Nella storia dell'umanità ci sono uomini che contro ogni aspettativa sono destinati a entrare nella storia. Uomini diversi, che entrando in collisione con mondi totalmente differenti da quelli di provenienza, creano qualcosa di magico. Come la storia di Sven-Göran Eriksson, svedese di nascita ma romano di adozione: perchè se in un giorno qualsiasi decideste di girare per Roma (sponda laziale ovviamente) e chiedere di Sven-Göran, non ci sarà laziali che non si fermi volentieri a parlare di lui per ore, dell'uomo che più di chiunque altro ha preso una squadra di campioni portandola sul tetto del mondo.

Subito nella storia

La carriera di Sven da allenatore inizia ovviamente in patria, alla guida del Degefors come allenatore in seconda di una squadra che attualmente milita nella seconda divisione svedese. Il suo talento non passa inosservato, e due anni dopo viene chiamato alla guida di una squadra ben più prestigiosa, il Göteborg. I successi arrivano subito: nei primi due anni, due coppe di Svezia, e al terzo anno, dopo la vittoria del campionato e della terza coppa nazionale, arriva la ciliegina sulla torta. Eriksson è stato infatti il primo allenatore a portare una squadra svedese al successo europeo, più precisamente in Coppa Uefa, ai danni dell'Amburgo. Ci sono voluti solamente tre anni per entrare nella storia. Come ogni miglior giocatore, Sven è un predestinato, e una panchina "importante" è solo questione di tempo: si accorge infatti di lui il Benfica, con cui arriva la firma dopo una lunga trattativa. Passa così dalla fredda Göteborg alla mite Lisbona, patria appunto del Benfica. In Portogallo per Goran non ci sono problemi di adattamento: vince campionato e coppa di Portogallo al primo anno, e in Europa si ferma in finale di Coppa Uefa. Dopo il Portogallo, l'allenatore svedese prova ad approdare in Italia, con tre anni alla Roma e due alla Fiorentina, ma senza ottnere gli stessi successi delle stagioni precedenti, portando comunque a casa due Coppe Italia, una con la Roma e una con la Sampdoria. La vera svolta arriva nel 1997, quando approda di nuovo a Roma, stavolta però su sponda laziale.

Lo svedese romano

Siamo all'alba della stagione 1997-1998, e le intenzioni del presidente Sergio Cragnotti sono chiarissime: costruire la miglior Lazio possibile, una Lazio da scudetto. D'altronde, quella del '97-98, è stagione spartiacque dei biancocelesti, che vengono quotati in borsa e con pesanti investimenti rafforzano la rosa con acquisti del calibro di Matìas Almeyda, Alen Boksic, Vladimir Jugovic e Roberto Mancini, perdendo però a gennaio Beppe Signori, ceduto alla Sampdoria. L'allenatore svedese si ritrovò dopo il primo giro di boa a lottare per lo scudetto, ma dopo un drastico calo, la sua squadra concluse in settima posizione, consolandosi però con una Coppa Italia conquistata ai danni del Milan. Insomma, sembra che Sven-Goran Erikson sia nato per vincere la coppa nazionale di ogni Paese. Ancora una volta, inoltre, trovò la sconfitta in una finale di Coppa Uefa, con un tre a zero a favore dell'Inter al Parc des Princes di Parigi. Un settimo posto e una Coppa Uefa appena sfiorata non misero un freno alle ambizioni del presidente biancoceleste, che nella stagione successiva decise di portare alla corte del suo allenatore altri sette acquisti pregiati: Salas, Stankovic, Mihajlovic, Sergio Conceicao, Ivàn De La Pena, Fernando Couto e Christian Vieri. Con questi nuovi nomi una Lazio davvero in versione corazzata comandò la classifica per gran parte del campionato, salvo poi cedere al Milan, concludendo al secondo posto, ma consolandosi con la vittoria della Coppa delle Coppe contro il Maiorca. La Lazio da scudetto stava, passo dopo passo, prendendo sempre più forma.

La consacrazione

Migliorando di anno in anno, Sergio Cragnotti decise, all'alba della terza stagione consecutiva con Sven-Goran Erikson alla guida della Lazio, di compiere un ultimo sforzo, cercando di arrivare ad ogni costo al tanto agoniato tricolore. I biancocelesti si presentarono al via con parecchi stravolgimenti: a Formello arrivarono infatti Juan Sebastian Veron, Nestor Sensini, Simone Inzaghi e Diego Pablo Simeone, salutando però il bomber Christian Vieri, passato ai rivali dell'Inter. Che questa squadra sarebbe finalmente arrivata lontano, qualcuno lo intuì già ad inizio stagione, quando il 27 agosto 1999, allo stadio Louis II di Monaco, i biancocelesti alzarono al cielo la Supercoppa Europea, battendo i campioni d'Europa del Manchester United di Alex Fergusson, che poi dirà: "Quella Lazio è stata la squadra più forte che abbia mai affrontato". Inizia da qui la consacrazione definitiva come allenatore di Sven-Göran Eriksson, che raggiungerà il culmine con uno scudetto conquistato all'ultimo respiro dell'ultima giornata, in una maniera (con il pareggio sotto il diluvio della Juventus a Perugia) che rimarrà per sempre nei cuori dei tifosi laziali.

L'ultimo trofeo con l'aquila

Dopo la conquista del tricolore, quella tra l'allenatore svedese e il popolo laziale, sembrerebbe una storia d'amore destinata a durare in eterno, o perlomeno per molto altro tempo, sopratutto dopo l'arrivo di un altro ennesimo trofeo, all'alba della quarta stagione di Eriksson sulla panchina laziale: la Supercoppa Italiana. Dopo la conquista del trofeo però, l'allenatore comunicherà alla presidenza biancoceleste di aver accettato l'incarico della Nazionale inglese, e consegnando le dimissioni il 9 gennaio 2001, una data di certo non casuale.

La Football Association e il Manchester City

Accettato l'incarico della Football Association, Eriksson raggiunse subito buoni risultati: si qualificò al Mondiale 2002, arrendendosi ai quarti contro il Brasile di Scolari, che lo batterà anche due anni dopo all'Europeo 2004, stavolta con il Portogallo, sempre ai quarti di finale. La stampa inglese lo criticò duramente, e lui, all'alba del Mondiale tedesco del 2006, annunciò le sue dimissioni alla fine della competizione. Come se fosse una vera e propria maledizione, sarà un'altra volta Scolari a buttare fuori gli inglesi, ancora una volta ai quarti di finale. Tornerà ad allenare appena un anno dopo, insidiandosi sulla panchina del Manchester City, ma senza raggiungere quei risultati che un tempo sembrava potesse ottenere con qualsiasi mezzo: un anonimo nono posto gli costò l'esonero a fine stagione. L'apice toccato alla guida dei biancocelesti sembra non trovare replica.

L'ultima spiaggia

Nonostante il benservito del Manchester City, lo svedese non riesce a separarsi dal calcio, e il 3 giugno 2008, accetta le pressanti offerte della federazione messicana, che lo vuole a tutti i costi alla guida della Nazionale per raggiungere la qualificazione al mondiale di Sudafrica 2010, obiettivo che però non riuscirà a raggiungere, arrivando al licenziamento nell'aprile 2009. Prenderà comunque parte al Mondiale grazie alla chiamata della Nazionale ivoriana: la Costa d'Avorio infatti, all'alba del Mondiale era rimasta senza C.T, ed Eriksson accetta di assumersi le responsabilità, non riuscendo però a superare la fase a gironi. L'ultima vera occasione per tornare ai fasti di un tempo arriva nell'ottobre 2010, quando a bussare alla sua porta è l'ennesima squadra: questa volta si tratta del Leicester, alla ricerca di qualcuno che possa salvare la squadra dalla possibile retrocessione, obiettivo che stavolta verrà centrato. Confermato anche per la stagione successiva, lo svedese verrà esonerato nell'ottobre 2011, causa il pessimo avvio della stagione 2011-2012. Da qui si susseguiranno esperienze in Cina, in Inghilterra con il Notts County e successivamente in Arabia Saudita, alla guida dell'Al-Nasr, senza più rientrare nel giro "delle grandi", dove Sven-Göran Eriksson ha dimostrato di poter tranquillamente vincere con ogni mezzo a disposizione.