Quello della Superlega è un discorso molto serio che andrebbe affrontato con obiettività senza lasciarsi trascinare dal tifo. Ci sono due esigenze contrapposte: il principio sacrosanto che in una competizione sportiva le vittorie o le partecipazioni si conquistano e non vengono garantite a prescindere, e la certezza, per una grande squadra che affronta grandi investimenti, di avere un minimo di continuità nelle entrate.

È assurdo nel calcio di oggi pensare che una grande società che fa investimenti rilevanti possa correre il rischio di ritrovarsi fuori dalle competizioni importanti, con gravissimi danni economici, a seguito di una scelta sbagliata dell’allenatore o perché investita da una serie di eventi sfortunati. Una soluzione potrebbe essere quella di prevedere un numero di squadre alle quali garantire la partecipazione alla coppa a prescindere dal risultato dell’ultimo campionato. Ovviamente la scelta non deve essere fatta a tavolino o avere come unico parametro il fatto di essere o meno co-fondatore di una lega, ma deve essere legata al ranking europeo (basato per una parte prevalente sui risultati degli ultimi 5 anni e per una ridotta parte su criteri di visibilità (numero tifosi, vittorie conseguite etc.). C'è poi è da garantire un congruo numero di posti per chi, pur non avendo lo status di grande squadra, riesca comunque a conseguire nella stagione un grande risultato. In questo modo si garantisce un minimo di continuità nelle entrate e si sancisce l’inviolabilità del principio meritocratico come indispensabile per le partecipazioni.

D’altronde una cosa è sbagliare un anno e basta (evitando, quindi, ripercussioni irreversibili), un’altra cosa è sbagliare per tre anni consecutivi e allora è giusto che restare fuori con tutti i danni economici che ne derivano.