cristiano Ronaldo. Nell’intervista a margine della premiazione dei Globe Soccer Awards tenutosi a Dubai, dove il portoghese ha ritirato il premio come Miglior Calciatore del Secolo, il talento di Madeira ha parlato del figlio Cristiano Junior e della eventualità che un giorno possa anche lui diventare un calciatore di fama mondiale. A detta del padre il ragazzo, che gioca nell’Accademy della Juventus, ha del potenziale, un’ottima struttura fisica, velocità e un buon dribbling. Il fuoriclasse portoghese ammette però di essere duro con il figlio e di non approvare alcuni suoi comportamenti: Mi arrabbio e ci litigo quando mangia patatine fritte e cose simili, lui sa che non mi piace questa cosa. A volte quando è a casa gli consiglio di fare il tapis roulant, di correre un po' e poi di fare un bagno con l'acqua fredda per recuperare. E lui si lamenta, non vuole, dice l'acqua è troppo fredda. Io lo capisco. Ha soltanto dieci anni, ma dipende tutto da lui”. Come a voler precisare che il patrimonio genetico e il talento da soli non bastano, sono il lavoro e il sacrificio a costruire il successo.

Cristiano Junior è molto giovane e ha ancora qualche anno davanti a sé prima di dover scegliere tra pallone e patatine fritte. Altri invece la scelta l’hanno già fatta. La famiglia Zidane, ad esempio, potrebbe mettere su una squadra di calcio a 5: Enzo il maggiore gioca all’Alves, Luca fa il portiere al Santander, Theo ed Elyaz giocano nelle giovanili del Real Madrid. Anche nel nostro campionato non mancano esempi illustri: il Cholito Simeone, Federico Chiesa e Daniel Maldini. Per quest’ultimo, poi, il fardello pesa doppio: sono due i giganti con cui deve confrontarsi, il padre Paolo e il nonno Cesare. Non un compito facile per il diciannovenne trequartista del Milan. Al pari del padre, che in 25 anni di carriera ha vestito solo la maglia del Milan, anche lui sembra volere una carriera in rossonero. Al Milan ha mosso i primi passi, prima nelle giovanili e poi nella primavera, dove si è messo in mostra tanto da meritare l’ingresso in squadra maggiore nel settembre di quest’anno. Paolo Maldini, direttore dell’area tecnica del Milan, ha parlato così del figlio ai microfoni di Dazn: Daniel? Avere il papà tra le scatole non è piacevole, lo so bene anche io. So bene che il momento più brutto è quando torni da una partita in macchina con tuo papà e ti dice cosa dovevi fare. Anche mio figlio me l’ha detto più volte.” A 19 anni anche solo potersi allenare al fianco di campioni del calibro di Ibrahimovic è un’occasione d’oro. Ma il ragazzo ha anche bisogno di giocare e fino ad ora non ha trovato spazio (sole tre presenze). E pensare che il padre a 16 anni era già titolare nel Milan di Liedholm. Ingiusto fare paragoni? Vero, ma è inevitabile. Forse sarebbe più saggio per lui lasciare momentaneamente il Milan, fare la gavetta in qualche squadra minore, e perché no allontanarsi dall’ombra ingombrante del padre/direttore sportivo. Solo così avrà una chance di continuare la gloriosa epopea dei Maldini.

Restando in orbita Milan, anche il figlio di Ruud Gullit ha seguito le orme del papà. Maxim Gullit sembra avere le stimmate del predestinato, infatti ha natali illustri sia da parte paterna che da parte materna. Il figlio dell’ex stella del Milan e della nazionale olandese sembra quasi un esperimento da laboratorio: ai geni talentuosi del padre si aggiungono quelli della madre, Estelle, nipote dell’immenso Johan Cruijff. Maxim, classe 2001, attualmente milita nella squadra Under 21 dell’AZ Alkmaar. Il giovane difensore non ha le treccine del padre ma di lui si dice un gran bene. Chi vivrà vedrà, ma intanto non sono poche le squadre di Premier League che seguono il ragazzo in attesa della sua definitiva consacrazione.

Altro giocatore dai natali illustri e dal futuro potenzialmente roseo è Marcus Thuram, figlio di Lilian, ex difensore di Parma e Juventus. Attaccante cresciuto nelle giovanili del Sochaux, Marcus ha debuttato in Ligue 1 nel 2017 con il Guingamp, dove in due stagioni ha collezionato 62 presenze e 12 gol. L’ultima stagione in Francia, disastrosa per la sua squadra che a fine campionato è retrocessa, è stata invece molto positiva per lui a livello individuale. La cosa non è sfuggita al Borussia Mönchengladbach che nell’estate 2019 ha acquistato il cartellino del talento di casa Thuram, gioiellino della scuderia di Mino Raiola. Marcus, a quanto pare già nel mirino del Milan, si è di recente però reso protagonista di un brutto gesto in campo durante la sfida con l’Hoffenheim, quando dopo un diverbio con Stefan Posch, ha sputato in faccia all’avversario rimediando un inevitabile cartellino rosso. Per lui una lunga squalifica e, cosa forse peggiore, la condanna del padre: "È del tutto comprensibile quello che sta succedendo sui media – commenta il campione del mondo di Francia ‘98 - Io stesso stavo guardando la partita, sono rimasto estremamente scioccato, e mi sono perfino chiesto se fosse davvero mio figlio". Uno scivolone, è vero, che senza quel cognome probabilmente non avrebbe avuto tanta risonanza. Ma che dimostra quanta strada debba ancora fare il giovane Thuram per affermarsi ai massimi livelli.

“Un figlio può prendere dal padre il naso e gli occhi e persino l’intelligenza, ma non l’anima. L’anima è nuova, in ogni uomo”. Lo scriveva Hermann Hesse e credo avesse ragione. Per fortuna, altrimenti non saremmo altro che i cloni dei nostri genitori. Quindi, sebbene i paragoni siano inevitabili, non possiamo aspettarci di rivedere in questi ragazzi i tratti che abbiamo imparato a riconoscere nei loro padri; e a loro volta, questi figli d’arte devono riuscire ad emanciparsi dal cognome che portano per costruire la propria identità e fare emergere la loro anima, unica e irripetibile.

Chiara Saccone