"Questo capitolo non può essere improntato che a un senso di pessimismo. Il Trattato non comprende alcuna clausola che miri alla rinascita economica dell'Europa, nulla che possa trasformare in buoni vicini gli Imperi Centrali disfatti, nulla che valga a consolidare i nuovi Stati d'Europa, nulla che chiami a novella vita la Russia; esso non promuove neppure, in alcuna guisa, una stretta solidarietà economica fra gli stessi Alleati" - J.M. Keynes

Con queste parole John Maynard Keynes, uno dei più illustri e importanti economisti della storia del novecento, definì il Trattato di Versailles. Una critica aspra e disillusa, che tra le sue righe nascondeva una tremenda verità. Redatto allo scopo di mettere la parola fine al primo conflitto mondiale, forse la prima vera guerra a mercificare l'uomo a mero mezzo sacrificabile sul campo, tale trattato in realtà fu forse uno dei semi infetti che portarono al secondo e ancor più tremendo conflitto globale. Keynes, che fu chiamato a Parigi al Consiglio dei Quattro, fu così disgustato dalla prospettiva delle sanzioni che sarebbero poi state realmente inflitte agli sconfitti, che si alzò dal tavolo disgustato. Egli infatti sapeva che quel conflitto si poteva chiudere solamente attraverso un solidale, magari anche rigido, avvicinamento delle parti. E, soprattutto, che quelle sanzioni fratricide alla fine sarebbero state pagate dai popoli e dai meno colpevoli. Purtroppo tal visione fu a dir poco profetica. I debiti che la Germania andò a caricarsi sulle spalle gettò un intero popolo sul lastrico. Con la crisi economica, aggravata dalla depressione del '29 per la quale ci voleva una carriola di marchi per pagare un chilo di pane, le divisioni e gli asti si fecero estremi. L'odio nei confronti dei "nemici", in patria e all’estero, crebbero e furono terreno fertile per gli estremismi da cui nacque la follia genocida di Adolf Hitler.

Lo spirito di vendetta purtroppo è un leitmotiv che accompagna la storia dell'umanità sin dai suoi albori. Guerre, conflitti, genocidi sono stati perpetrati affinché ci si potesse rivoltare contro una parte avversa, magari perché colpevole di un torto passato. A volte persino, si è giunti a credere che simili decisioni, mosse da un insensato spirito macchiavellico, potessero mettere fine all'odio, quando invece ne furono, e ne sono tutt’ora, catalizzatori. L'odio, alla fine, attira niente altro che odio, amplificandolo per giunta. Questo avviene ahimé a tutti i livelli. Politici, religiosi, familiari e persino sportivi. Nella guerra lampo che si è avuta qualche settimana fa, quella tra la famigerata Superlega e la UEFA, ne è un chiaro esempio, e purtroppo non ne sarà l'ultimo. Per quanto io mi sia opposto con chiarezza e senza indugio contro il progetto della Superlega, a mio avviso assassino del sano spirito sportivo, non posso approvare quanto la UEFA abbia deciso di fare nelle ultime ore. Da quanto ESPN ha fatto passare in una nota di ieri sera, la UEFA starebbe infatti pensando di punire severamente, con sanzioni a mio avviso senza ritorno, quei club che ancora non hanno abiurato pubblicamente il progetto della Superlega. In altre parole, Milan, Juventus, Real Madrid e Barcellona. La punizione che sembra essere stata decisa è devastante: esclusione assoluta dalle competizioni europee per almeno due anni. Una sanzione che andrebbe ad intaccare non solamente l'immagine del blasone di tali club, ma anche bilanci e casse, rischiando di portarli sul lastrico. Sponsor, banche e investitori, di fronte a una simile punizione probabilmente fuggirebbero a gambe levate, mettendo le situazioni già traballanti causa Covid (e non solo) di queste società su di un piano tremendamente inclinato. Per alcuni, una simile decisione sarebbe anche naturale. E' giusto che chi ha sbagliato venga punito. Quello che però secondo a me sfugge a molti è un fatto: chi verrebbe colpito più duramente da tali sanzioni? Al di là dei club, il calcio si stratifica in numerosi livelli sempre più corposi e folti. Quello dei giocatori. Quello degli addetti ai lavori. Quello dei tifosi. Ebbene codeste fasce ne sarebbero tremendamente colpite, nel reddito e nella passione, molto più gravosamente rispetto alle medesime società. E ciò senza che effettivamente tali classi si siano effettivamente macchiate di qualche reato. Una decisione del genere, per sommi capi, andrebbe dunque ad avere un effetto assai deleterio sul calcio stesso, rischiando addirittura di portare la vittima a prendere le vesti del carnefice. La UEFA infatti, dopo aver vinto questo breve conflitto di appena 48 ore, con questa sua decisione dimostra come non si accontenti solo di vincere, ma voglia spadroneggiare. Andando così a prendere la parte del torto. Infatti, sebbene la UEFA sia la principale organizzazione calcistica d'Europa, ciò non le dà alcun diritto di essere l'unica. Una simile affermazione andrebbe infatti contro il solidale diritto di libero associazionismo che vige in uno stato, o in una sorta di confederazione di diritto, quale potrebbe essere l’Europa. 

Come al solito, io credo che sia stia perdendo una grande occasione. UEFA e FIFA non sono esenti da colpe, l'ho ribadito più volte in precedenza. Il calcio è sull’orlo dell’abisso anche grazie a loro e il tentativo della Superlega è da leggersi come un patologico, sbagliato, tentativo di reazione. Invece che fare tesoro dell’esperienza, sedersi al tavolo insieme ai nemici di due giorni e cercare di tirare le somme di questa situazione critica, si sta cercando invece di inasprire sempre di più l’acredine che si è venuta a creare. Se così si volesse procedere, molto probabilmente le conseguenze dirette sarebbero molteplici. In primis, l'UEFA assumerebbe le vesti del despota che cerca di sottomettere i propri avversari. I club puniti ricorrerebbero a ogni arma legale pur di spuntarla, andando magari a cercare qualche alleato all'interno delle varie federazioni. Si giungerebbe così a una spaccatura che andrebbe col lacerarsi sempre di più, scatenando un conflitto civile di ben altra portata. Invece che di temere la nascita di una Superlega, dalla frammentazione postuma potrebbero nascere numerose compagini, ognuna desiderosa di attirare sponsor e danaro da dispensare ai propri club. Da tutto ciò, a pagarla cara sarebbero sempre i soliti, ovvero i tifosi e coloro che si guadagnano il pane - non sto parlando dei giocatori - con il calcio. E il calcio stesso andrebbe così a finire per come lo conosciamo. Il suo passaggio da competizione agonistica a business entertainment diverrebbe obbligato, oltrepassando così l'orizzonte degli eventi di un buco nero definitivo, da cui non esisterebbe ritorno. 

Al giorno d’oggi, nell'epoca dei social e della comunicazione rapida, le parole pesano come macigni. Fare una semplice dichiarazione, anche facendola semplicemente trasparire, può portare una persona o un'organizzazione a essere incapace dal rimangiarsela. Torno a ribadire quanto già detto in passato: la questione sulla Superlega non è tanto una questione di se e come avverrà, ma di quando. Se la UEFA ha realmente intenzione di smentire questa mia sensazione, se ha vero desiderio di portare il calcio in un format più equo e agonistico, di certo la strada delle sanzioni è la più sbagliata da prendere. Anche perché, se l'istinto non mi inganna, è una guerra da cui potrebbe uscire questa volta con le ossa rotte, e non sarebbe la prima. Quanto ho appena detto si riferisce, guarda caso, alla prossima finale di Champions League dove, udite udite, quest'anno scenderà in campo un club che la UEFA aveva escluso giusto un anno e mezzo fa. Peccato che il TAS l'abbia pensata diversamente. Come si dice in questi casi, non c'è peggior sordo di chi non voglia sentire. E la UEFA pare essere vittima quantomeno di un'otite assai acuta in questo momento, dato che pare voglia addirittura rettificare al più presto una simile decisione suicida. Una sorta di Trattato di Versailles in salsa sportiva, ovvero il sentiero che invece che far uscire le parti dal conflitto, le porterà a farne esplodere un altro di proporzioni mastodontiche.

Spero che quanto appena scritto in questo post sia solo una visione pessimistica della situazione. Purtroppo però, ogni volta che utilizzo il verbo sperare, non so perché, ma mi viene sempre in mente il sergente Lo Russo - alias Diego Abatantuono nel meraviglioso Mediterraneo di Gabriele Salvatores - quando sosteneva come chi vive sperando, muore c…

"Un vero guerriero è invincibile perché non compete contro nulla. Vincere significa sconfiggere la mente conflittuale che si annida dentro di noi" - Morihei Ueshiba, fondatore dell’Aikido


Un abbraccio

Igor