Tra le viuzze e i campi di Milanello, da qualche anno si aggira un personaggio strano, ambiguo, curioso. Magrolino, il volto olivastro e tratti tendenti al medio oriente, questi si muove silente, schivo. Non caccia parola, nemmeno sotto tortura, e preferisce evitare il confronto. A guardarlo, sia dentro che fuori dal campo, nemmeno il più speranzoso gli darebbe più di cinque lire. Eppure, eccolo lì, sempre presente, sempre convocato, sempre schierato. Quasi sotto la vesti nasconda un piffero, un magico flauto degno dei racconti de Le Mille e Una Notte, come un tetro incantatore di serpenti. Le sue sinfonie, guarda caso, sono in grado di ammansire anche i tecnici più pretenziosi, di zittire i trainer dal pensiero coriaceo e di convincere coloro che, uno come lui, non lo schiererebbero nemmeno come raccattapalle. Solo così potrei descrivere un enorme punto di domanda, nato Jesùs Joaqùin Fernàndez Sàenz de la Torre, noto con il nomignolo di Suso. Giunto nel silenzio, anzi nell’anonimato, questo ragazzetto proveniente da Cadice, profondo sud della Spagna, ricorda più una recluta dei giannizzeri del sultanato, piuttosto che una possibile promessa calcistica.
Eppure chi lo conosce da vicino, al momento del suo arrivo a Milanello, crede fermamente nelle sue capacità. Buon controllo di palla, velocità di pensiero e, soprattutto, un piede mancino molto preciso. Questo è quello che raccontano e questo è quello a cui tutti credono o, meglio, vogliono credere. Al suo arrivo infatti, il Milan sta attraversando un periodo di declino. I grandi campioni come Kakà, Shevchenko, Rui Costa sembrano un ricordo che sta andando, via via, con lo sfumarsi, motivo per cui, l’arrivo del furetto andaluso comincia a scaldare, seppur timidamente, i cuori. 

La prima stagione dice ben poco di questo neo acquisto. È molto giovane, forse ancora troppo acerbo per il calcio dei grandi livelli. Viene dal Liverpool, è vero, ma i Reds sono in ritardo rispetto a quanto erano nel 2005, in anticipo rispetto a quello che saranno nel 2019, anni in cui hanno vinto la Champions League. Motivo per cui, il giovincello di Cadice viene spedito in prestito al Genoa, per vedere se è in grado di sbocciare. Finalmente, qualcosa di questo ragazzo comincia a vedersi sotto la Lanterna e, per questo, Adriano Galliani lo riporta all’ovile. Nella stagione che segue, bastano due gol nel derby, tra l’altro terminato con tanto di vittoria, per fargli toccare, anche se solo per istante, l’Olimpo degli Dei milanisti.
È solo un’illusione, purtroppo per lui e per i tifosi milanisti.
La prima illusione di cui egli stesso fu fautore e vittima, ma dalla quale, da quel momento, nessun tecnico rossonero è mai più riuscito a risvegliarsi. Montella, Gattuso, Giampaolo, Pioli. A loro è sufficiente un’occhiata, intercorsa tra l’altro durante un semplice allenamento, per lasciarsi prendere dalla velenifera melodia del suo flauto. L’incantatore di serpenti è infatti abile, ammaliante. Non parla molto, come abbiamo già detto. Lascia che a parlare sia il suo piffero, affascinante e blasfemo al tempo stesso, le cui note si tramutano in corde solide e strette, dalla cui morsa è impossibile fuggire. Nessuno sa esattamente dove abbia imparato questa stregoneria dato che, coloro che non possono udirne la melodia, di certo non sono affascinati dal suo modo di fare calcio. Rimane quasi da credere veramente che Jesùs sia realmente un apprendista stregone, di quelli veri, di cui si narra nelle favole del focolare per spaventare i bambini. Altrimenti non si spiegherebbe questa sua capacità di rimanere, nonostante di tempo ne sia passato, nonostante numerosi siano gli allenatori che si sono succeduti sulla panchine del Milan, sempre tra i titolari. Ma proprio come avviene in quelle favole notturne, anche il mago più abile, prima o poi, viene smascherato e poi sconfitto

Che cosa c’è nell’ostinazione di tenere questo giocatore normale, non definiamolo per forza scarso, all’interno degli undici di partenza? Dopo Gattuso e Giampaolo, anche Pioli sembra essere caduto in questa trappola. In alcuni momenti pare riuscire a combatterla. “Forse è giunto il momento che riposi” pare sussurrare. Ma poi, immancabilmente, ricade nel torpore dello stornello “No, no, è l’unico che mi dà garanzie”. I tifosi si strappano i capelli, per chi ancora ne ha. Quali garanzie? Che diamine vedi in lui? Le urla, in questo senso, si sprecano, rimanendo però inascoltate.
Sembra una maledizione impossibile da rompere, ma forse c’è dell’altro. C’è qualcosa che in molti non riescono a vedere, una volontà che va oltre quella di un allenatore illuso. Ed è qui che l’apprendista stregone Suso, il giannizzero sufi di Cadice, ritorna a essere vittima del suo medesimo, forse inconsapevole, inganno. Infine egli ha trovato la sua degna nemesi, fredda, glaciale, estremamente logica, con l’attenzione rivolta solo al business. Mentre Pioli infatti si prende gli insulti da ogni dove sugli spalti, da lassù, dall’apice della torre d’avorio della dirigenza, i sommi capi gli dicono “Vai, vai pure. Schieralo, non ci pensare. Siamo con te”. No, non sono semplicemente impazziti e nemmeno c’entrano i fumi della stregoneria del giovane incantatore di serpenti. Nei loro pensieri c’è ben altro. Essi accettano, anzi forse quasi obbligano l’allenatore a schierarlo. Così, lo stregone Suso continua felice a suonare la sua magica melodia, inconsapevole che, mentre lo fa, i suoi piedi si stanno inconsciamente direzionando verso la porta, quella di uscita questa volta.
Perché Suso ha valore persino nelle menti dei più alti dirigenti, quelli provenienti da oltre oceano, i Singer. Sì, ma quale valore? Quello dimostrato sul campo, o meglio, quello illusorio mosso e proiettato dal suono del suo piffero maledetto?
No. Da buoni anglosassoni, il valore ha un solo colore e un solo suono: quello dei soldi. Il Milan ha infatti bisogno di soldi e giocatori da vendere non ce ne sono molti in rosa. Sì certo, si potrebbe pensare a Donnarumma. Chi, chiedono i Singer che di calcio non ci capiscono molto. Quello che ci salva ogni partita e ha evitato che il match di Roma finisse con un passivo peggiore? No, no, è un investimento, non un costo. Allora perché non Romagnoli? Ma anche qui, gli americani hanno le idee chiare. Stiamo parlando di cessioni, rispondono, non di svendita

Non rimane che Suso, dunque. Non ha fatto molto, ma piace o può piacere. Di certo non si venderà a 40 milioni, come prevede la clausola sul suo contratto. Potrebbero bastarne però 25, anzi magari anche solo 20. Sono sempre soldi e soldi che possono far comodo, se ben investiti in un giocatore di solida esperienza a gennaio. Certo, se queste sono le prestazioni e se gli spalti continueranno a rumoreggiare, il rischio di svalutarlo ancora di più diventa importante e gravoso. Il campo dice che qualche settimana in panchina non gli farebbero male, ma così facendo venderlo a gennaio diventerebbe mera utopia. No no, Suso have to play, Suso deve giocare. Chissà, magari fortuna vorrà che lo l’apprendista stregone andaluso farà qualche assist, magari segnare un golletto qui o là, nel frangente che ci divide dall’inizio del calciomercato. Magari cercherà di ammansire le folle, con un’improvvisa ouverture del suo piffero, lanciare il suo ennesimo incantesimo per far si che quella porta, quella d’uscita, torni a richiudersi.
Perché solo nella terra dei disperati, maghi e stregoni trovano fortuna e rifugio. Uscire da quella porta, essere cacciato fuori dalle mura della città a colpi di forcone e torce infuocate, significherebbe uscire dal mondo del calcio, quello che conta o potrebbe contare. Suso havo to play, Suso deve giocare, perché se ne possa finalmente andare, per buona pace di allenatori e tifosi per motivi alterni. Questa è la volontà della società, forse. E per quanto sia grondante sangue, quello di coloro che amano questa squadra, è insindacabile. Forse è inutile, magari persino ingiusto lamentarsi.
Forse queste poche, ma pur sempre troppe, partite che mancano al calciomercato sono l’unica possibilità di vedere la fascia destra liberarsi dal suo ultimo imperatore illegittimo, lo stregone andaluso.
Appena due mesi, appena dieci partite. Un’inezia, a ben pensare quanto i tifosi hanno patito questo strano, mai compreso e poco amato “susocentrismo”. Un’infinità per coloro che da tempo strepitano e soffrono di fronte a una scelta che oggi pare essere divenuta una follia stantia. Non in un solo uomo possono risiedere le colpe di un’intera squadra, ha detto Pioli. Ha ragione. Ma dopo anni, forse nell’addio di un uomo può nascondersi un primo seme di rinascita, la fine di una gerarchia mai compresa e mai funzionata.